Pubblicato nel 2004, “Il complotto contro l’America” è un romanzo distopico di speculative fiction che immagina un 1940 in cui Roosevelt perde e alla Casa Bianca entra Charles Lindbergh, eroe dell’aviazione e simpatizzante dell’isolazionismo filotedesco.
Il complotto
Roth non scrive un trattato geopolitico, non mette in guardia il lettore, ma orchestra il complotto su carta, ipotizzando un qualcosa mai accaduto, così come fa “La svastica sul sole”, altra famosissima distopia.
La normalità?
Mette in scena una famiglia di Newark, gli ebrei Roth, e porta l’angoscia dentro casa. L’America proclama la neutralità, firma patti di non aggressione con Hitler e Hirohito, e una rete di programmi governativi “innocui” — Just Folks, trasferimenti “volontari” — comincia a disarticolare i quartieri ebraici e a normalizzare l’antisemitismo. È la forza del libro: farci sentire il cedimento democratico non nelle aule del potere, ma in casa.
“Roth crea la sua realtà magistralmente, in frasi lunghe e fluide… un accumulo di petits faits vrais che dissolve ogni residuo d’incredulità”, ha scritto Blake Morrison sul Guardian. L’orrore arriva per gradi, con una verosimiglianza quotidiana che fa più paura del sensazionale.
Un complotto o una critica?
Il narratore è Philip, bambino alter ego dell’autore che osserva ciò che accade tutt’intorno. In casa, il padre rifiuta la retorica lindberghiana, il fratello Sandy resta affascinato dal progetto, la zia Evelyn si lega al rabbino Bengelsdorf, figura vicina al nuovo potere.
Poi c’è Alvin, il cugino ribelle, che parte per arruolarsi coi canadesi contro la Germania. Lui tornerà mutilato, con una protesi che diventa segno visibile della guerra che “non riguarda” l’America ma incide sulle vite di tutti i suoi abitanti.
L’escalation arriva quando il giornalista Walter Winchell, voce critica del regime, viene assassinato. Seguono rivolte, pogrom, 122 morti nella cronaca del romanzo. Perfino chi credeva “impossibile” l’odio organizzato scopre che esiste ed è reale…
Per il Washington Post è un romanzo “infiammabile e dolorosamente commovente”, che lavora proprio sullo scarto tra il nostro “non può succedere qui” e la constatazione che le democrazie sono fragili quando cedono all’odio.
La casa come laboratorio politico
Roth sceglie la prospettiva infantile non per addolcire, ma per spostare la politica nell’intimo. La paura entra dalla porta di servizio: un vicino trasferito “per opportunità”, un insegnante che cambia tono, una mappa che “redistribuisce” famiglie ebree in Stati con storica ostilità. Il romanzo insiste sul linguaggio amministrativo che copre la violenza: integrazione come disgregazione, opportunità come sradicamento. E funziona perché il lettore condivide la camera da letto di Philip, percepisce l’aria che cambia prima di riconoscere la tempesta.
Critica internazionale: elogi, riserve, attualità
Il consenso critico del 2004 fu ampio, ma non unanime: oltre all’entusiasmo del Guardian (Morrison), Adam Mars-Jones — sempre sul Guardian — notava che la costruzione ucronica “trucca il mazzo”. La deriva autoritaria avanza più rapida che nella storia reale, e l’autore “accelera” per chiudere il cerchio narrativo. È un’obiezione utile perché evidenzia il patto finzionale: Roth non mima la complessità degli archivi, drammatizza la plausibilità di un cedimento. E, tuttavia, non avevano fatto i conti con il futuro.
Dal lato statunitense, Jonathan Yardley parlò sul Washington Post di romanzo “genuinamente americano”, non tanto per il tema ebraico quanto per la domanda fondativa: “quali anticorpi ha davvero la democrazia? […] Il libro”, scrive Yardley, “lavora sul nesso tra mito nazionale e paura: siamo sempre a un’elezione di distanza dall’autoritarismo, se smettiamo di vigilare”.
Il New Yorker è più volte tornato sul libro, leggendolo come un avvertimento sulle derive del culto della celebrità in politica e sull’erosione delle abitudini democratiche: The Plot resta potente perché interseca il privato e il pubblico, l’educazione sentimentale di un bambino e la mutazione del paesaggio civico.
“It can’t happen here”
Una delle chiavi del romanzo è la retorica del “non può succedere qui”. Roth la smonta mostrando come le democrazie cedano per modulazioni: prima linguaggio e burocrazia, poi intimidazione, infine violenza. Anche chi “non odia” finisce per adattarsi. La democrazia non è un limite. Lindbergh firma patti, evita la guerra, promette pace e prosperità — eppure a valle di quei gesti l’America cambia volto. È il tema che la stampa internazionale ha trovato più attuale: non sono necessari codici neri e saluti romani per trasformare una società; basta una catena di rinunce.
Come regge la prova del tempo
A distanza di vent’anni, Il complotto contro l’America non è solo “un romanzo ben scritto su un’idea forte”, bensì un testo che ci educa alla vigilanza e ci ricorda che i diritti non sono ornamenti, ma abitudini fragili; che le minoranze sono barometri della salute civica; che la propaganda entra a scuola, ridisegna le mappe, ristruttura le famiglie. La pagina in cui l’omicidio di Winchell innesca i pogrom è esemplare: l’odio salta dalla radio alla strada, e l’America “dei vicini” smette di esistere.
Dal libro allo schermo: l’adattamento HBO
Nel 2020 HBO ha trasformato il romanzo in una miniserie firmata da David Simon (The Wire), sottolineandone l’attualità. La serie insiste sul passo graduale dell’erosione democratica e sul punto di vista domestico, proprio come il libro; diversi critici hanno notato che l’adattamento rende visibile la normalizzazione del pregiudizio più che il suo clamore, con un’America che scivola verso l’odio senza accorgersene.
Hanno detto
The Guardian, Blake Morrison: “Creates its reality magisterially… an accumulation of petits faits vrais that dissolves any residual disbelief.”
“Crea la sua realtà magistralmente… un accumulo di petits faits vrais che dissolve ogni residuo d’incredulità.”The Washington Post, Jonathan Yardley: “Huge, inflammatory, painfully moving… our democracy is too fragile to withstand assault by the muscle of fascism.”
“Enorme, incendiario, dolorosamente commovente… la nostra democrazia è troppo fragile per resistere all’assalto del fascismo.”The Guardian, Adam Mars-Jones: “Stacks the deck against the author.”
“Trucca il mazzo contro l’autore.”