Jon Fosse, il Nobel dalla prosa innovativa: 5 libri per entrare nel suo universo

28 Settembre 2025

Jon Fosse, Nobel 2023, ha rivoluzionato la narrativa con romanzi intensi e minimali che esplorano silenzi, fede e identità. Scopri quali in questo articolo.

Jon Fosse, il Nobel dalla prosa innovativa: 5 libri per entrare nel suo universo

Jon Olav Fosse (nato il 29 settembre 1959 a Haugesund, Norvegia) è uno degli autauti più influenti e singolari della letteratura contemporanea: scrittore, poeta, drammaturgo e traduttore, è a oggi anche Premio Nobel per la Letteratura.

Fin da giovane ha mostrato una grande sensibilità per il linguaggio, imparando a giocare con le parole in uno spazio quasi meditativo.

Ha esordito nel 1983 con il romanzo “Raudt, svart” — “Rosso, nero” —, introducendo una prosa in cui l’essenziale prevale sul narrativo: una linea che manterrà per tutta la sua carriera. Il suo debutto teatrale, invece, arriva nel 1994 con “Og aldri skal vi skiljast” — “E non ci lasceremo mai”. Nel corso del tempo, Fosse ha saputo spaziare tra generi: romanzi, poesie, racconti, testi per l’infanzia, saggi e drammi teatrali.

È considerato, dopo Ibsen, il drammaturgo norvegese più rappresentato a livello internazionale: le sue opere sono messe in scena in decine di Paesi, e la sua produzione è tradotta in oltre cinquanta lingue. Il suo stile minimale, spesso vicino alla poesia, tende a dissolvere la distinzione tra prosa e canto, sostituendo la trama classica con una tensione emotiva e ontologica.

Nel 2023, Fosse è stato insignito del Premio Nobel per la Letteratura, con la motivazione: “per le sue opere teatrali e la prosa innovativa che danno voce all’indicibile”.

Questo riconoscimento ha messo in luce quanto la sua scrittura non cerchi grandi spiegazioni esterne, ma una profonda tessitura interna: la vita, la morte, la fede, l’arte, il tempo sono temi che attraversano l’intero suo lavoro con una densità spirituale.

Perfino la Settologia, forse l’opera con cui è più famoso in Italia, rappresenta questo concetto in modo molto semplice.

Ma Jon Fosse non è soltanto un nome premiato

Fosse è un autore che ha reinventato il confine tra parola e silenzio, tra racconto e preghiera, tra meditazione e consiglio di vita. E in prossimità del suo compleanno, noi di Libreriamo abbiamo pensato di parlarvi di lui e di cinque fantastici libri che vengono dalla sua penna.

“L’altro nome. Settologia I–II” (La nave di Teseo, 2021; ried. 2023)

Il primo approdo, indispensabile per capire la storia di Fosse.

Con “L’altro nome. Settologia I–II” il lettore entra nel vasto ciclo narrativo che ha consacrato Jon Fosse come una delle voci più radicali della letteratura contemporanea. È il primo passo indispensabile per capire affresco che intreccia memoria, arte e spiritualità della settologia, così come l’universo di questo grandissimo artista.

Protagonista è Asle, pittore affermato che vive solo a Dylgja, sulla costa norvegese, dopo la morte improvvisa della moglie Ales. Lo incontriamo mentre contempla un suo quadro: due linee, una viola e una marrone, che si incrociano in una croce di Sant’Andrea; è un dipinto che non venderà, perché per lui custodisce una luce invisibile, un segno metafisico.

Da qui si apre un flusso di pensieri: il ricordo della sorella morta bambina, il tormento dell’alcolismo superato grazie alla fede, la solitudine abitata dal mare e dalla memoria della moglie.

Accanto a questo Asle c’è un secondo Asle, una sorta di suo alter ego. Anche lui pittore, anche lui solo, ma travolto dall’alcol. Il protagonista cerca di stargli vicino, senza però riuscire a salvarlo del tutto. Nei loro dialoghi emerge il cuore del romanzo: la tensione tra arte e fede, il bisogno di luce dentro le tenebre e l’angoscia che solo la preghiera riesce a placare.

