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“Il caso Bi” e la terapia della buona morte: il nuovo romanzo di Gaetano Cataldo

Dopo avere presentato su Libreriamo l’opera di esordio di Gaetano Cataldo, intitolata “Le reti di quadri”, mi ritrovo a presentare il secondo romanzo di questo Autore siciliano, intitolato “Il caso Bi” – pubblicato presso la Casa editrice Prova d’Autore di Catania – e devo premettere, senza enfasi, che si tratta di un vero e proprio gioiello letterario, che ha certamente superato il già eccelso risultato dell’opera letteraria precedente.

Devo anche dire che la circostanza che Gaetano Cataldo sia un mio collega e conterraneo – essendo entrambi magistrati e siciliani – costituisce per me un freno più che uno stimolo, essendo convinto che il pubblico si è stancato di opere narrative di magistrati-scrittori, generalmente noiose e spesso prive di reale sostanza letteraria.

Tuttavia, nel caso di Gaetano Cataldo si può tentare di superare la noia del pubblico verso le opere narrative dei maigistrati-scrittori e fare un’eccezione, giustificata dalla qualità eccelsa del romanzo di cui mi accingo a parlare, che quanti avranno la fortuna di leggere “Il caso Bi” potranno apprezzare. Il libro di Gaetano Cataldo, tra l’altro, per fortuna del lettore, non parla né di magistrati, né di poliziotti, né di investigatori dilettanti e non può essere ritenuto – nemmeno in senso lato – un racconto noir, pur contenendo un intreccio narrativo che tiene avvinto il lettore, dalla prima all’ultima delle 130 pagine che lo compongono.

Il romanzo di Gaetano Cataldo, in realtà, si pone al di fuori dagli schemi narrativi tradizionali – e troppo spesso oleografici, propri di tutte le catalogazioni letterarie – sia rispetto ai romanzi dei magistrati-scrittori sia rispetto ai romanzi degli scrittori-siciliani, limitandosi a raccontare una storia straordinariamente interessante e solo apparentemente siciliana.

Gaetano Cataldo, del resto, è una straordinaria scoperta della Casa editrice Prova d’Autore da sempre e mirabilmente attenta alle nuove leve del panorama letterario italiano, spesso lontane dai riflettori mediatici, come nel caso del nostro Autore, il quale, del resto, non rispecchia il normotipo del magistrato-scrittore – generalmente inquirente o comunque di estrazione penalistica – essendo un raffinato civilista proveniente dal mondo della ricerca universitaria e una persona fondamentalmente schiva e antiretorica.

 

Le radici letterarie del romanzo di Gaetano Cataldo vengono immediatamente percepite dal lettore che si approccia a “Il caso Bi”, attraverso la citazione dell’indimenticabile “Il Consiglio d’Egitto” di Leonardo Sciascia, effettuata nel primo capitolo del romanzo, dal dottor Saverio Madiere – il protagonista del racconto, uno psicoterapeuta chiamato anche l’Analista – che fa subito comprendere come il racconto si svilupperà come una riflessione sull’impostura, intesa sia come atteggiamento sociale e professionale dell’individuo, sia come categoria dell’animo umano.

Il riferimento a “Il Consiglio d’Egitto”, del resto, è esplicito ed è desumibile dalle parole pronunciate dall’avvocato Francesco Paolo Di Blasi, uno dei due protagonisti dell’opera sciasciana, richiamate dal dottor Madiere in una delle scene iniziali del romanzo, secondo cui: «In effetti… ogni società genera il tipo d’impostura che, per così dire, le si addice. E la nostra società, che è di per sé impostura, impostura giuridica, letteraria, umana… Umana, sì: addirittura dell’esistenza direi… La nostra società non ha fatto che produrre, naturalmente, ovviamente, l’impostura contraria».

Ne “Il Caso Bi”, tuttavia, l’impostura non è vista in una chiave sciasciana o comunque in una prospettiva storica, ma come categoria dell’animo umano e come specchio dell’ipocrisia dei rapporti sociali e professionali, tanto è vero che, dopo l’iniziale richiamo a “Il Consiglio d’Egitto”, il romanzo si allontana definitivamente dalla letteratura sciasciana per approdare verso sponde letterarie danubiane, vicine in parte a Svevo e in parte a Musil.

La verità è che l’opera narrativa di cui stiamo parlando non è un romanzo propriamente sciasciano né tantomeno Gaetano Cataldo può ritenersi un epigono di Leonardo Sciascia, essendo “Il caso Bi” un romanzo solo all’apparenza siciliano.

“Il caso Bi”, infatti, narra una storia quasi metafisica, in cui il Dottor Saverio Madiere, riflette per tutto il romanzo sulla sua impostura psicoterapeutica, grazie alla quale si è affermato nell’alta borghesia italiana, da cui è condizionato nello svolgimento delle sue azioni e nei suoi rapporti con i pazienti.

Queste riflessioni, in particolare, traggono origine da un legato ereditario ricevuto da un mercante d’arte suo paziente, il Signor Emme, da poco defunto, consistente in due dipinti del pittore di scuola olandese Michiel Van Musscher, pretesi dal figlio del paziente.

 

Dunque, l’intreccio narrativo trae origine da due dipinti di scuola olandese ricevuti in eredità, per il cui, presumibile, elevato valore il Dottor Madiere teme ritorsioni da parte del figlio del suo paziente. Questi timori, del resto, si rivelano immediatamente fondati e da essi si dipana la trama narrativa del romanzo, che si incentra non tanto sulla paura del protagonista di perdere le due opere d’arte, quanto piuttosto sul pericolo di vedere svelata la sua impostura professionale, in conseguenza degli attacchi personali nel frattempo orditi nei suoi confronti dal figlio del signor Emme.

