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Francesco Paolo Tanzj, ”La sofferenza è il passaggio necessario per chi vuole rinascere, rinnovarsi a nuova vita”

''Con questo libro voglio lasciare il messaggio che ogni scrittore vuole lanciare ai propri lettori, nel tentativo di concretizzare quel mistero che rende l’arte vero anello di congiunzione tra tempo e spazio, tra singolo e umanità, tra solitudine e condivisione'. Parola dello scrittore Francesco Paolo Tanzj

‘Con questo libro voglio lasciare il messaggio che ogni scrittore vuole lanciare ai propri lettori, nel tentativo di concretizzare quel mistero che rende l’arte vero anello di congiunzione tra tempo e spazio, tra singolo e umanità, tra solitudine e condivisione’. Parola dello scrittore Francesco Paolo Tanzj, autore di ”Ci vediamo da Jole”, libro che parla di un intenso e appassionato scambio epistolare tra due amici-cugini durato ben dieci anni che si interseca con le affannose storie di una generazione conficcata nel tempo delle incrollabili fedi e dei rigurgiti esistenziali che rifluiscono poi, senza apparente soluzione di continuità, nell’avvolgente riflessione onirica del protagonista, ricoverato nel reparto rianimazione di un ospedale dopo un coma dovuto a un incidente sulla neve. Ecco come l’autore ci presenta la sua opera.

Come nasce l’idea del libro?

Secondo me i libri nascono senza un preciso perché. C’è qualcosa comunque che cova dentro l’autore e che lo spinge a scrivere ciò che inevitabilmente doveva – deve – uscire allo scoperto.

Per me, forse, è stata l’esigenza di ricordare Jole e le sue tagliatelle paglia e fieno o i messaggi cifrati degli amici di un tempo, visi, luoghi e avventure conservati nei cassetti dell’anima, fuoriusciti all’improvviso chissà come e perché. Poi, è la penna – o la tastiera del computer – che prende il sopravvento e di getto sciorina parole, immagini, frasi, capitoli di un’unica vicenda che assume corpo e sostanza indipendenti.

Per i protagonisti del libro, ha tratto dalla sua esperienza personale o da storie legate all’attualità?

Come dice Gustav Flaubert, “Madame Bovary c’est moi”. Sono e non sono io. Ma che importa? Esperienze vissute e fantasia si mescolano continuamente, soprattutto nella seconda parte. Così come per lo scambio epistolare, cha fa da fil rouge a tutto il romanzo.

 

Quali sono le caratteristiche principali dei personaggi?

Le esperienze vissute dai personaggi sono ambientate nei primi  anni ’70 quando, pur se tra fallimenti e inconcludenze, si respirava comunque la voglia di cambiare e cambiarsi, accomunati da un principio speranza che rendeva forti anche i deboli e spingeva quei pochi che ci credevano a pensare che tutto si potesse realizzare, anche l’amore, la pace, la compassione, la giustizia e – perché no? – la felicità.

Solo fatti, però; niente nostalgia o banale retorica del tempo che fu. Storie, accadute o che sarebbero potute accadere, raccontate per chi c’era e per chi non c’era.

 

Quale messaggio vuole lanciare con questo libro?

Il messaggio è quello che ogni scrittore vuole lasciare ai propri lettori, nel tentativo di concretizzare quel mistero che rende l’arte vero anello di congiunzione tra tempo e spazio, tra singolo e umanità, tra solitudine e condivisione. La sofferenza è il passaggio necessario per chi vuole rinascere, rinnovarsi a nuova vita…

Questo romanzo vuole andare oltre il tempo e parlare agli altri con tutta la sincerità possibile.

19 agosto 2014

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