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I libri da leggere dopo l’attentato di Parigi

Cosa leggere dopo i fatti di Parigi? E, poi, vale ancora opporre cultura e pensiero di fronte all’orrore? A quest’ultima domanda la risposta è immediata ed è un sì

MILANO – Cosa leggere dopo i fatti di Parigi? E, poi, vale ancora opporre cultura e pensiero di fronte all’orrore? A quest’ultima domanda la risposta è immediata ed è un sì. E sarà sempre sì, almeno fino a quando su questa Terra ci sarà qualcuno che vorrà farsi chiamare essere umano. Appare più complesso rispondere invece al primo interrogativo.

COSA LEGGERE? – Chi scrive ha provato a guardare dentro il grande mare dei libri dedicati al mondo arabo, al terrorismo, alla storia dei rapporti fra Occidente e Oriente, a quella delle relazioni internazionali. La scelta è assolutamente arbitraria, personale; dimentica certamente molti volumi che, invece, dovrebbero essere letti per primi. Storia, dunque, e attualità, approfondimento di storie personali e indagini ampie di scenario.

 

Se si sceglie di partire dall’approfondimento delle vicende passate per capire meglio quelle presenti, occorre andare a scavare molto indietro nel tempo. Serve, quindi, riprendere in mano la “Storia delle crociate di Steven Runciman (Einaudi) che non fa sconti a nessuno e racconta, in maniera chiara e precisa, i fatti di allora che tanta eco ebbero per i secoli successivi.  Radici, per molti, di quanto ancora oggi accade. “Nonostante lo spirito cavalleresco e romanzesco che le accompagnò – scrive Runciman di queste guerre -, non lasciarono alcun beneficio duraturo e aumentarono l’animosità fra le grandi religioni della cristianità e dell’Islam”.

 

Crociate, dunque, come guerre sante combattendo le quali ci si metteva nella condizione di ricevere una “ricompensa spirituale”. Ma cosa ne pensarono gli Arabi? Per capirlo è bello leggere “Le crociate viste dagli Arabi di Amin Maalouf (SEI). Amin vuole guardare al di là della barricata e vede una serie di guerre che, scrive,a tutt’oggi sono considerate “dagli Arabi come un vero atto di violenza”.  Runciman ha studiato ad Eton e Cambridge, nominato Sir rappresenta quanto di meglio abbia potuto esprimere la storiografia inglese; Maalouf è nato in Libano, figlio di letterati, ha studiato economia e dall’Oriente si è spostato in Occidente. Origini opposte, formazioni diverse per arrivare alla stessa conclusione: il male di oggi ha radici antiche e complesse. Crociate ma non solo, però.

 

L’orrore è vario. Per capirne origine e stato attuale è utile, per esempio, leggere “ISIS. Lo stato del terrore di Loretta Napoleoni (Feltrinelli) che dettagliatamente spiega l’ultimo anno di storia, dalla nascita del Califfato agli sviluppi più recenti e che immediatamente pone di fronte il lettore ad una verità scomoda: “Per la prima volta dalla fine della Prima guerra mondiale un’organizzazione armata sta ridisegnando la mappa del Medio Oriente tracciata da francesi e inglesi”. E non basta perché metodi e strategie di guerra di questa nuova entità, sono un misto di passato e presente. Si decapita e si usa contemporaneamente la tecnologia più sofisticata per colpire. In Occidente nessuno, forse, aveva pensato ad un futuro di questo genere.

 

Capire, poi, è imprescindibile per agire. E, per comprendere, è utile sapere anche che in fin dei conti si è di fronte a degli assassini. Fa aprire gli occhi allora “Reparto assassini. La mentalità dell’omicidio di massa di Abram de Swaan (Einaudi). Perché gli assassini dell’ISIS sono poi come quelli dei nazisti oppure dei  Khmer rossi – tanto per citare alcuni esempi  storici -, cambiano, per ora, le dimensioni delle uccisioni, ma fanatismo, condizionamento mentale, annientamento del raziocinio umano appaiono drammaticamente simili. Alla base, non solo il retaggio del passato, ma una sete di potere tutta dell’oggi.

