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“Impegnarsi per la verità e per i più deboli”, il giornalismo secondo Tiziano Terzani

Àlen Loreti nel libro "Tiziano Terzani in America" ripercorre l’esperienza americana di Tiziano Terzani dal 1967 al 1969 attraverso il recupero di articoli, citazioni, letture accademiche, brani di interviste

MILANO – Un autodidatta, capace di assimilare e analizzare ciò che lo circondava, spavaldo ma riflessivo, scettico ma curioso, per un giornalismo inteso come “modo di vivere” e non come un mestiere. Era questo Tiziano Terzani, esempio illuminato del giornalista disposto a impegnarsi per la verità e per i più deboli, che “non vuole girare il mondo per vendere macchine da scrivere, ma adoperare la macchina da scrivere per girare il mondo” come racconta Àlen Loreti nel libroIn America. Cronache da un mondo in rivolta, opera nella quale il curatore raccoglie l’esperienza americana di Tiziano Terzani dal 1967 al 1969 attraverso gli articoli pubblicati sulla rivista l’Astrolabio diretta all’epoca da Ferruccio Parri. Quanto è  attuale l’esempio di giornalismo di Terzani? La risposta di Àlen Loreti in questa intervista.

 

Cosa ha rappresentato per te prendere in mano questi reportage inediti di Tiziano Terzani?

Mi ha sempre incuriosito la confessione sibillina di Tiziano al figlio Folco nelle ultime settimane di vita: «Lì, in America, diventai anche vero giornalista, ogni settimana scrivevo pezzi lunghissimi per l’Astrolabio, quel bel settimanale della sinistra indipendente diretto da Ferruccio Parri.» Abbiamo recuperato quei testi e ottenuto la conferma: In America raccoglie oltre 50 articoli che mostrano i primi coraggiosi passi della sua vocazione. Inoltre questo Tiziano 30enne ci permette di capire le riflessioni del Tiziano 60enne: ad esempio, i turbamenti e le opinioni nette sull’America e sulle sorti dell’umanità raccontate in Lettere contro la guerra, Un altro giro di giostra o nei diari Un’idea di destino.

 

In che cosa è stata importante l’esperienza americana di Tiziano Terzani dal 1967 al 1969?

È un biennio decisivo. In termini storici la società americana mostra un anticonformismo che si oppone all’autoritarismo di una democrazia incapace di risolvere disuguaglianze e ingiustizie. Qui la prefazione di Angela Terzani è illuminante, un vero saggio di costume e sociologia. In termini personali Tiziano compie le scelte che segneranno la sua vita: abbandona la promettente carriera manageriale all’Olivetti – all’epoca l’azienda di Ivrea era la Google di oggi, oltre 60.000 dipendenti nel mondo e centinaia di miliardi di lire di fatturato – e riparte da zero. Punta tutto sul giornalismo, insegue il sogno dell’Asia e grazie alla fellowship perfeziona gli studi di storia e lingua cinese alla Columbia e alla Stanford University. Tiziano non vuole girare il mondo per vendere macchine da scrivere, ma adoperare la macchina da scrivere per girare il mondo. È il suo turning point.

 

Quali incontri e fatti lo hanno segnato in questo biennio?

Buona parte degli articoli sono scritti da un Tiziano non ancora giornalista. Stiamo parlando di un autodidatta: è sbalorditivo. Come stupefacente è la capacità di assimilare e analizzare ciò che lo circonda. Al di là dei fatti di cronaca – gli assassinii di Martin Luther King e Bob Kennedy, la guerra in Vietnam, le lotte degli afroamericani per i diritti civili – la stampa e la tv statunitense offrono in quel periodo esempi di grande giornalismo – le testimonianze asiatiche di Edgar Snow, Wilfred Burchett o William Hinton (che Tiziano intervisterà), l’autorevolezza dei volti tv come Walter Cronkite della CBS o The Huntley-Brinkley Report della NBC, le inchieste di I.F.Stone, il coraggio critico di una giovane Susan Sontag o il radicalismo di Noam Chomsky (li incontrerà entrambi), per non parlare di amici stretti come John McDermott direttore di Viet-Report. Se a tutto ciò aggiungiamo il breve stage al New York Times o la “devozione” verso cronisti come Walter Lippmann (fu lui a coniare il termine cold war) e James Reston, ecco che l’orizzonte di Tiziano si popola di modelli notevoli.

 

In cosa consisteva l’istinto da grande reporter di Terzani?

