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Il Premio Pulitzer Art Spiegelman e il fumetto come lezione di vita

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BAROLO – Art Spiegelman arriva all’incontro di Collisioni Festival, a Barolo, prima di tutti. La piazza è ancora chiusa, le sedie da disporre, ma il premio Pulitzer è già lì – camicia e cappello bianco – a preparare il materiale per il suo intervento. Quella del famoso graphic novelist è una vera e propria lezione di storia del fumetto. Secondo le parole del collega e moderatore Igort, un’esplorazione a trecentosessanta gradi delle potenzialità e dei linguaggi di questo mezzo narrativo, di cui Spiegelman è maestro indiscusso.

LA PASSIONE PER LE IMMAGINI – È Igort a invitarlo a parlare dei suoi amori, delle esperienze che hanno generato la passione per le immagini. Spiegelman coinvolge il pubblico proiettando proprio quelle immagini della sua biblioteca immaginaria. «Ho imparato a leggere grazie ai fumetti. Da bambino cresciuto in una famiglia i cui genitori non erano assimilati alla cultura americana, senza televisione, la mia finestra per guardare il mondo e la realtà americani erano i fumetti. Il mio vicino aveva una pila di albi di Batman, che mi spaventava e affascinava allo stesso tempo. Dalle figure non era possibile capire se fosse un personaggio buono o cattivo, per cui imparai a leggere le parole per scoprirlo».

L’IMPORTANZA DEI FUMETTI – Oltre alla lettura, i fumetti sono stati insegnamento di vita intera per il giovane Art: il sesso in Archie, la filosofia nei Peanuts, l’economia in Walt Disney – tanto da fargli confessare, oggi, che lo zio Paperone non può non ricordargli un nostro noto ex premier. Motivo per cui, scherza, il MAD Magazine di cui era accanito lettore era stato da lui convertito in acronimo di Mum And Daddy, sostituto dei genitori nel suo processo di apprendimento della vita attraverso la parodia e non la realtà.

ANEDDOTI – Ricorda quando, la domenica, era socialmente accettabile andare in chiesa invece di comprare fumetti. I tempi in cui, negli anni ’40, vigeva il Comic Code a regolare la pubblicazione e la censura dei comics, in un periodo in cui insegnanti e preti li bruciavano pubblicamente in piazza. Il processo attraverso il quale, con grande fatica e sforzo intellettuale, la graphic novel è riuscita a conquistare diritto all’esistenza nelle università e nel mondo letterario. Parole che, ascoltate dal vincitore di uno speciale premio Pulitzer istituito ad hoc per lui e il suo genere letterario, si caricano di intensità. Racconta un aneddoto su un suo amico e collega: «Una volta, ad una festa, venne presentato agli astanti con la definizione di romanziere grafico. Lui mi confidò che si sentiva come se fosse entrato nella stanza da prostituta e ne fosse uscito da Signora della notte».

IL CAPOLAVORO MAUS – Brillante oratore e vero intrattenitore, trascina il pubblico in una storia culturalmente dolorosa grazie a una straordinaria ironia. Come, d’altra parte, è stato magistralmente capace di fare con il suo capolavoro ”Maus”, pietra miliare della letteratura americana e mondiale e descritto da Igort come un’opera rivoluzionaria, inedita. Spiegelman ne racconta nascita e pubblicazione: un piccolo albo allegato alla rivista Raw, fondata con la moglie Françoise Mouly. «Stavo cercando un modo per dipingere un mondo migliore, solo una volta. Ma Françoise mi disse di continuare: è diventata la storia più lunga realizzata nella mia carriera, pensavo che avrebbe richiesto due anni di lavoro ma ne impiegai tredici. All’inizio si trattava di un fumetto underground con uno stile un po’ confuso, di tre pagine, e solo dopo averle realizzate mi accorsi che sarei dovuto andare avanti. Avevo quasi trent’anni e la gente mi diceva che non avevo combinato ancora nulla, gli anni Sessanta erano un periodo in cui alla mia età o eri finito o saresti morto in moto. Io in moto non sapevo andare e così pensai di fare qualcosa di lungo da poter essere letto più di una volta. Nacque, in parole migliori, questo romanzo grafico: non più un’opera underground per trasgredire e provocare, ma una storia autobiografica per assimilare il modernismo».

RACCONTARE L’OLOCAUSTO ATTRAVERSO METAFORE VISIVE – La potenza di Maus consiste nel raccontare l’olocausto attraverso metafore visive che non si era abituati a vedere. Quando Igort gli domanda il motivo della scelta di topi come personaggi per temi così drammatici, Spiegelman prosegue con la lezione e rivela che il cartoon è una forma che funziona per stereotipi, per farsi capire fa leva su una parte del cervello che è più pigra, e l’ebreo come topo era il naturale riferimento della cultura nazista. «Un’opera personale, che parte dall’esperienza dei miei genitori e continua adesso che ho figli, per mostrar loro che i fantasmi del passato sono ancora incombenti sul futuro». Il tempo a disposizione finisce. Spiegelman confessa di avere portato con sé, per l’incontro, materiale degno di otto ore di lezione. Si scusa per la stringatezza e, conclude, mostra l’intera storia della sua vita in sei box illustrati, che non necessitano di altre parole.

 

Clara Rizzitelli

22 luglio 2014

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