È la pittura a diventare ancora, una forma di salvezza. Non imitazione della realtà, ma tentativo di mostrare ciò che non si può dire con le parole.

Personaggi secondari, come l’amico pescatore Asleik o la malinconica Guro, ampliano la dimensione meditativa del libro. Tutti condividono la stessa condizione: la solitudine, la fatica del vivere, l’attesa di un senso che forse si rivela solo nei momenti di silenzio…

Con uno stile ipnotico, Fosse costruisce un romanzo che è allo stesso tempo preghiera e partitura musicale.

“Io è un altro. Settologia III–V” (La nave di Teseo, 2023)

Con questo libro, Fosse porta avanti la sua settologia e spinge più a fondo nel tema centrale del doppio e della memoria.

Se nel primo volume si traccia l’orizzonte dell’attesa e del dolore, qui la scrittura di Fosse si fa ancora più ipnotica, sospesa, in un ritmo che rifiuta il punto fermo. Lo si capisce già dal titolo — “Je est un autre” in francese —, che richiama Rimbaud e il suo concetto di poeta-veggente — di cui scrisse nella lettera del 15 maggio a Paul Demeny.

La vicenda di “Io è un altro” è minima: pochi giorni d’inverno, tra mare e neve, in cui Asle si sposta dalla sua casa di Dylgja a Bjørgvin per portare quadri al gallerista Beyer e per assistere l’altro Asle, ormai ricoverato in ospedale, devastato dall’alcolismo; tuttavia, dentro questa trama scarna, il romanzo si dilata fino a contenere un’intera vita.

I ricordi di Asle si accendono in flashback e visioni: la sorellina Alida morta all’improvviso, la moglie Ales ancora così presente da apparire accanto a lui, la giovinezza all’Accademia, i primi quadri come tentativo di esorcizzare un dolore senza fondo.

È un continuo scivolare tra presente e passato — da qui il collegamento con la “veggenza” rimbaudiana —, tra prima e terza persona, come se la voce stessa non potesse fissarsi in un unico punto.

I temi sono quelli che percorrono tutta l’opera di Fosse: la solitudine, la morte, il tempo che sfugge, l’arte come preghiera e la ricerca di Dio. Anche Asle, come l’autore, attraversa una conversione: dall’assenza di Dio all’accettazione della fede, vissuta come un modo di abitare il mondo e, insieme, di prenderne distanza. Così pittura e preghiera diventano gesti paralleli, tentativi di dare forma alla luce che abita le tenebre.

“Un nuovo nome. Settologia VI–VII” (La nave di Teseo, 2024)

Ultimo libro della settologia, una chiusura degna del ciclo di Asle che è un viaggio retrospettivo e che ricompone i tasselli. È una lettura che risuona come un congedo e, insieme, un inizio.

In queste ultime due parti, il protagonista Asle appare nella sua stagione estrema: anziano pittore e vedovo, vive solo a Dylgja, piccolo villaggio della costa occidentale norvegese. Alla vigilia di Natale si prepara a partecipare alla cena nella casa di Guro, sorella dell’amico pescatore Åsleik, ma la narrazione non si concentra tanto sull’evento quanto sul percorso interiore che lo precede…

Asle è logorato dalla solitudine e dalla memoria: la moglie Ales, morta da tempo, riaffiora nei suoi pensieri come presenza costante e dolorosa; l’altro Asle, il suo doppio consumato dall’alcol, giace in ospedale in condizioni critiche. I due Asle sono ormai riconosciuti per quello che sono: due volti della stessa medaglia, varianti di un unico destino, due possibilità dell’essere. Uno ha scelto la fede e la pittura come strumenti di resistenza, l’altro si è lasciato inghiottire dall’oscurità.

Il romanzo non offre soluzioni né chiusure nette, ma solo spunti di riflessione per un lettore che ama ragionare e conversare nei club di lettura.

I tre capitoli che compongono “Un nuovo nome” lasciano il lettore in sospensione, moltiplicando i dubbi più che scioglierli. È un flusso di coscienza ipnotico, privo di punti fermi — in senso letterale e metaforico — dove memoria e presente, ricordi e apparizioni, lutti e intuizioni spirituali si fondono in un’unica corrente.