Questi timori, a ben vedere, derivano al Dottor Madiere dal ruolo professionale ambiguo che si è ritagliato nel mondo della psicoterapia italiana, che è quello di “terapeuta della buona morte”, con cui assiste gli esponenti dell’alta borghesia italiana che si avvicinano alla morte, supportandoli moralmente nel momento finale della loro esistenza, senza un approccio terapeutico vero e proprio, ma con la forza delle parole, leggendo loro passi di opere letterarie in cui si parlava della morte e commentandoli. Si tratta, in questo caso, della somma impostura del nostro protagonista, affrontata dal nostro Analista senza turbamenti, sfogliando, come si dice in un passaggio del racconto, per «un altro petalo l’ingenuo fiore dell’esistenza, e dar ragione al vecchio medico viennese sulla mancanza di innocenza, anche nel gesto più innocente».

Da questo spunto narrativo iniziale si sviluppa una galleria di personaggi straordinari, che ruotano attorno all’idea ossessiva del protagonista – che, in questo, ricorda l’Andrea Bernava de “L’erede del beato” dell’insuperato Angelo Fiore – di neutralizzare le possibili azioni ritorsive poste in essere nei suoi confronti dal figlio del Signor Emme.

Attraverso questa galleria Gaetano Cataldo dà vita a una sorta di teatrino di maschere-mimi, proposta in termini letterari davvero straordinari. Ciascuno di questi personaggi, a ben vedere, è un tassello della commedia umana tracciata mirabilmente dall’Autore sul filo conduttore dell’impostura: umana, sociale, professionale.

Tra questi personaggi, posizione centrale, anche narrativa, è certamente quella del Presidente Foglianese che risulta determinante per la risoluzione dei problemi del Dottor Madiere, dando origine a una rocambolesca serie di vicende personali, all’esito delle quali il protagonista del romanzo uscirà enormemente rafforzato, sia umanamente che professionalmente.

Il Presidente Foglianese, in realtà, è il personaggio centrale della seconda parte del romanzo di Gaetano Cataldo, in cui il Dottor Madiere si muove, a Roma, tra Palazzo Chigi e la Chiesa del Gesù, in una sorta di pendolo tra le residenze degli uomini politici di riferimento dell’epoca in cui è ambientato il romanzo – in concomitanza con le ultime elezioni politiche nazionali – senza però fare comprendere ai lettori a quale degli esponenti di quel periodo si faccia di volta in volta riferimento.

Nella seconda parte del romanzo, dunque, la riflessione sull’impostura di Gaetano Cataldo si sposta da un piano personale e professionale a un piano più marcatamente politico, dando origine a una riflessione sull’ipocrisia del potere, governato, nel nostro Paese, da rituali vacui e privi di effettiva sostanza ideologica.

Come si è detto, alla fine del romanzo il Dottor Madiere esce rafforzato nella sua posizione di psicoterapeuta di fama nazionale.

La sorte dei due dipinti di Van Musscher, invece, viene chiarita alla fine del romanzo, con una soluzione inaspettata per il lettore.

 

In questa appassionante cornice narrativa – in un ribaltamento progressivo della prospettiva originaria, in una sorta di gioco di specchi borgesiano – la figura del Dottor Saverio Madiere, che appare inizialmente come una figura irritante, assume, nello sviluppo della narrazione, contorni simpatici e comunque comprensibili nell’ottica pessimistica che governa il punto di vista dell’Autore sulla vita pubblica italiana; alla fine il Dottor Madiere risulta quasi simpatico, in quel teatrino di maschere-mimi della vita pubblica italiana, governato dall’impostura, descritto in modo straordinario dal nostro narratore.

Quanto alla possibile impostura professionale collegata alla psicoterapia, mi sembra che dal romanzo emerga un punto di vista epistemologico condivisibile, essendo evidente che l’Autore pensi che l’impostura non sia una connotazione propria della psicoterapia in quanto tale, ma della pratica che ne viene fatta da molti inadeguati professionisti del settore.

Il senso dell’impostura professionale che aleggia nel romanzo di Gaetano Cataldo emerge, a ben vedere, dalle modalità con cui il Dottor Madiere selezionava la sua clientela, per comprendere le quali occorre richiamare le parole dell’Autore che dice: «Tra le prime precauzioni con cui aveva avviato il gabinetto di psicoterapia v’era stata quella di non accettare mai casi che potessero invadere il campo della psichiatria; per questo, a ogni nuovo caso, la prima verifica che Madiere compiva era sempre a lume di D. S. M., il Dizionario di Salute Mentale, che teneva, discreto, nella libreria bassa dietro la scrivania e da cui non si separava mai».

In questa cornice, il tema dell’impostura si afferma fino alla fine del romanzo, fino cioè allo stesso “caso Bi”, inteso come vicenda clinica del Signor Bi, in relazione alla quale l’Autore lascia il lettore dubbioso, non comprendendosi se l’impostura peggiore sia quella politica del Signor Bi o quella messa in piedi dal dottor Saverio Madiere che, in fondo, è nient’altro che un tragicomico mestierante.

Alla fine comunque, probabilmente, il migliore tra i personaggi del teatrino di maschere-mimi del romanzo di Gaetano Cataldo è il figlio del Signor Emme che difatti per metà – per parte di madre – è olandese; profilo, questo, che ha una sua decisiva importanza nell’inquadrarne le connotazioni caratteriali e lo sviluppo del racconto.

Consiglio a tutti i lettori di Libreriamo di immergersi nella lettura di questo splendido romanzo, dal quale rimarranno avvinti e appassionati, come raramente accade nella lettura di un’opera narrativa.

 

Alessandro Centonze

 

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