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“Insciallah”, la condizione della guerra raccontata da Oriana Fallaci

Oriana Fallaci mi incute timore, è una donna con due palle così che un po’ invidio e un po’ temo. Ha una scrittura pesante, per i temi che affronta, ma fluida perchè lei usa la penna come fosse una bacchetta magica. Mi era capitato fra le mani finora solo “Lettera a un bambino mai nato“, e mi ha divorato lui, 99 pagine di angoscia.  Così, trovando in un mercatino dell’usato Insciallah, mi ci sono avvicinata con circospezione e l’ho preso.

Parla di guerra, brutta, sanguinosa, orrenda, calda, putrida guerra. E di un contingente italiano di stanza a Beirut. Impariamo a conoscere i soldati che fanno parte di questo gruppo, sono tantissimi i personaggi e anche le loro storie, e quasi 800 pagine non bastano per descriverli a pieno tutti, ma sono sufficienti per farceli amare. Ogni proiettile, ogni granata, ogni scheggia di vetro li sentiamo come se ci sibilassero a un centimetro dalla faccia. Il sangue scorre a fiumi, gli arti mutilati si contano sulle dita di tutte le mani che hanno dovuto amputare. Le condizioni igieniche sono terribili e gli odori nauseanti. E Oriana li ha sentiti davvero, e li fa sentire anche ai lettori. E i bambini, che si affezionano a questi soldati e gli portano i piatti che cucinano le loro madri, in 9 dentro una cucina che funge da bagno e anche da camera. E il bello di questo romanzo, è che non bisogna usare neanche troppa immaginazione per immergersi in queste scene. Perchè le vediamo e le sentiamo tutti i giorni attraverso i media di ogni genere. Che a differenza di un libro non finiscono all’ultima pagina.

“La morte di un amore è come la morte di una persona amata. Lascia lo stesso strazio, lo stesso vuoto, lo stesso rifiuto di rassegnarti a quel vuoto. Poi, un po’ per volta, ti passa. Magari senza che tu ne sia consapevole, lo strazio si smorza, si dissolve, il vuoto diminuisce, e il rifiuto di rassegnarti ad esso scompare. Ti rendi finalmente conto che l’oggetto del tuo amore morto non era nè una persona pregevole anzi straordinaria nè un tesoro unico al mondo, lo sostituisci con un’altra metà o supposta metà di te stesso, e per un certo periodo recuperi la tua interezza. Però sull’anima rimane uno sfregio che la imbruttisce, un livido nero che la deturpa, e ti accorgi di non essere più quello che eri prima del lutto. La tua energia s’è infiacchita, la tua curiosità s’è affievolita, e la tua fiducia nel futuro s’è spenta perchè hai scoperto d’aver sprecato un pezzo di esistenza che nessuno ti rimborserà. Ecco perchè quando un amore langue senza rimedio, lo curi e ti sforzi di guarirlo. Ecco perchè, anche se in stato di coma boccheggia, cerchi di rinviare l’istante in cui esalerà l’ultimo respiro: lo trattieni e in silenzio lo supplichii di vivere ancora un giorno, un’ora, un minuto. Ecco infine perchè, anche quando smette di respirare, esiti a seppellirlo o addirittura tenti di resuscitarlo. Alzati Lazzaro, e cammina.”

Francesca Marchesani

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