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Ilaria Mavilla, ”La rivoluzione culturale in Italia dovrebbe partire da ognuno di noi”

In un momento di crisi per il mondo della cultura, ciascuno dovrebbe operare da sé una piccola rivoluzione: spegnere la tv e trovare tempo per il pensiero. È quanto afferma Ilaria Mavilla, vincitrice con il romanzo “Miradar” della passata edizione del concorso letterario “ilmioesordio”. L’autrice si prepara a vedere il suo nome e il suo libro, in uscita a settembre per i tipi di Feltrinelli, sugli scaffali delle librerie, e in questo momento di attesa, ci racconta le sue speranze e i suoi timori...
In attesa il suo romanzo “Miradar” esca in libreria, la vincitrice dello scorso anno del concorso “ilmioesordio” parla delle sue aspettative e delle sue paure
 
MILANO – In un momento di crisi per il mondo della cultura, ciascuno dovrebbe operare da sé una piccola rivoluzione: spegnere la tv e trovare tempo per il pensiero. È quanto afferma Ilaria Mavilla, vincitrice con il romanzo “Miradar” della passata edizione del concorso letterario “ilmioesordio”, organizzato da ilmiolibro.it in collaborazione con la Scuola Holden. L’autrice si prepara a vedere il suo nome e il suo libro, in uscita a settembre per i tipi di Feltrinelli, sugli scaffali delle librerie, e in questo momento di attesa, ci racconta le sue speranze e i suoi timori…
 
Con quale spirito si è avvicinata al concorso e quali sono le sue sensazioni dopo la vittoria? 
 
Ho scoperto l’esistenza del concorso per caso, e avevo da poco finito di scrivere Miradar. Non avevo mai scritto un romanzo fino ad allora. Solo racconti brevi e soprattutto testi drammaturgici, brevi sceneggiature o testi per il teatro. Mi è sembrata subito un’occasione d’oro per avere un po’ di visibilità, dei lettori che non fossero solo gli amici o i parenti. Ma non avevo nessuna aspettativa sull’esito del concorso, anche perché eravamo veramente tanti a partecipare, oltre 2.600. Poi circa a metà del percorso di selezione mi resi conto di aver mal impaginato il romanzo, ci voleva la lente d’ingrandimento, era scritto piccolissimo, sembrava di leggere il foglio illustrativo dell’aspirina e allora ho pensato: “Figuariamoci,  la giuria si scoraggerà!” E invece, a quanto pare, hanno davvero fatto la fatica di leggerlo… 
Le mie sensazioni adesso sono contrastanti. Da un lato sono ancora incredula e felice, mi sembra  di vivere sospesa, in un sogno, dall’altro sono in ansia per quello che  mi aspetta, per l’uscita dall’anonimato, se così si può dire. Chi scrive a volte ha la tentazione di nascondersi dietro le parole. Invece adesso mi aspetta il confronto con il pubblico, con il mercato. Tutte cose che un po’ fanno paura. 
 
Quali prospettive le si aprono ora? Vuole fare della scrittura il suo lavoro? La vittoria al concorso ha rappresentato un’occasione importante?
 
Si, vorrei fare della scrittura il mio lavoro, vorrei raccontare storie. E’ il modo di stare al mondo. Il concorso mi ha aperto una porta, mi ha posto davanti una strada che è tutta da percorrere e bisogna vedere se ho buone gambe…
 
Come è nato “Miradar”? 
 
E’ nato da un racconto, quello che ora è il primo capitolo. Era un racconto che fotografava  un luogo dell’abbandono, un locale all’interno di un albergo fatiscente, in cui si esibiscono delle ragazze e in cui Margherita, che viene da un altro mondo, vuole fare la scrittrice, accetta di lavorare per pagarsi l’università. Era il racconto di una serata, le sue sensazioni, l’abbrutimento e l’esaltazione del sentirsi carne esposta allo sguardo degli altri. Poi ho capito che c’era molto di più da raccontare, c’era un mondo, c’era un’umanità ferita che cercava riscatto. Così ho provato a seguirne le tracce, a raccontarla, intrecciando le vite di cinque personaggi nell’arco di ventiquattrore: quelle in cui si compie il loro destino. 
 
Secondo i dati Istat, in Italia si legge meno che negli altri Paesi europei. A cosa è dovuta secondo lei la scarsa diffusione dell’abitudine alla lettura? Da scrittrice esordiente, quali strategie auspica che vengano adottate per promuovere un cultura del libro in Italia?
 
La gente lavora, torna a casa stanca, guarda la tv e al massimo legge qualche pagina per addormentarsi. Leggere richiede tempo e concentrazione, richiede fatica, la tv invece ci ha abituati ad una fruizione distratta. I contenuti sono lì, tutti già spiegati, c’è poco da immaginare…le parole invece evocano ma sta a noi decidere cosa e questo richiede un impegno, uno sforzo. Viviamo nel mito della conoscenza totale, senza buchi. Ovunque siamo, di qualunque cosa stiamo parlando, se ci viene un dubbio ce lo togliamo subito andando su internet. La conoscenza è a portata di mano, basta un click… e allora perché leggere? Per promuovere la cultura del libro basterebbe promuovere la cultura. Ci vorrebbe una rivoluzione culturale che però richiederebbe una rivoluzione economica, politica… mi sa che non ce la facciamo. Però forse ognuno può farla per sé una piccola rivoluzione, trovare il proprio tempo per il pensiero.
 
5 agosto 2012 
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