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Han Kang, 5 libri da leggere della scrittrice sudcoreana

Scopri i principali libri da leggere della scrittrice sudcoreana Han Kang, vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura 2024

La scrittrice sudcoreana Han Kang ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura 2024 per “la prosa intensamente poetica che si confronta con i traumi storici e che espone la fragilità della vita umana”.

Già vincitrice del Man Booker International Prize nel 2016 e del Premio Malaparte nel 2017, Han Kang è il primo rappresentante del suo Paese a vincere un Nobel in questa categoria.

5 libri da leggere scritti da Han Kang

Scopriamo l’opera della scrittrice sudcoreana attraverso le 5 letture che l’hanno resa celebre e fatta apprezzare in tutto il mondo.

La vegetariana (2019)

Si tratta del libro vincitore del Man Booker International Prize, e che ha reso nota la scrittrice sudcoreana Han Kang in tutto il mondo. In questo libro, la scrittrice esplora la conturbante bellezza delle forme di rinuncia più estreme, accompagnando il lettore fra i crepacci che si aprono nell’ordinario quando si inceppa il principio di realtà – proprio come avviene nei sogni più pericolosi.

L’ora di greco (2023)

Scritto dopo “La vegetariana” e definito dal la stessa autrice “quasi un suo lieto fine”, L’ora di greco si insinua – avvolto in un bozzolo di apparente semplicità – nella mente del lettore, come un “assurdo indimostrabile”, una voce limpida e familiare che arriva da un altro pianeta.

In una Seoul rovente e febbrile, una donna vestita di nero cerca di recuperare la parola che ha perso in seguito a una serie di traumi. Le era già successo una prima volta, da adolescente, e allora era stato l’insolito suono di una parola francese a scardinare il silenzio. Ora, di fronte al riaffiorare di quel mutismo, si aggrappa alla radicale estraneità del greco di Platone nella speranza di riappropriarsi della sua voce.

Nell’aula semideserta di un’accademia privata, il suo silenzio incontra lo sguardo velato dell’insegnante di greco, che sta perdendo la vista e che, emigrato in Germania da ragazzo e tornato a Seoul da qualche anno, sembra occupare uno spazio liminale fra le due lingue. Tra di loro nasce un’intimità intessuta di penombra e di perdita, grazie alla quale la donna riuscirà forse a ritornare in contatto con il mondo.

Atti umani (2017)

Han Kang, con il terso, spietato lirismo della sua scrittura, scruta tante vite dilaniate, racconta oggi l’indicibile, le laceranti dissonanze di un passato che si voleva cancellato.

Una palestra comunale, decine di cadaveri che saturano l’aria di un “orribile tanfo putrido”. Siamo a Gwangju, in Corea del Sud, nel maggio 1980: dopo il colpo di Stato di Chun Doo-hwan, in tutto il paese vige la legge marziale. Quando i militari hanno aperto il fuoco su un corteo di protesta è iniziata l’insurrezione, seguita da brutali rappresaglie; “Atti umani” è il coro polifonico dei vivi e dei morti di una carneficina mai veramente narrata in Occidente.

Conosciamo il quindicenne Dong-ho, alla ricerca di un amico scomparso; Eun-sook, la redattrice che ha assaggiato il “rullo inchiostratore” della censura e i “sette schiaffi” di un interrogatorio; l’anonimo prigioniero che ha avuto la sfortuna di sopravvivere; la giovane operaia calpestata a sangue da un poliziotto in borghese. Dopo il massacro, ancora anni di carcere, sevizie, delazioni, dinieghi; al volgere del millennio stentate aperture, parziali ammissioni, tardive commemorazioni.

Convalescenza (2019)

Col suo tocco elusivo, la prosa scabra di Han Kang sfiora ancora una volta l’orrore senza spiegarlo e ci lascia, attoniti, a contemplare la disturbante malìa del rifiuto di sé.

Una donna cerca risposta agli interrogativi che la morte della sorella ha lasciato insoluti: perché, senza un motivo apparente, aveva cominciato a detestarla? Perché, pur essendo in tutto più dotata, si sentiva inferiore a lei? Perché sembrava tenere la vita a distanza, “come se scansasse del cibo dall’odore nauseante”? E nel secondo pannello di questo dittico di racconti un’altra donna, per sfuggire a un’esistenza che la intossica, a poco a poco si trasforma in una pianta: la sua inquietudine si placa, il suo corpo sofferente fiorisce e dà frutti – prima di appassire, forse per sempre.

Ci sembra di conoscerle, queste figure femminili che richiamano i motivi e l’aura della Vegetariana, ma non cessano di stupirci per la loro straniata singolarità. Creature dolenti, sedotte dal richiamo dell’autoannientamento come unica forma di difesa dalla violenza insita nel nutrirsi, nel sentire, nel vivere. “Presto, lo so, perderò anche la capacità di pensare, ma sto bene. È da tanto tempo ormai che sognavo questo, di poter vivere solo di vento, sole e acqua”.

The White Book (2018)

In edizione inglese e non ancora tradotto in italiano, “The White Book” è una meditazione sul colore, che inizia con un elenco di cose bianche. Ma è anche un libro sul lutto, sulla rinascita e sulla tenacia dello spirito umano. È una sorprendente indagine sulla fragilità, la bellezza e la stranezza della vita da parte di una delle grandi voci letterarie del nostro tempo.

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