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Libroterapia e proposte di lettura, ”Di bestia in bestia” di Michele Mari

Iniziamo una nuova tipologia di post: finora vi ho parlato di cosa sia la libroterapia (senza peraltro aver esaurito ancora il tema) e di alcuni campi di possibile applicazione (altri ancora ne racconterò), oggi invece inauguriamo le “Proposte di lettura”...

Iniziamo una nuova tipologia di post: finora vi ho parlato di cosa sia la  libroterapia (senza peraltro aver esaurito ancora il tema) e di alcuni campi di possibile applicazione (altri ancora ne racconterò), oggi invece inauguriamo le “Proposte di lettura”.

Non si tratta di recensioni letterarie, ma di spunti tratti dalle storie raccontate nei romanzi, che possono generare riflessioni individuali (e nel caso vogliate condividere le vostre, scrivetemi).

Di bestia in bestia” di Michele Mari mi aiuta ad introdurre una tematica importantissima per ognuno, quella dell’identità. Chi sono? Quali sono le caratteristiche fondanti, quei tratti di personalità che stanno alla base della mia individualità? E, soprattutto, da dove vengono queste basi: sono insiste nella mia natura o sono frutto delle mie esperienze e dei miei apprendimenti?

“Di bestia in bestia” è il primo romanzo di Michele Mari, edito nel 1989 da Longanesi e recentemente riproposto da Einaudi dopo una revisione dell’autore stesso. Mari sceglie di adottare la struttura del romanzo gotico, la cui ambientazione è un misterioso castello descritto come “un edificio che da lontano dava l’impressione di un fortino moresco o di un’enorme casamatta”. La voce narrante è un giovane scienziato che, insieme alla sua segretaria e ad un collega, si mette in viaggio per raggiungere la località di un importante convegno internazionale. Il gruppo si smarrisce ed arriva al castello a chiedere ospitalità.

I personaggi principali, rappresentanti rispettivamente la Natura (e le sue influenze sull’identità) e la Cultura, sono due fratelli: Osac l’uomo istintuale, la creatura mostruosa nascosta nelle segrete del castello, e Osmoc, il padrone di casa raffinato e colto, che diviene metafora dell’armonia del mondo ma anche della sua solitudine. Osmoc si presenta da subito come un simbolo dell’erudizione, padrone di una sterminata biblioteca, accoglie così gli ospiti: “Oh sì, la letteratura… Non si dovrebbe mai leggere Omero prima di andare in Grecia, sapete cosa intendo, folle chi pietra su pietra si costruisce la propria delusione, ed alleandosi alle forze del tempo e della cruda realtà vien spargendo nel nulla i suoi sogni leggeri: ma difendiamoci, per quanto sta in noi… Uno che ha passato tutta la vita fra i libri soleva dire che i libri possono fare alla vita una concorrenza sleale, molto sleale…“

Quali sono dunque gli spunti per la nostra riflessione?
Sicuramente il gioco tra Cosmo (Osmoc) e Caso (Osac), l’ambivalenza tra l’ordine e la sua assenza: un ordine che però, come il romanzo stesso suggerisce, non deve ridursi a catalogazione ed accumulo, perchè in questo modo impoverirebbe l’individuo.

L’altra riflessione va all’arricchimento culturale e al suo peso nel diventare individuo, nel riuscire a completare con pienezza quello che Jung definiva “processo di individuazione” ovvero il percorso per “diventare ciò che si è”. La natura di Osac è brutale, istintuale, semplice e questo lo rende un mostro, ma anche le eccessive mentalizzazioni di Osmoc, il suo non riuscire a trovare spazio per altro che per la cultura (persino il suo linguaggio riflette una mancanza totale di immediatezza), lo portano a non vivere una vita piena, a non godere dell’aspetto emozionale ed affettivo.

 

In questo senso il messaggio che possiamo trarre da “Di bestia in bestia” è il bisogno di integrare questi due aspetti all’interno dell’individuo, di riuscire a tenerli insieme anzichè separarli, proprio come nella psicologia analitica si propone l’integrazione dell’Ombra (delle parti riconosciute come spiacevoli) all’interno dell’individuo.

5 novembre 2013

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