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Luigi Zingales, ”Nel mio libro spiego come è possibile uscire dalla crisi”

DAL NOSTRO INVIATO A PORDENONELEGGE - Luigi Zingales, economista che vive e lavora negli Stati Uniti, ha presentato ieri pomeriggio a Pordenonelegge il suo ultimo libro Manifesto capitalista – Una rivoluzione liberale contro un'economia corrotta (Rizzoli). L'autore spiega da dove deve partire, secondo lui, il cambiamento. Usando “il bastone e la carota”...

L’economista spiega alle persone come dal basso e globalmente si può cambiare. Usando “il bastone e la carota”. Ecco il suo Manifesto capitalista

 

PORDENONE – Luigi Zingales, economista che vive e lavora negli Stati Uniti, ha presentato ieri pomeriggio a Pordenonelegge il suo ultimo libro  Manifesto capitalista – Una rivoluzione liberale contro un’economia corrotta (Rizzoli). L’autore spiega da dove deve partire, secondo lui, il cambiamento. Usando “il bastone e la carota”.

 

Questa crisi sembra essere molto esagerata. E la gente, che non ne sa in generale molto di economia, è molto arrabbiata. Che cosa ne pensa?
La gente è arrabbiata, perché le regole risultano essere state violate, ma nessuno viene ritenuto responsabile. Per quanto questa rabbia venga da persone senza conoscenze economiche, la rabbia è fondata; come scrivo nel mio libro la gente è arrabbiata ma sono arrabbiato anch’io.

 

Nel suo libro scrive che questo paese è il confronto tra il paese che ha lasciato e quello dov’è andato ad abitare, un confronto che, a giudicare dall’analisi finale, è veramente disastroso. In che cosa ci assomigliamo e in che cosa ci differenziamo?
Ho avuto molte critiche alla mia visione, che sarebbe peggiore di quel che è. È difficile avere occhi distaccati di fronte a tutto questo, ma leggendo oggi quel che è successo in Lazio su Repubblica ho pensato: forse non ho esagerato. Il mio libro è un modo per spiegare agli Stati Uniti dove stanno andando di sbagliato, è difficile però dire la verità, specialmente con accento straniero. E dunque uno deve ammettere che ognuno ha le sue colpe. In questo senso espongo il vizio d’Italia per questo motivo. Purtroppo siamo più vicini agli U.S.A. di quanto immaginiamo: loro stanno arrivando pian piano al capitalismo clientelare, ma non se ne rendono conto. Ad esempio il loro sistema di lobbing non è così diametralmente opposto, ma è simile al nostro, anche se più sofisticato. Berlusconi è solo una versione verticalmente integrata del sistema di lobbing degli U.S.A. Berlusconi aveva i suoi dipendenti che diventavano ministri e che facevano l’interesse dell’azienda. Negli Stati Uniti sono gli ex dipendenti che diventano ministri, fanno l’interesse dell’azienda e ritornano dipendenti. Quindi, c’è un grado di separazione, che per carità, rende le cose un po’ migliori di qui, a distanza, ma non è la differenza dicotomica che si vede da un lato: l’Italia terribile, gli Stati Uniti perfetti. Non è così, lungi dall’esser vero. Ma questo mi rende più triste. Non c’è per me mal comune e mezzo gaudio, ma una profonda tristezza di quello che chiamo una degenerazione del capitalismo. Il mio libro è un richiamo appassionato a cercare di riformare il capitalismo non inversione antimercato, ma pro-mercato. Un ritorno alle origini.

 

Rispetto al nostro territorio, lei parla del senso di fiducia che è alla base delle aziende italiane, soprattutto delle aziende familiari. Come vede questa impasse?
L’azienda familiare presenta molti vantaggi, ad esempio, la Luxottica: ha un proprietario che ha affidato la gestione a un manager capace, senza darlo ai figli: questa è la visione lungimirante del capitalismo. Perché non succede in Italia, e Luxottica è l’eccezione? La mia spiegazione: gira intorno al fatto che ovviamente in Italia il controllo vale molto. Perché chi controlla fa il bello e il cattivo tempo. Gli azionisti di minoranza non sono mai molto protetti (come quelli in Telecom che io rappresento). La concezione del conflitto d’interessi non c’è in Italia, anche se è stata usata molto contro Berlusconi. Due, l’imprenditorialità italiana nel dopoguerra nasce come carbonara, combattendo uno stato più o meno socialista, con rischio di espropriazione, o un’attitudine di contrapposizione contro l’impresa. Lo spirito tipico dell’imprenditore italiano è di cercare di fare l’opposto di ciò che ti dice lo Stato, di eludere, evadere, non seguire alcuna regola. Da un certo punto di vista è stato un vantaggio, ma d’altra parte è stato impossibile delegare agli altri, per via del fatto che chi viene delegato potrebbe denunciarci. Quindi, assumo i miei familiari, o gli amici delle elementari. O, se ho finito queste categorie, assumo chi non ha alternative, perché non può dirmi niente. Per esempio Calisto Tanzi: che aveva sì e no un diploma di ragioneria. La “peggiocrazia” è proprio questo: la promozione delle persone fedeli, non di quelle competenti e brave.

 

In questa situazione, dove vede un barlume di speranza?
C’è una grossa speranza che nasce dalla disperazione. Quando si tocca il fondo a un certo punto bisogna risollevarsi, e questa crisi ha questo elemento di speranza. E poi, le generazioni giovani si rendono conto che non c’è una speranza per loro in questo sistema, perché il sistema è andato avanti dando piccoli privilegi a tutti. Nessuno ha desiderio, forza di ribellarsi. Si diceva:  se mi ribello perdo la mia fettina di privilegio, questa era la logica. Oggi non c’è più neanche quella fettina. Chi entra oggi nel mercato del lavoro deve risparmiare, ma nemmeno così si può sperare di migliorare: quindi sperano nel cambiamento, se vogliono un futuro decente. Richiede una serie di fattori che cambiano allo stesso tempo. In Bocconi, ad esempio, cercavano di cambiare l’attitudine degli studenti verso il copiare gli esami. Lo fanno con due leve contemporanee: aumentando le pene e d’altra parte, facendo dichiarare sul proprio onore di seguire certe regole. Individualmente queste cose non funzionano, insieme possono cambiare. Un altro esempio l’ho trovato in un caso segnalato da un giornalista americano. Due impianti della Barilla, uno a Parma e l’altro a Foggia, in quest’ultimo c’era il doppio dell’assenteismo rispetto a Parma. Il manager mandato a Foggia ha detto: o qui cambiamo, o chiudiamo Poi ha usato il metodo del bastone e  della carota: ha cercato di presentarsi come un leader e non come un dittatore, ma al contempo ha svergognato non solo chi sta assente, ma anche i medici che scrivevano le ricette di chi stava assente, perché guarda caso c’erano pochi medici che presentavano la maggior parte dei certificati . Così è avvenuto che un dipendente è andato da lui con una pagina di giornale, dicendo che uno che si era dichiarato assente aveva appena segnato due gol, con una squadra che, ironia della sorte, era sponsorizzata dalla Barilla. Si era rotto il muro dell’omertà. E oggi, l’impianto di Foggia ha meno assenteismo di quello di Parma, che è un grosso risultato. Cambiare si può, ma bisogna avere contemporaneamente un cambiamento dell’attitudine e delle punizioni. Questo richiede uno sforzo a livello globale.

 

Anna Castellari

 

21 settembre 2012

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