Gennaio 2026: 11 titoli che state aspettando

29 Dicembre 2025

Tra i titoli che l'editoria di gennaio di regala questo 2026, noi di Libreriamo ne abbiamo scelti alcuni che sappiamo state aspettano: scrittori italiani e non.

Gennaio: 11 titoli che state aspettando

Gennaio è da sempre il mese dei nuovi inizi e, per chi ama leggere, non c’è modo migliore di inaugurare l’anno se non con una pila di libri freschi di stampa da aggiungere alla propria mensola.

Il 2026 si apre con un calendario editoriale ricchissimo, che spazia dalle ristampe di Oriana Fallaci e Thomas Mann ai thriller più adrenalinici, fino a saggi che promettono di farci riflettere profondamente.

Gennaio in libreria

Nei titoli che vi proponiamo in questo articolo troverete i libri più attesi, quelli firmati dai grandi scrittori, o che hanno fatto scalpore all’estero, o che ancora sappiamo potrebbero piacervi.

Non vi resta che leggere le trame…

“Finding Her Edge. Passione sul ghiaccio” di Jennifer Iacopelli

Uno sport-romance che usa il pattinaggio artistico come arena emotiva, un libro che parla di eleganza e coreografie, ma anche, e soprattutto, di genealogie ingombranti e aspettative cucite addosso come un costume di scena troppo stretto.

Adriana Russo è una promessa cresciuta dentro una dinastia: genitori campioni olimpici, una sorella maggiore altrettanto talentuosa, un futuro che sembra già scritto. Il suo obiettivo è quello di raggiungere i Mondiali Juniores a Parigi e continuare la “tradizione Russo” per dimostrare che il successo non è soltanto ereditarietà, ma anche bravura e impegno. Poi però la realtà in cui vive s’incrina: la pista di famiglia rischia di chiudere e quel terreno solido su cui aveva costruito ogni certezza diventa improvvisamente fragile.

A rimescolare le carte arriva Brayden, nuovo partner di danza sul ghiaccio. Un ragazzo affascinante, mediatico, perfetto per accendere la chimica (e l’attenzione). Da qui l’idea che oggi suona quasi inevitabile: trasformare l’affiatamento sportivo in una storia “vendibile”, una relazione finta capace di galvanizzare i fan e attirare sponsor. Il problema è che la finzione, a forza di essere recitata, comincia a chiedere pegno.

Mentre Adriana prova a capire se sta inseguendo un sogno o l’immagine di un sogno, dal passato riappare Freddie, il primo partner e il primo amore: un ritorno che riapre ferite, desideri e conti mai saldati.

“L’alba dei leoni. La saga dei Florio” di Stefania Auci

Siamo nel 1772, a Bagnara Calabra, un paese “stretto tra rocce e mare” dove tutto è duro, compatto, chiuso: anche la vita. Vincenzo Florio lavora il ferro e sembra fatto della stessa materia; Rosa, sua moglie, tiene insieme casa e lutti, figli nati e figli perduti. La famiglia vive di orgoglio e di ostinazione, come se difendere il presente fosse un mestiere.

Ma il destino, si sa, nella storia dei Florio è beffardo e sfilaccia piano i legami, li mette alla prova. Prima c’è la fuga di un figlio, ribelle e sognatore, che scopre quanto la libertà sappia essere esaltante e carissima. Poi ci si mette la natura, “più matrigna che madre”, capace di sbriciolare in un attimo case, uomini, speranze. Infine si affaccia un’idea nuova: lasciare quella stretta di terra e puntare verso un’isola dove circolano soldi e potere…

Quando nel 1799 Paolo e Ignazio Florio arrivano a Palermo, non sanno ancora che cosa diventeranno. Il romanzo li segue nel momento in cui il futuro non ha contorni: si intravede soltanto, come un’alba appunto, e chiede coraggio, fiuto, e la capacità tipicamente familiare di trasformare la necessità in ambizione.

“Woman Down” di Colleen Hoover

In “Woman Down”, Colleen Hoover sposta il suo talento per la tensione emotiva su un terreno meta-letterario: la protagonista, Petra Rose, è una scrittrice “caduta” nel modo più contemporaneo possibile, travolta non da un singolo fallimento privato, ma dal tribunale collettivo dei social. Un film tratto dal suo romanzo più famoso è andato storto, e con lui la reputazione: Petra diventa bersaglio, viene etichettata come bugiarda e venduta, e la sua identità pubblica comincia a divorare quella reale.

Quando le parole (che sono un po’ la sua vera casa) si inceppano, Petra sceglie l’isolamento: una baita sul lago, un silenzio che dovrebbe rimettere ordine, un manoscritto che potrebbe salvarla anche economicamente. Ma il romanzo, invece di diventare cura, si trasforma in una stanza piena di ombre.

