“I vedovi” di Boileau-Narcejac, un noir sull’amore tossico e la mascolinità ferita

22 Luglio 2025

Scopri il romanzo "I vedovi" di Boileau-Narcejac e il suo profondo messaggio su amore tossico e mascolinità sofferente.

"I vedovi" di Boileau-Narcejac, un noir sull’amore tossico e la mascolinità ferita

C’è qualcosa di profondamente inquieto e malinconico che attraversa le pagine de “I vedovi”, il romanzo scritto nel 1970 da Pierre Boileau e Thomas Narcejac, tornato da poco in libreria grazie alla nuova edizione Adelphi.

È un libro cupo, claustrofobico, dal ritmo serrato, che non ha bisogno di morti eclatanti per restare impresso nella mente del lettore.

Parla di dubbi, di ricerca e di tradimento. Il suo orrore non è nella violenza ma nella psiche, nella crepa, nella vertigine che si apre quando l’identità maschile — fragile, offesa — non sa più sostenere il peso di sé.

“I vedovi” di Boileau-Narcejac, un noir senza tempo

Il protagonista è Serge Mirkine, un attore radiofonico e scrittore fallito, geloso fino all’ossessione della moglie Mathilde. Lei è troppo bella, dice. Lavora in un ambiente frequentato da uomini, le fanno delle fotografie per pubblicizzare maglioni e cardigan, e Serge proprio non lo sopporta.

La gelosia di Serge, però, non è solo passione: è un meccanismo difensivo, paranoico, quasi autodistruttivo , che si attiva nel momento in cui l’uomo percepisce la donna come più desiderabile, più libera, e quindi minacciosa per la sua identità. Mathilde non è più solo una donna, è un oggetto. E questo è il primo passo verso la costruzione di un amore tossico, che ha ben poco di amoroso e moltissimo di possessivo.

Quando Serge inizia a sospettare un tradimento, non cerca conferme oggettive, ma alimenta il dubbio fino a farlo diventare certezza. Ogni parola, ogni gesto di Mathilde viene reinterpretato con malizia, come se non potesse più esistere alcuna innocenza. In questa spirale paranoica, Serge agisce: indaga e uccide l’uomo che crede sia l’amante della moglie, ma la realtà gli sfugge subito dopo, quando Mathilde — quella stessa Mathilde che guadagna più di lui — muore in un incidente…

Da questo momento, “I vedovi” prende una piega ancora più perturbante e Serge, ormai trasformato in un inetto, può solo osservare da lontano il disfacimento della propria vita, quasi come in una punizione karmika.

“I vedovi” è una beffa nera, letteraria e simbolica: l’uomo che ha perso il controllo sulla realtà, perde anche la paternità. E con essa, l’ultimo brandello di potere.

Una mascolinità ferita

A rendere “I vedovi” così attuale è la sua capacità di raccontare una mascolinità che si frantuma davanti alla libertà dell’altro. Serge Mirkine è un uomo che vive la propria insicurezza come vergogna e rabbia. Il suo risentimento si incanala verso la donna che non riesce più a contenere: troppo bella, troppo distante, troppo autonoma. Così la idealizza, la demonizza, la annienta.

Tra loro non c’è dialogo, non c’è scambio. Lui ha un bisogno patologico di riscatto, che si traduce prima in controllo, poi in punizione.

Questa dinamica richiama da vicino le logiche della filosofia redpill, che negli ultimi anni ha trovato diffusione in ambienti online frequentati da uomini convinti di essere stati ingannati, scartati, umiliati da un sistema che privilegia gli “altri”, quelli che vengono chiamati Chad. E anche la donna ha la sua colpa: viene vista come manipolatrice, ipergama, colpevole, proprio come Mathilde.

L’uomo redpillato si sente buono ma non abbastanza — e quindi diventa vendicativo. Esattamente come Serge. Serge non teorizza nulla, non appartiene a una comunità, ma incarna un archetipo: l’uomo che vive l’amore come specchio della propria autostima, e che quando quel riflesso lo delude, si spezza e punisce. Si sente tradito non tanto dalla moglie, quanto dall’immagine che lei gli restituisce di sé: quella di un uomo mediocre, insoddisfatto, irrilevante. E l’unico modo che ha per reagire è distruggere ciò che lo ha messo di fronte a questa verità.

Un noir psicologico, non un giallo

Ma “I vedovi” non è un romanzo contro le donne, né un semplice caso di cronaca travestito da letteratura. È un noir mentale, un roman de la victime, come lo definivano i critici francesi. Non si cerca l’assassino, ma si segue la deriva psichica della vittima di sé stesso. Non si indaga un crimine, ma un’identità che si sbriciola.

Boileau e Narcejac sono maestri nel costruire una tensione che non esplode, ma corrode. Non c’è suspense nel senso tradizionale, ma un senso crescente di disagio, di oppressione, di follia trattenuta.

L’atelier in cui Serge e Mathilde vivono non è solo un luogo fisico, ma una trappola emotiva. Tutto è ridotto, sospeso, claustrofobico. Il lettore si ritrova immerso in una nebbia psicologica in cui ogni gesto è ambivalente, ogni certezza può rovesciarsi.

Leggerlo in un’epoca in cui si parla sempre più di mascolinità fragile

Quando la violenza psicologica, le relazioni sbilanciate e le manipolazioni affettive sono all’ordine del giorno, “I vedovi” si rivela un romanzo d’obbligo, più attuale che mai. Moderno nella sua crudezza, nel suo pudore, nella sua lucidità. Parla di mascolinità tossica, di mascolinità fragile, di dubbi che fanno vacillare l’ego maschile.

Leggerlo oggi significa anche riflettere su quanto il desiderio di controllo possa nascere da un vuoto, da una ferita mai sanata, da un bisogno di riconoscimento che scambia la cura per possesso. È un libro che parla del nostro tempo pur venendo da un’altra epoca. Perché le ossessioni umane, alla fine, cambiano poco.

In Serge Mirkine convivono il narcisismo e il vittimismo, l’orgoglio ferito e la voglia di scomparire. È un personaggio disturbante ma tristemente comprensibile. E in questo, Boileau e Narcejac non lo condannano né lo assolvono. Lo raccontano. E basta.

Ed è proprio questo che rende il romanzo così disturbante: ci costringe a guardarlo senza poterlo dimenticare.

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