Sei qui: Home » Libri » “Locus desperatus”, il libro di Michele Mari sugli oggetti specchio dell’identità

“Locus desperatus”, il libro di Michele Mari sugli oggetti specchio dell’identità

Il libro "Locus desperatus" invita il lettore a riflettere sul senso ultimo che attribuiamo alle cose che ci circondano.

Il libro Locus desperatus di Michele Mari non è solo un romanzo sul mistero di una casa infestata, ma un’opera profonda sul rapporto tra gli oggetti e la nostra identità. In un mondo dove siamo sempre più definiti dal possesso delle cose, Michele Mari ci invita a riflettere su cosa resterebbe di noi se fossimo costretti a separarci da tutto ciò che ci appartiene.

A tutti, prima o poi, è capitato di dover separarsi da qualcosa che consideravamo soltanto nostro. Ma senza ciò che ci appartiene, saremmo ancora in grado di definire chi siamo veramente? È questa la domanda che si pone il protagonista di un romanzo particolarmente suggestivo, dove l’identità si intreccia con il possesso degli oggetti.

Abitante di un appartamento arredato con grande gusto e altrettanta paranoia, il protagonista scopre quanto sia difficile liberarsi delle cose che, in fondo, riflettono chi siamo. E la sfida si acuisce quando una misteriosa richiesta di sfratto sembra arrivare da un’origine ultraterrena, mettendo in crisi non solo il suo possesso degli oggetti, ma la sua stessa identità.

Locus desperatus di Michele Mari 

Sinossi del libro

A tutti, prima o poi, è toccato separarsi da qualcosa che reputavamo soltanto nostro: ma senza ciò che ci appartiene sapremmo ancora dire chi siamo davvero? Il protagonista di questo romanzo abita un appartamento arredato con grande gusto e altrettanta paranoia, due caratteristiche da cui è difficile liberarsi. Soprattutto nel momento in cui si riceve un’improvvisa richiesta di sfratto, che sembra avere una genesi ultraterrena…

Del resto, una casa stregata può essere una maledizione, oppure l’occasione per comporre un inventario del proprio passato. «Ridotto così, ero re: delle mie cose, delle mie collezioni, dunque di me, che in quelle collezioni avevo sistematicamente trasferito ogni mia più intima particola». In filologia, il locus desperatus indica un passo testuale corrotto e insanabile, per il quale il filologo è costretto a gettare la spugna contrassegnandolo con la cosiddetta «croce della disperazione». E a dare l’avvio a questa storia è proprio una piccola croce, disegnata nottetempo con un gessetto su una porta.

Un mattino, uscendo dal suo appartamento, il protagonista nota quel segno appena sopra lo spioncino dell’ingresso di casa: chi può essere stato a farlo, e che significato ha? L’uomo cancella la croce, ma il giorno seguente, e poi quello ancora successivo, il segno ricompare implacabile. Il mistero s’infittisce quando al residente viene imposto uno scambio: qualcuno prenderà il suo posto, e lui dovrà giocoforza trasferirsi. Ma cambiando abitazione sarà costretto a cambiare anche identità: tutte le cose dentro l’appartamento, infatti, dovranno a loro volta scegliere.

O fuggiranno insieme a lui, oppure passeranno a un nuovo proprietario – macchiandosi di alto tradimento. Perché ogni oggetto amato ha un’anima, e dunque una sua volontà. Da sempre le case, nella storia della letteratura così come nella vita, sono il luogo dove gli avvenimenti più banali si mescolano a quelli fatidici. L’abitazione al centro di “Locus desperatus”, però, assomiglia alla Hill House immaginata da Shirley Jackson, o alla Casa Usher di Poe: un’entità senziente, con un suo carattere ben preciso. Un luogo dove l’inconscio di chi ci abita, dopo una lunga frequentazione, è divenuto tutt’uno con i libri, le stampe, gli oggetti e i ricordi d’infanzia.

E chi meglio di Michele Mari poteva raccontare lo struggimento e le ossessioni per i feticci accumulati nel corso di un’esistenza, ingaggiando un duello con la propria memoria affettiva? L’autore di “Verderame” e di “Leggenda privata” ci consegna una stramba discesa agli inferi e insieme una spietata tassonomia dei ricordi. Un romanzo tormentato e divertente sul senso ultimo che diamo agli oggetti: «Senza le mie cose io non sarei stato più io, e senza di me loro non sarebbero state più loro».

Una casa stregata o un inventario del passato?

Il tema della casa come spazio fisico e simbolico è centrale. La dimora del protagonista non è solo uno spazio abitativo, ma un’estensione della sua psiche. Una casa stregata può essere vista come una maledizione, ma allo stesso tempo, è un’opportunità per riflettere e fare un inventario del proprio passato. Nel romanzo, l’appartamento non è un semplice contenitore di ricordi, ma un luogo che racconta chi siamo attraverso le collezioni di oggetti accumulati. Ogni pezzo è una particella intima del protagonista, come emerge da una delle citazioni centrali del testo: «Ridotto così, ero re: delle mie cose, delle mie collezioni, dunque di me, che in quelle collezioni avevo sistematicamente trasferito ogni mia più intima particola».

Il Destino degli oggetti: Fedeltà o tradimento?

La lotta con il distacco dai propri beni assume una dimensione quasi metafisica. Gli oggetti che popolano l’appartamento del protagonista non sono meri oggetti inanimati, ma entità dotate di un’anima e di una volontà. Saranno loro a scegliere se seguirlo nella sua nuova vita o rimanere fedeli alla casa, tradendolo. Questo strano patto ci ricorda quanto siamo legati agli oggetti che amiamo, e come la loro perdita possa mettere in discussione il nostro senso di continuità personale. Senza di essi, saremmo ancora gli stessi?

Case senzienti nella Letteratura

La casa protagonista del romanzo richiama alcune delle più celebri dimore “senzienti” della letteratura. Hill House di Shirley Jackson o la Casa Usher di Edgar Allan Poe sono luoghi dove il confine tra realtà e psiche si dissolve, trasformandosi in uno spazio che riflette l’inconscio di chi ci vive. Anche in “Locus desperatus”, la casa è una sorta di estensione della mente del protagonista, dove ogni libro, ogni stampa e ogni oggetto diventa un frammento della sua memoria e del suo vissuto.

Michele Mari e il duello con la memoria

Chi meglio di Michele Mari poteva narrare lo struggimento e l’ossessione per i feticci accumulati nel corso della vita? Autore di opere come “Verderame” e “Leggenda privata”, Mari si immerge in una profonda esplorazione della memoria affettiva, ingaggiando un duello personale con il proprio passato. In “Locus desperatus”, ci offre una discesa negli inferi della mente, un viaggio tra tormento e ironia, dove ogni oggetto diventa un tassello della nostra identità. È un romanzo che invita a riflettere sul senso ultimo che attribuiamo alle cose che ci circondano: «Senza le mie cose io non sarei stato più io, e senza di me loro non sarebbero state più loro».

© Riproduzione Riservata