A romperne l’equilibrio arriva Nathaniel Saint, detective affascinante e ambiguo: porta notizie inquietanti, e soprattutto porta una presenza. Petra lo usa come “ricerca” per scrivere, lui entra nella narrazione come un personaggio vivo, e il confine tra carta e carne inizia a flettersi fino a diventare pericoloso.

Hoover costruisce così una storia dove l’attrazione si mescola alla dipendenza creativa, e la domanda sotterranea è sempre la stessa: chi ha davvero il diritto di raccontare una vita? Il mondo che ti riscrive addosso una colpa, o tu che provi a riprenderti la tua versione? In gioco non c’è solo un libro da finire, ma una voce da ritrovare.

“Il nido del corvo” di Piergiorgio Pulixi

In “Il nido del corvo” Piergiorgio Pulixi apre la storia con un segnale che sembra impossibile: dopo sei mesi di silenzio, il cellulare di Angela Floris (una ragazza svanita nel nulla nella penisola del Sinis) si riaccende. È l’innesco di un’indagine che non procede per indizi “normali”, ma per reperti che somigliano a messaggi.

Sul luogo del rilevamento gli ispettori Daniel Corvo e Viola Zardi trovano infatti una firma macabra: una mano femminile, troncata e conservata come se fosse stata preparata con cura, quasi con devozione.

Da qui, il romanzo diventa un duello. Il killer non si limita a uccidere, ma guarda, studia, contempla e, soprattutto, colleziona parti delle vittime come opere, trasformando la scena del crimine in una galleria oscena e studiata.

Corvo e Zardi, partner per necessità e opposti per natura, entrano così in una caccia che è anche una prova di tenuta personale: lui ha una disciplina da monaco guerriero, radicata nella famiglia e nella fede come argine ai traumi; lei è un “spirito in tempesta”, attratto dall’azzardo, capace di mettere ordine nel caos solo quando lo incanala nel lavoro.

Quando un’altra ragazza scompare, diventa chiaro che non stanno solo inseguendo un assassino: sono stati scelti. E più si avvicinano alla verità, più l’indagine rivela la propria geometria di incubo, orchestrata tappa dopo tappa, sullo sfondo di una Sardegna crepuscolare e magnetica, dove la bellezza del paesaggio non consola: amplifica.

“Andarsene” di Roxana Robinson

Andarsene” (“Leaving”, in originale) di Roxana Robinson parte da un evento minuscolo e decisivo: un incontro casuale in un teatro di New York, quando la vita dovrebbe essere già “chiusa” nelle sue forme adulte. Sarah e Warren si erano amati ai tempi del college; poi persi, si sono sposati con altri, hanno costruito famiglie, lavoro, abitudini. Decenni dopo, ormai sessantenni, si ritrovano e la passione torna più rischiosa (perché arriva quando i legami sono reali, stratificati, e ogni scelta ha un prezzo).

Sarah, divorziata e fuori New York, avverte questo ritorno come un risveglio fisico e morale: sentirsi viva significa anche riconoscere quanto a lungo si è vissuto per dovere, per organizzazione, per i figli. Warren, ancora sposato a Boston, sembra meno disposto a proteggere l’equilibrio: vorrebbe rompere, ma teme la reazione della moglie e della figlia. E così il romanzo diventa una domanda che non lascia scampo: che cosa siamo disposti a far saltare per non sentirci in trappola? E, soprattutto, chi paga quando finalmente decidiamo di voler essere felici?

Robinson scrive con un passo classico e preciso, senza melodramma: mette sotto la lente le promesse, i compromessi, la lealtà, la tentazione di una seconda vita. Non a caso la critica l’ha definito “coinvolgente e perturbante” (Meg Wolitzer) e ha insistito sul suo nucleo duro: “cosa ci chiede l’amore e chi deve pagarne il prezzo?” (Geraldine Brooks). Un romanzo che fa parlare l’adulterio fino alle sue conseguenze.

“Sara, le origini” di Maurizio de Giovanni

Sara, le origini” è un libro che prende una figura già “di culto” e la riporta al punto zero. Sara Morozzi è una donna addestrata a stare ai margini: ha lavorato nell’unità più discreta dei Servizi, dove si impara a leggere le persone prima ancora che parlino, a cogliere le crepe nel labiale, nei silenzi, nelle esitazioni.

Poi c’è la frattura: la morte del figlio. Sara si ritira, ma il dolore non è un luogo dove si può restare davvero in pace. Proprio quell’indagine la costringe a rientrare, e il romanzo (che raccoglie due racconti lunghi, Sara che aspetta e Sara al tramonto) racconta l’istante in cui una madre ferita diventa di nuovo un’operativa: non una detective “di scena”, ma una presenza che ascolta, osserva, rimette in ordine ciò che gli altri lasciano cadere.