 

E per comprendere ancora meglio e bene, anche basandosi sull’esperienza di chi ha visto.  E’ necessario quindi leggere “Il grande califfato di Domenico Quirico (Neri Pozza), che ha scritto un libro intenso di ricordi e di indagine giornalistica, da leggere lentamente, con attenzione. Quirico mischia passato e presente, ricordi personali di lavoro e di prigionia. Racconta il Califfato e sottolinea che non è in un altro mondo, ma qui, vicino all’Occidente, ad un’ora di volo dall’Europa. “Sì – dice quasi alla fine della sua fatica letteraria -, l’avanzata dell’islamismo fa veramente paura il giorno in cui ti accorgi che ne respiri, tra ciucche parolaie,  quasi inconsapevolmente e senza trasalire l’aria insulsa e sanguinosa”.

 

Ma è tutto orrore il mondo Arabo? Da una parte tutti i buoni e dall’altra tutti i cattivi? Certamente no, anche se è necessario saper guardare bene.

Oltre alla realtà, magari, per scoprire origini comuni. E’ l’esperienza che si vive leggendo Storie dal cuore del mondo. Cristiane, ebraiche, musulmane, buddiste, induiste a cura di Johanna Marin Coles e Lydia Marin Ross (Einaudi).  Quindici racconti induisti, cristiani, ebraici, musulmani e buddisti che fanno capire come ogni tradizione sia capace di reinventare e celebrare la generosità, la tolleranza o l’amicizia. E, al di là delle differenze, quanto gli esseri umani condividano storie e valori, fra essi così vicini.

 

Mondi fantastici, certo, eppure nati dalla realtà Così, certamente non esiste più il mondo raccontato da “Le mille e una notte” che pur andrebbe letto (bella l’edizione integrale di Einaudi con un testo di  Tahar Ben Jelloun, ma anche quella di Garzanti). Lì, c’è, come appunto scrive Ben Jelloun, “una leggenda, un’immagine evanescente che non corrisponde a nulla di reale”.  Eppure seguendo le avventure prima a Baghdad (di tradizione arabo-musulmana), e poi in Egitto (per lo più al Cairo), si scorge molto di moderno, di voglia di emancipazione che dall’Oriente arriva fino a noi. Certo, altro dalla drammatica realtà dell’oggi ma che pur fa parte della tradizione araba.

 

Così come ne fanno parte i viaggi e le esplorazioni di cui proprio i mercanti arabi furono maestri. Basta guardare allora “Isolario arabo medioevale” di Angelo Arioli (Adelphi), raccolta di resoconti di viaggio di isole mirabili, piccoli universi dagli ambigui confini, viste, immaginate e raccontate da autori musulmani di varia provenienza (dall’Iraq alla Persia, al Marocco, alla Spagna), mercanti e viaggiatori, ma anche sedentari compilatori di opere geografiche, in un arco di tempo che va dalla metà del IX al XV secolo. Fantasia e realtà anche in questo caso, che dicono molto sulla cultura araba e si avvicinano altre meraviglie come quelle delle Finzioni di Borges oppure delle città invisibili di Calvino.

 

E che pensare degli Arabi descritti i “I sette pilastri della saggezza” di Thomas E. Lawrence (Mondadori)? Lì, avventura e onore si alternano con un ritmo incalzante. Storia di una voglia di indipendenza e di tradimenti, il racconto di  Lawrence è forse troppo spesso messo in secondo piano. Spiega, forse una certa parte dell’origine dei mali del tempo presente.

 

Leggere, allora, diventa porsi delle domande e cercare affannosamente delle risposte che necessariamente non sono semplici, univoche, certe e definitive. E’ quanto accade scorrendo le pagine di “Una storia di amore e di tenebra” di Amos Oz (Feltrinelli). Romanzo lungo oltre trent’anni di vita famigliare in un’Israele ancora quasi in fasce, storia di persone (arabe ed ebree, e poi inglesi, occidentali e orientali), che semplicemente convivevano fino a quando la grande storia ha deciso diversamente. Scrive Oz: “Impariamo a rispettare gli altri popoli: ogni uomo è creato a immagine divina, anche se lo dimentica continuamente”.

 

Già, accecati dal fanatismo, annichiliti dalla violenza, resi sordi dal frastuono della battaglia, costretti a difendersi dalla paura del proprio vicino, gli uomini dimenticano l’origine comune. Allora, è bello chiudere questa corsa lungo pochi fra i tanti libri da leggere dopo i fatti di Parigi, con un altro volume di Oz: “Contro il fanatismo” (Feltrinelli). Poche pagine – nemmeno cento -, che demoliscono ogni istinto fratricida, azzerano ogni giustificazione e aprono alla speranza che il mondo sia altro dal sangue e dalla morte.

Andrea Zaghi 

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