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Perché Grazia Deledda è una donna simbolo di emancipazione e libertà

Il 15 agosto 1936 si spegneva Grazia Deledda, grande scrittrice sarda, diventata simbolo di emancipazione femminile e libertà.

“La vita di Grazia Deledda è una storia di emancipazione e di libertà”. Lo ha detto l’ex ministro della Cultura, Dario Franceschini, nel corso del convegno “Grazia Deledda – Donna, scrittrice, premio Nobel – Femminista ante litteram”, tenutosi nel 2022 alla Camera dei Deputati.

Nel giorno in cui ricordiamo l’anniversario della scomparsa della grande scrittrice sarda, ripercorriamo insieme la vita di Grazia Deledda, scoprendo la sua importanza e il suo ruolo di simbolo di emancipazione e libertà.

La modernità di Grazia Deledda

“Grazia Deledda, ha dovuto lottare contro pregiudizi e incomprensioni, – ha proseguito, durante lo stesso convegno, Dario Franceschini – sia in vita che dopo la morte. In vita, quando con straordinario talento e coraggiosa determinazione ha perseguito la propria vocazione, in un’epoca e in una società che relegavano le donne prevalentemente in una posizione di subalternità.

E dopo la morte quando, per lungo tempo una parte della critica letteraria, anch’essa dominata dagli uomini, l’ha confinata in un cono d’ombra, misconoscendone il valore, per ritornare, ai giorni nostri, a coglierne l’assoluta grandezza di narratrice. Ma come suggerisce il titolo dell’iniziativa di oggi, è la vita stessa della Deledda che ne rivela la eccezionale modernità.

È una storia di emancipazione e di libertà. Con spirito controcorrente e fiducia delle proprie capacità, ha saputo sfidare e superare gli ostacoli e difficoltà che si frapponevano alla sua vocazione letteraria, lei donna, e proveniente da un territorio all’epoca periferico e marginale”.

Il giusto riconoscimento all’autrice

“Grazia Deledda si è aperta al mondo – ha continuato Franceschini – e ha superato i limiti imposti dal suo tempo, affrontando la lettura di autori italiani e stranieri, e intessendo una fitta rete di corrispondenze, di scambi, di rapporti culturali. Moderna nella sua determinazione, ha spesso saputo rompere gli schemi e precorrere i tempi. Le istituzioni hanno un debito verso Grazia Deledda, che a lungo ha subito, nel recente passato, una sorta di ostracismo nel riconoscimento che merita nel pantheon culturale del Paese”.

L’opera di Grazia Deledda ha un inestimabile valore. Eppure, la scrittrice e i suoi libri spesso non vengono studiati nelle scuole, e di conseguenza sono poco conosciuti, poco frequentati anche da chi ama leggere i classici. Nel corso degli ultimi anni, delle iniziative – alcune promosse proprio dal Ministero della Cultura – hanno contribuito a conferire la giusta centralità a un autrice che dai giovani non è conosciuta, come non è conosciuta la ricchezza delle sue opere.

Grazia Deledda

Grazia Maria Cosima Damiana Deledda, nota semplicemente come Grazia Deledda, è nata a Nuoro il 28 settembre 1871 ed è morta a Roma il 15 agosto 1936. Deledda è stata una scrittrice italiana vincitrice del Premio Nobel per la letteratura 1926. È ricordata come la seconda donna, dopo la svedese Selma Lagerlöf, a ricevere questo riconoscimento, e la prima italiana.

Maria Grazia Deledda è stata una scrittrice che ha indubbiamente lasciato il segno nel mondo della letteratura. Vinse il Premio Nobel per la Letteratura con la seguente motivazione: “Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano.”

La sua carriera letteraria incomincia nel 1888, quando invia a Roma alcuni racconti, ”Sangue sardo” e ”Remigia Helder”, che vengono pubblicati dall’editore Edoardo Perino sulla rivista ‘L’ultima moda’. La conferma di scrittrice arriva qualche anno più tardi, nel 1903, con la pubblicazione di ”Elias Portolu”, avviando una fortunata serie di romanzi e opere teatrali.

Tra i suoi principali libri ricordiamo Canne al vento (1913), La madre (1920), La via del Male (1896),  Cegranere (1904), Elias Portolu (1903).

Photocredits: Nobel Foundation

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