Napoli, con i suoi bordi e le sue ombre, è il teatro perfetto per questo sguardo laterale. E intorno a Sara si formano legami essenziali, quasi funzionali eppure umanissimi: Teresa Pandolfi, Davide Pardo, Viola. “Sara, le origini” è l’ingresso naturale in un mondo dove la verità non arriva con un colpo di genio, ma con la tenacia di chi sa stare nell’ombra e, proprio per questo, vede meglio.

“Come un miraggio” di Banana Yoshimoto

Come un miraggio” è un Banana Yoshimoto un po’ laterale e prezioso: un dittico di racconti lunghi in cui l’amore non arriva come salvezza, ma come una corrente che costringe a guardare in faccia ciò che fa male.

Nel primo testo, Toriumi Ningyo vive sola con la madre: il padre è una presenza pesante, instabile, come un fronte di tempesta che non passa mai davvero. Quando incontra Arashi, nasce un innamoramento fragile, il primo, e proprio questa fragilità diventa un termometro: non misura quanto ci si sente al sicuro, ma quanta verità si riesce a reggere. Prendersi cura della madre le rivela che crescere non è “diventare forti” — è imparare la profondità, come si impara il mare: limpido e terribile nella stessa inquadratura.

Nel secondo racconto, Santuario, la notte su una spiaggia mette in contatto altre due vite scheggiate: Tomoaki, inchiodato a un lutto che non smette di lavorare sotto pelle, e Kaoru, che ha perso ciò che amava. Il loro legame nasce in sottrazione, fatto di ascolto e di piccoli gesti, e finisce per diventare insieme conforto e rivelazione: una prova, tenue ma concreta, che la tenerezza può essere una forma di resistenza.

Uscito subito dopo il successo di “Kitchen” e pubblicato oggi per la prima volta in Italia, “Come un miraggio” fa sentire l’impronta dei manga shōjo nella limpidezza emotiva e nei dettagli quotidiani: un libro che cattura lo scintillio dell’essere giovani e l’inquietudine di un’età in cui il domani è ancora un’ipotesi.

“Crudele illusione” di Sophie Clark

In “Crudele illusione”, Sophie Clark prende uno dei motori narrativi più seducenti del fantasy romantico contemporaneo (la guerra eterna) e lo accende con una miccia più ambigua: il desiderio come campo di battaglia. Da oltre un secolo, umani e demoni si inseguono in una lotta senza tregua, guidati da leader capaci di trasformare la fede, l’orgoglio e la vendetta in strategia. In questo scenario entra Selene Alleva, combattente addestrata nella prestigiosa Accademia Vaticana: un’educazione al controllo, alla disciplina, all’idea che il bene sia una linea netta e che l’avversario vada cancellato, non compreso. Dall’altra parte c’è Jules Lacroix, soldato che sembra scritto per la vittoria: implacabile, “invincibile” come una leggenda che cammina.

Quando le loro traiettorie si incrociano, l’odio è immediato, quasi fisico. Ma lo è anche l’attrazione: un cortocircuito che rende ogni scontro un avvicinamento, ogni battuta una presa di posizione. La storia gioca con il piacere del “nemici-amanti”, senza limitarlo a formula: costringe Selene e Jules a collaborare, li mette davanti a un segreto capace di incrinare le certezze di entrambi, e soprattutto spinge Jules a dubitare della propria natura mentre Selene deve decidere che cosa significhi davvero appartenere a una fazione.

Bestseller (e presentato come N.1 in Inghilterra), il romanzo promette ritmo “epico” e scene da adrenalina, ma il suo nucleo è più intimo: se nella lotta tra demoni e umani può esserci un vincitore, quel vincitore è l’amore — e il prezzo da pagare per riconoscerlo. Non a caso la critica lo ha definito “bellissimo e surreale”: perché qui la guerra esterna è lo specchio più crudele di quella interna.

“Contrattacco” di Sohn Won-pyung

In “Contrattacco”, Sohn Won-pyung sposta il suo sguardo dall’adolescenza ferita di Almond al teatro quotidiano dell’ufficio: un luogo dove l’ingiustizia non si presenta come tragedia, ma come micro-umiliazione continua, procedure assurde, gerarchie che pretendono obbedienza emotiva oltre che lavorativa. La protagonista, Jihye, è “una donna comune” per scelta e per stanchezza: lavora nell’amministrazione della Diamant Academy e ha imparato l’arte della sopportazione, quel silenzio strategico che evita l’errore fatale (un’email sbagliata, un passo fuori linea) e intanto consuma dall’interno.

