equestrato dai carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico e Culturale
MILANO – Non si trattava di un vero manoscritto di Gacomo Leopardi, ma di un calco
L’ANALISI – La svolta dopo un’analisi della Soprintendenza archivistica del Lazio, chiesta dalla Soprintendenza marchigiana, secondo la quale il manoscritto non può essere un autografo per misure e spaziatura tra le lettere, identiche ad un altro autografo custodito a Napoli, bensì un calco o facsimile. Intenzionalmente prodotto – secondo l’ipotesi accusatoria – per la vendita all’asta con un base di partenza di 150 mila euro. Se ne fosse stata dimostrata l’autenticità, l’autografo sarebbe stato il terzo dell’Infinito dopo quelli custoditi a Napoli e a Visso. La Regione Marche aveva annunciato l’intenzione di battersi affinché il documento, ufficialmente emerso dalle carte di una collezione privata, non finisse in mano ai privati, ma rimanesse allo Stato. Ma i dubbi sono emersi quasi subito, da parte dei discendenti del poeta e anche degli esperti del Centro Nazionale di Studi Leopardiani di Recanati.
L’INDAGINE –
Sono due i filoni di indagine, ha spiegato il procuratore della Repubblica di Macerata Giovanni Giorgio. Uno riguarda il proprietario del documento e il direttore della Biblioteca di Cingoli, indagati per aver detenuto un documento falso per farne commercio. Il secondo chi ha certificato l’autenticità del manoscritto, pur sapendolo falso. In questo caso i responsabili non sono stati ancora identificati.25 luglio 2014
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