Preparazione e studio, sopra ogni cosa. Tiziano sapeva che per poter raccontare qualcosa, qualunque cosa, bisogna conoscerla a fondo. Ecco dunque emergere dagli articoli citazioni, letture accademiche, brani di interviste, statistiche, una sorta di data journalism ante litteram. Vediamo un Tiziano che si documenta, un Tiziano in perenne ascolto. Grazie a In America sappiamo che gli scoop che realizzerà sul fronte vietnamita sono il risultato di questo continuo apprendistato. Voglio dire che l’apparente facilità con cui racconterà il conflitto in Pelle di leopardo e Giai phong! – conquistando la fiducia e il rispetto dei contendenti – è il risultato di questo serio metodo di ricerca. Tiziano arriverà in Vietnam sapendo tutto della sua storia, del conflitto e degli attori in gioco. I suoi 6.000 libri dedicati all’Asia, conservati oggi alla Fondazione Cini, rivelano il livello della sua curiosità e della sua competenza.

 

Esiste ancora oggi quel tipo di giornalismo di cui Tiziano Terzani era un degno rappresentante?

A mio parere esiste. Una prova? Il drammatico e interminabile elenco dei reporter assassinati: Ilaria Alpi, Miran Hrovatin, Anna Politkovskaja, Daphne Caruana Galizia, Andy Rocchelli… Il buon giornalismo non è morto, ma senz’altro il Potere – di qualunque matrice sia, politica, finanziaria o religiosa – lo vorrebbe tale. Nessun giornalista aspira a diventare martire – sia ben chiaro – ma questo deve costringerci a riflettere sul valore della ricerca della verità. È proprio una questione di civiltà. Tiziano lo ripeteva spesso: i fatti possono nascondere la verità, o molte verità, e allora bisogna grattare, scavare, senza mai accontentarsi. Bisogna sfidare l’opacità, l’omertà e la paura. Altrimenti si fa solo propaganda o, ancor peggio, intrattenimento.

 

Come è cambiato il giornalismo oggi, alla luce del diffondersi di blog, social network e delle infinite opportunità  messe a disposizione dalla rete?

La stessa fabbricazione delle fakenews, capace oggi di mettere a rischio la reputazione delle persone, la stabilità dei mercati o l’equilibrio delle democrazie, rivela il rinnovato bisogno dei muckraker. Bisogna essere inattaccabili e credibili, ciò significa anche riconoscere i propri errori quando si sbaglia. Oggi sappiamo che i longread funzionano anche sul web, che i lettori sono disposti a pagare purché i testi siano ben scritti, curati e affidabili. Basta vedere il New Yorker: negli ultimi anni gli abbonamenti cartacei e digitali sono aumentati. Sul fatto poi che la pubblicità venga inghiottita dai grandi gruppi come Google e Facebook spetta al legislatore mettere ordine e smantellare gli oligopoli. Chi crea contenuti è giusto che venga pagato e il giornalismo merita di essere pagato come qualsiasi altra professione possibilmente abolendo l’enorme gender pay gap così pure lo sfruttamento dei giovani reporter.

Tiziano provocatoriamente diceva che avrebbe chiuso tutte le scuole di giornalismo. Intendeva il giornalismo come un “modo di vivere” e non un mestiere. Oggi il rischio che queste scuole di scrittura, questi master di giornalismo diventino dei “diplomifici” è reale, lo sappiamo bene. La tecnica si può insegnare, certo – anzi, forse la miglior cosa che possono fare queste scuole è scoraggiare i mediocri – ma la verità è che raccontare il mondo significa scegliere da che parte stare. Tiziano sentiva forte questa responsabilità. Il buon giornalismo poggia su una base etica che va esercitata e rinnovata ogni giorno. Senza etica l’avidità, la violenza e la cattiveria prevalgono, e allora non parliamo più di “modi di vivere”, ma di sopravvivere. Non è un caso che il migliore termometro per registrare la salute di una democrazia sia valutare la libertà di informazione: guardiamo i recenti casi in Russia, Slovacchia, Ungheria o Turchia.

Il Tiziano 30enne degli Anni ‘60, spavaldo ma riflessivo, scettico ma curioso, ci mostra non solo una vocazione o un talento, ma una direzione di vita: siamo disposti a impegnarci per la verità e per i più deboli, quelli che non hanno voce e mezzi? Siamo disposti a opporci all’ottusità e alla prevaricazione? Grazie a questi testi ci rendiamo conto quanto e come Tiziano abbia mantenuto questa coerenza per tutta la vita.

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