La scrittura, lenta e musicale, trasforma la stanchezza e l’angoscia del protagonista in un’esperienza mistica. Un nuovo nome non chiude con un approdo rassicurante, ma con il respiro stesso dell’arte di Fosse: un invito ad accettare che la vita, come la letteratura, è fatta di vuoti, attese e domande senza risposta.

“Melancholia I–II” (La nave di Teseo, 2023; precedenti edizioni Fandango)

Con “Melancholia I–II” Jon Fosse porta il lettore dentro una zona liminale, dove arte e malattia diventano indissolubili. Il romanzo prende le mosse dalla vicenda reale di Lars Hertervig, pittore romantico norvegese nato nel 1830 e morto in povertà, la cui sensibilità estrema lo condusse a un internamento psichiatrico nel manicomio di Gaustad, vicino a Christiania — oggi Oslo —, nel 1856.

Eppure, ciò che interessa a Fosse non è ricostruire la biografia né raccontare la storia dall’esterno. Scrive dall’interno stesso della psicosi, tentando di tradurre in parola il linguaggio muto della luce nei quadri di Hertervig, la tensione costante tra paradiso e inferno che attraversa la sua mente.

Lars è presentato come un’anima in bilico, compressa ai margini della ragione, incapace di partecipare al mondo “degli altri”. Giovane studente all’Accademia di Düsseldorf, allievo di Hans Gude, viene travolto dallo scandalo per il suo amore proibito per Helene, la figlia dei padroni di casa, appena quindicenne. Da qui la rottura con la famiglia, l’isolamento, l’incapacità di decidere se continuare a dipingere, la tentazione di lasciare tutto. Ogni giorno diventa per lui una lotta tra il desiderio di affermare il proprio sé artistico e la paura di non esserne all’altezza, in una febbre che divora.

Fosse restituisce questo delirio con una scrittura vertiginosa, ipnotica, che procede per ripetizioni e scarti, soffocando e liberando insieme. Hertervig è pittore e pazzo, genio e malato: “se non può dipingere, allora non c’è altro che possa fare”. Accanto a lui si stagliano figure anch’esse tormentate: lo scrittore Vidme, la sorella Oline, tutti segnati da una lotta con il tempo e con la follia.

In queste pagine l’arte diventa non semplice riflesso della malattia, ma l’unico spazio in cui la sofferenza si trasforma in luce.

“Mattino e sera” (La nave di Teseo, 2019; ristampe 2023)

Romanzo breve e allo stesso tempo monumentale, “Mattino e sera” si distingue immediatamente per la sua forma radicale: nessun punto, nessuna pausa definitiva, solo un flusso di coscienza che procede ininterrotto, rotto appena dai capoversi. Una prosa che ricorda Joyce o Faulkner, ma che non si offre come sperimentazione gratuita: in Fosse la scelta stilistica è sempre funzionale al contenuto. Qui, quel ritmo lento e avvolgente riproduce la continuità della vita stessa, dal primo all’ultimo respiro.

La vicenda è quella di Johannes, un pescatore norvegese di umili origini. La sua esistenza viene raccontata senza fronzoli: nasce, cresce, invecchia, muore. Tutto qui, apparentemente. Ma proprio questo minimalismo mette in luce ciò che davvero conta: i dettagli minimi, le relazioni umane, le percezioni interiori che segnano il passaggio del tempo. Non serve descrivere la famiglia, l’infanzia, le amicizie: basta accennare alla moglie Erna, al suo amico Peter, alla figlia più piccola Signe. Bastano poche immagini, evocate come frammenti di memoria, per restituire la sostanza di una vita intera.

“Mattino e sera” diventa così un viaggio introspettivo nel cuore dell’esistenza: il mattino della nascita e la sera della morte, con tutto ciò che sta nel mezzo ridotto all’essenziale. Non è importante “cosa” succede, ma come la vita stessa si mostra nella sua semplicità e gratuità. La scrittura procede come il mare, vero protagonista dell’opera: un’onda piatta, lenta e inesorabile, che si ritira e ritorna sempre diversa.

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