Sei qui: Home » Libri » Giuseppe Di Piazza ”Paolo Borsellino incarna il volto migliore del nostro Stato”

Giuseppe Di Piazza ”Paolo Borsellino incarna il volto migliore del nostro Stato”

In occasione dell'anniversario della strage di via d’Amelio, ecco il personale e toccante ricordo da parte del giornalista e scrittore palermitano nei confronti di Paolo Borsellino

MILANO – “Se noi riusciamo a sostituire la sottocultura della sopraffazione con la cultura dei diritti rispettati, del rapporto sano tra Stato e cittadino, la mafia sarà veramente sconfitta”. Solo in questo modo è possibile proseguire il progetto di legalità di Paolo Borsellino secondo il giornalista e scrittore palermitano Giuseppe Di Piazza. A distanza di 25 anni dalla strage di via D’Amelio, in questa intervista Giuseppe Di Piazza ci spiega cosa ha rappresentato per l’Italia una figura come quella del magistrato Borsellino.

Quanto è ancora attuale una personalità come quella di Paolo Bersellino?

Paolo Borsellino incarna il volto migliore del nostro Stato. Servitori della Repubblica come lui e Falcone hanno avuto la capacità di riportare sotto il controllo dello Stato l’amministrazione della giustizia. Entrambi hanno sacrificato la loro vita per dimostrare che la mafia non comanda, non amministra la giustizia: sono lo Stato e la Repubblica a farlo. Paolo Borsellino è stato un bravissimo magistrato, ha lavorato con dedizione insieme a Giovanni Falcone ed a coloro che hanno istituito il maxiprocesso, allo scopo di dare una grandissima spallato che lo Stato ha dato a Cosa Nostra. Sulla sua morte ci sono ancora dei punti non chiariti. Borsellino e Falcone hanno combattuto per noi una battaglia di libertà e di principio, provando ad affrancare un intero popolo dal dominio della mafia. Un principio, quello dello Stato che amministra la giustizia, che tutela tutte le generazioni a venire.

Purtroppo Falcone e Borsellino sono di stretta attualità anche in seguito ai recenti incresciosi episodi vandalici accaduti a Palermo legati alla loro memoria…

La battaglia che Borsellino e Falcone hanno combattuto, insieme a tutta la magistratura, alla polizia, ai carabinieri ed a tutto l’apparato dello Stato, non è ancora finita. Esistono fatti di resistenza culturali ed in certi momenti criminali. Certo, la mafia è in grande difficoltà rispetto a 30 anni fa, ma non è morta. Finché ci sarà la cultura della sopraffazione, la mafia rimarrà in vita. Se noi riusciamo a sostituire la sottocultura della sopraffazione con la cultura dei diritti rispettati, del rapporto sano tra Stato e cittadino, la mafia sarà veramente sconfitta.

Le viene in mente un aneddoto emblematico del Borsellino uomo?

La cosa più straordinaria fu l’aneddoto che scrissi la notte in cui venne assassinato insieme alla sua valorosissima scorta, i cui componenti sono anch’essi da ricordare sempre. Quella notte ricordo che scrissi questa storia assurda: Borsellino e Falcone andarono all’ex carcere dell’Asinara, ospitati dal ministero di Grazie e Giustizia, per scrivere l’ordinanza di rinvio a giudizio del maxiprocesso e rimasero li chiusi tutta l’estate a scrivere. Alla fine di questo lavoro, arrivò a Falcone e Borsellino il conto da pagare per il soggiorno all’Asinara. Si trattava di una delle maldestre ed ottuse applicazioni della norma, ma è ovvio che lo Stato italiano era in una tale confusione in quel periodo da mandare il conto a due giudici come loro per aver passato un’intera estate chiusi dentro ad un carcere, a scrivere l’ordinanza di rinvio a giudizio più importante della storia della lotta contro la mafia.

© Riproduzione Riservata