L’equilibrio si rompe quando arriva Gyuk, stagista con un’energia da sabotatore pacifista: invece di adattarsi, osserva. E dove gli altri vedono routine, lui vede un sistema. Nasce così un piccolo collettivo di “ribelli” da scrivania che passa dalle fantasie di rivalsa a gesti concreti: azioni minime ma simboliche, proteste clandestine, una creatività quasi infantile che ridicolizza il potere e restituisce corpo a chi si sentiva trasparente.

Il bello del romanzo è la sua traiettoria: non resta nella commedia di vendetta. Man mano che gli attacchi aumentano, la storia si fa più seria e più tenera, perché la ribellione non è solo contro i capi, ma contro la rassegnazione. Jihye scopre che cambiare non significa diventare “straordinari”: significa scegliere, insieme ad altri, di non lasciarsi definire dall’umiliazione. E in quel passaggio, il contrattacco diventa una forma di esistenza.

“Atlante della nera milanese” di Giuseppe Paternò Raddusa

Atlante della nera milanese” di Giuseppe Paternò Raddusa parte da un’idea semplice e inquietante: una città non dimentica davvero nulla. Le storie, anche quelle più scomode, restano incastrate nel suo tessuto come polvere nelle crepe dei marciapiedi. Milano, che attraversiamo ogni giorno con la velocità di chi “ha da fare”, nasconde sotto la superficie una stratificazione di sangue, scomparse, processi, misteri irrisolti, ferite che il tempo non ha mai ricucito del tutto.

Paternò Raddusa, autore del podcast true crime Demoni urbani, costruisce questo libro come una mappa sommersa. Non è un catalogo di atrocità, né una sequenza di cronache da consumo rapido: è un viaggio geografico e storico nei delitti che hanno segnato la città, nei casi celebri e in quelli rimasti ai margini della memoria collettiva, e soprattutto nei luoghi che li hanno ospitati. Appartamenti, strade, quartieri: scenari che oggi appaiono “normali”, ma che portano ancora l’eco di passioni estreme, violenze improvvise, ossessioni, errori, silenzi.

La Milano raccontata qui non è una sola. C’è la parte più glamour e scintillante, la “Milano da bere”, e poi la Milano politica degli anni Settanta, segnata da tensioni e formazioni che insanguinano piazze e strade. C’è il periodo d’oro delle bande armate, con figure che diventano quasi mitologiche nel racconto urbano, e c’è la città popolare del secondo dopoguerra, lontana dalla vetrina contemporanea di certe zone oggi ripulite e desiderabili.

Il risultato è una guida alla Milano oscura che, più che spaventare, costringe a guardare: perché il passato non è alle spalle, ma sotto i nostri passi, e continua a pulsare proprio dove la città finge di essere solo presente.

“La cucina dei libri di Soyangri” di Kim Jee-hye

In “La cucina dei libri di Soyangri” Kim Jee-hye immagina un luogo che somiglia a un antidoto: non una fuga dal mondo, ma un modo diverso di tornarci. Yujin, cresciuta nella Seoul tentacolare, sceglie il contrario dell’iper-velocità urbana e si trasferisce in un piccolo villaggio tra colline e ciliegi.

La primavera è alle porte quando inaugura il progetto a cui ha dedicato mesi: “La Cucina dei Libri”, un hanok ristrutturato diventato libreria, caffè e casa d’incontro, con camere in cui fermarsi a dormire. L’idea è semplice e radicale: creare un rifugio per anime stanche come la sua, un posto dove il silenzio non è imbarazzo e la gentilezza non chiede spiegazioni.

Quando le porte aprono, la storia si muove attraverso chi varca quella soglia. I clienti arrivano tutti nel mezzo di una svolta: Dain, cantante famosa, cerca pace e anonimato lontano dal clamore del successo; Sohee, giovane avvocatessa, è scossa da una diagnosi medica inattesa che rimette in discussione i suoi piani; Suhyeok sogna di diventare regista di musical ma inciampa tra una carriera che non decolla e l’attrito con un padre incapace di ascoltarlo.

Fra scaffali, tazze fumanti e dolci, le conversazioni rallentano, l’imbarazzo si scioglie e ciascuno scopre che può raccontarsi senza essere ridotto alla propria ferita.

La trama procede per micro-trasformazioni, più emotive che spettacolari. Un libro scelto al momento giusto funziona come una torcia: illumina una paura, nomina un desiderio, rende meno opaca una decisione. Il cibo consola senza retorica e l’ospitalità costruisce una comunità temporanea ma reale. A Soyangri la “magia” non è un trucco: è il potere delle storie e delle relazioni umane di rimettere in moto la vita, con una tenerezza concreta.

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