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L’ultimo dipinto di Sara de Vos, intreccio di storie di secoli nella trama di un dipinto

Appoggiata ad una betulla, una ragazza, dall’orlo sfilacciato della veste, guarda alcuni pattinatori solcare un lago ghiacciato, al limitare di un bosco. Orme sulla neve precedono i suoi piedi scalzi, come se arrivasse dal di fuori della scena, per osservarla ed esserne parte nella paradossale assenza.

Vive in eterno questa creatura di colori impastati con il mortaio e stesi, con pennello di pelo di zibellino, sopra strati di colla ricavata dalla bollitura di pelle di coniglio.

Chi è? Forse la ragazza che la figlia della pittrice, morta a soli sette anni di peste, sarebbe diventata? Forse la pittrice stessa? Forse la Morte dal viso dolce di chi culla bambini brucianti di febbre? Forse ogni astante che, guardandola negli occhi, diventa lei, in quel suo luogo liminare.

L’ultimo dipinto di Sara de Vos” di Dominic Smith, edito da Giunti nel 2017, è un romanzo storico che si dipana su tre piani topografici e cronologici: l’Olanda del secolo d’oro, ossia del XVII secolo; l’America degli anni del baby boom; l’Australia alle soglie del terzo millennio.

A collegare tutto, in un intreccio di campiture, relazioni umane e segreti, è un quadro, Al limitare del bosco, l’ultimo attribuito a Sara de Vos, la prima donna iscritta alla Gilda di San Luca e una delle poche a non aver solo realizzato nature morte, come al gentil sesso si addice, all’interno delle mura domestiche.

Sara, infatti, dipinse anche all’esterno, grazie alle conoscenze apprese dal padre e dal marito, trovandosi sola e povera e donna in una società dove non è facile esserlo, ammesso che ne esista una in cui lo sia.

Il dipinto in questione venne acquistato in un’asta e restò per tre generazioni proprietà della famiglia di Marty de Groot, quarantenne ricco e annoiato da un lavoro, l’avvocato di brevetti, che è la risposta obbediente alle aspettative di famiglia.

Durante una festa, organizzata dalla di lui moglie, Rachel, depressa per due successivi aborti, il quadro, prima appeso sulla testata del letto dei coniugi, viene sostituito con un falso.

A realizzare la copia bugiarda è stata Ellie, una ventiseienne restauratrice, nel frattempo impegnata nella redazione della sua tesi di laurea sulle pittrici del secolo d’oro. Inconsapevole dei loschi giri di denaro, la ragazza commette un errore che, pur soffocato nel segreto, ne perseguiterà tutta la vita.

L’epilogo, che non svelerò, dipinge, e non uso a caso questo termine, un nuovo quadro, stavolta pregno di verità e di perdono.

Il romanzo è stato definito come una lettura che tiene incollati fino a notte fonda. Non lo è, a mio avviso. Il ritmo è spesso lento e i personaggi, talvolta, sono come le opere degli impressionisti: talmente evanescenti da poter vedervi, attraverso, il luogo in cui si muovono, come fantasmi.

È un libro sull’arte, per l’arte, nell’arte.

Ha il sapore di tinte impastate con caglio. Ha l’odore di sostanze tossiche usate dai falsari. Ha il colore indefinito di un ghiacciaio al crepuscolo. Ha il suono di parole non dette, taciute per un ventennio. Ha il tatto della mano di un vecchio, dalla pelle coperta di macchie, che sfiora una tela per arrivare ad un cuore, a molti cuori. Anche al nostro.

Emma Fenu

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