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Kirk Douglas, cento anni di storia del cinema raccontati in un libro

L'ex responsabile delle rubriche di cultura per Io donna Gloria Ghisi nel libro ha raccolto aneddoti e testimonianze legate all'attore americano Kirk Douglas, nato il 9 dicembre 1916

MILANO – Un lottatore, uno con dentro il bisogno di andare oltre, di osare, capace di salvarsi dalle difficoltà della vita grazie all’intelligenza ed al talento. E’ questo l’attore Kirk Douglas secondo Gloria Ghisi. L’ex responsabile delle rubriche di cultura per Io donna all’interno del libro “Il grande Spartaco” ha raccontato i “100 anni da gladiatore” di Kirk Douglas, icona del cinema americano e mondiale. Ecco l’intervista all’autrice.

 

Che cosa ha rappresentato Kirk Douglas nel panorama cinematografico mondiale?

Da persona volitiva, ha saputo interpretare anche personaggi cinici, arroganti, odiosi come il giornalista del film L’asso nella manica, del 1958. Sapeva conquistare il pubblico anche così. Ma il primo ruolo che lo descrive è quello del pugile in Il grande campione, film del 1949 con cui conquista l’interesse del pubblico interpretando appunto un boxeur vigoroso e tracotante. Il risultato è uno dei migliori film di sempre sul pugilato, un modello per tutti quelli che poi verranno, da Lassù qualcuno mi ama a Toro scatenato di Martin Scorsese. Ẻ la storia di un giovane che trova nella boxe il mezzo per elevarsi socialmente ma, ubriacato dalla fama, mollerà la moglie, si libererà del manager e si perderà. Quasi una parabola di quanto accaduto a Kirk Douglas proprio in quegli anni: il successo improvviso, i soldi, il divorzio, gli eccessi di ogni genere. Ma lui si è salvato, grazie all’intelligenza, al talento. È stato fra i primi a fondare una propria casa di produzione, la Bryna, in una Hollywood dove dominava lo strapotere dei grandi Studios. Con le sue ha potuto realizzare i grandi capolavori come Orizzonti di gloria, film del 1957 dal forte taglio antimilitarista, e poi Spartacus, film indimenticabile, una metafora di Hollywood imprigionata dall’anticomunismo e dal razzismo, contro cui Douglas guida una rivolta, esattamente come il gladiatore che porta sullo schermo. La sua grandezza sta anche nell’avere avuto sempre il fiuto di produrre e a recitare in film in grado di coinvolgere il pubblico grazie alla loro attualità.

 

A cosa è dovuto questo suo spirito combattivo?

Penso anche che la sua grandezza abbia a che fare con la sua rabbia, con il suo bisogno di riscattare il fatto di essere nato in una famiglia di persone povere, emarginate, ignoranti. È sempre stato un lottatore, uno con dentro il bisogno di andare oltre, di osare. lo dice ancora oggi lui stesso: «Sono sempre stato un Don Chisciotte. In tutti i momenti cupi ho puntato un pollice verso contro ogni ingiustizia, discriminazione. Oggi lotto sempre e ancora contro il razzismo. Ancora c’è troppo da fare in questo senso. Era parte del senso di un film come Spartacus. Certo, sono subito andato a vedere L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo con Dean O’Gorman che mi impersonava. Lui è stato bravo, ma mi è spiaciuto non essere stato chiamato a interpretare me stesso in una sequenza». Non male, per uno che fatica a parlare a causa dell’ictus che l’ha colpito anni fa.

 

Da figlio di un venditore di stracci al successo. Come è possibile riassumere la carriera e la vita di Kirk Douglas in poche parole?

Kirk Douglas non ha dimenticato le sue origini. Mai. Ha scritto un libro proprio per ripercorrere il suo rapporto difficile con il padre Harry, nel 1989. E un uomo che sa guardare dentro se stesso  non può essere banale. Dai primi anni della sua vita conserva inoltre il bisogno di pensare anche agli altri, sia attraverso il contenuto dei suoi film e degli ormai molti libri che ha scritto e, soprattutto, le fondazioni con cui aiuta donne, giovani e anziani e chiunque sia in difficoltà, sempre affiancato dalla seconda moglie Anne, quasi sua coetanea. «Non avevamo niente, ma mia madre trovava sempre qualcosa da donare agli altri», ha scritto. Lui ha molto e lascerà tutto alle varie opere che portano il suo nome, quando morirà. Lavorare con la consapevolezza che c’è un fine, anzi un buon fine, è sicuramente un motore potente nella vita di chiunque.

 

Il libro contiene aneddoti legati alla vita dell’attore. Ce ne puoi anticipare uno, non famoso ai più?

Quello che mi ha divertito di più riguarda il suo rapporto con Stanley Kubrick sul set di Spartacus. Kubrick era un ragazzo ai tempi, Douglas l’aveva voluto come regista al posto del precedente Anthony Mann, licenziato alla terza settimana di lavorazione, pensando forse di poterlo in qualche modo guidare. Ma Kubrick non era affatto malleabile. C’è stato uno spettacolare fuori scena durante la lavorazione: Douglas, che aveva soprannominato Kubrick “Ejzenstejn” per la sua spocchia da intellettuale, era esasperato perché il regista si comportasse da villano: non rispondeva agli appunti che lui gli mandava, non lo gradiva come produttore, si presentava sul set sempre sporco e trasandato. Insomma, non mostrava rispetto per nessuno. Una mattina, con già addosso il costume di scena da Spartaco, Douglas montò a cavallo e andò verso Kubrick, lo spinse contro il muro, davanti a tutta la troupe. E gli fece un discorsetto: «Senti un po’, stronzetto…». L’ira di cui era capace Douglas era nota, soprattutto quando era convinto di non essere preso sul serio. Kubrick, umiliato davanti a tutti, capì l’antifona.

 

Kirk Douglas ha avversato un secolo e ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del cinema. Quali sono i film che lo raccontano meglio?

È stato tutto, sullo schermo, cowboy e clown, gladiatore e artista, giornalista, militare, marinaio… Sempre con una forza interpretativa che l’ha reso indimenticabile. Oltre ai film che ho già citato, cioè Il grande campione, Orizzonti di gloria, Spartacus, e altri indimenticabili come Ulisse del 1954, Brama di vivere del 1956 o Uomini e cobra del 1970 ce ne è uno che non ha mai interpretato, ma che avrebbe voluto a tutti i costi portare sullo schermo: Qualcuno volò sul nido del cuculo. Aveva acquistato per sé i diritti, e l’aveva anche portato in scena a Broadway, ma senza successo. Quando il figlio Michael decise di diventare a sua volta produttore glieli regalò, convinto che lo chiamasse come interprete principale, ma Michael, nel 1975, scelse Jack Nicholson. Ci furono anni di incomprensione a causa di questo, fra padre e figlio. Poi Kirk Douglas perdonò, cosa che gli deve essere costato veramente tanto. Lui non è mai stato abituato a cedere. Non a caso è considerato ancora oggi, a 100 anni, un irriducibile gladiatore.

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