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Francesco Nicodemo, “Ecco come i social network hanno cambiato la comunicazione”

“Disinformazia” nasce per svelare le alterazioni subite dall’informazione in rete che condizionano in maniera inconsapevole e profonda la nostra visione del mondo

MILANO – “Disinformazia” nasce per svelare le alterazioni subite dall’informazione in rete che condizionano in maniera inconsapevole e profonda la nostra visione del mondo. A scriverlo è Francesco Nicodemo, esperto di comunicazione e innovazione digitale, a cui abbiamo chiesto quanto il web e i social network stanno trasformando le relazioni interpersonali e la possibilità di costruire un nuovo senso civico nella società.

Come è nata l’idea/necessità di questo libro?

L’idea di scrivere Disinformazia. La comunicazione al tempo dei social media, pubblicato da Marsilio Editori, è nata dalla curiosità nei confronti della comunicazione, dal desiderio di capire alcune dinamiche che ci vedono coinvolti e di riflettere su una serie di fenomeni di ampia portata che partono dai media ma riguardano anche altri ambiti come quello politico, economico e sociale. In particolare ho iniziato a scrivere questo libro durante i giorni in cui il Regno Unito decideva di lasciare l’Unione Europea e infatti il testo richiama i principali eventi a cui abbiamo assistito da quel momento in poi.

Ritieni che i social network complessivamente abbiano acquisito più una forza aggregativa o divisiva tra le persone?

Probabilmente non possiamo scegliere nessuna delle due risposte in termini assoluti. Quando abbiamo iniziato a conoscere la rete molti l’hanno presentata come uno strumento in grado di rendere le persone più libere e più informate. I social network permettono di far comunicare le persone a prescindere dalla distanza e dai ruoli. Con il tempo però, gli esperti hanno evidenziato alcuni meccanismi contraddittori del Web. In Disinformazia ho provato a elencarli ed esaminarli, penso agli algoritmi che di fatto filtrano le informazioni a cui abbiamo accesso contribuendo a creare le filter bubble di cui ha parlato Eli Pariser e su cui non a caso le piattaforme stanno lavorando per attenuarne i risvolti negativi. Penso alle echo chamber, ovvero al fatto che sia per la tendenza a interagire con chi è simile a noi, sia per la selezione operata dalle piattaforme che tendono ad accontentare i propri utenti, di fatto ci ritroviamo in luoghi virtuali a nostra immagine e somiglianza. Penso alla possibilità che confrontando le nostre opinioni con chi la pensa come noi, queste diventino ancora più estreme e quindi polarizzate. Penso all’hate speech o ai troll. Dire quali aspetti prevalgano tra quelli positivi e negativi della rete non è facile. Non possiamo esprimere una valutazione definitiva in un campo in costante evoluzione. Ciò che possiamo fare è però capire certe dinamiche per adoperare questo straordinario strumento in maniera più consapevole.

Molti ritengono sfatato il mito di internet come il luogo della comunicazione orizzontale e partecipata. Qual è la tua idea al riguardo?

I media tradizionali si basavano su un modello “one to many“, mentre i nuovi mezzi di comunicazione almeno in via teorica, permettono l’interazione e adottano la formula “many to many”. Basta questo a favorire la partecipazione? Evidentemente no, in parte per le dinamiche a cui accennavo prima che di fatto frammentano il pubblico disperdendolo in gruppi omogenei al proprio interno che difficilmente vengono in contatto tra loro, in parte perché in realtà stiamo ancora provando a capire la rete e le sue innumerevoli potenzialità. L’avvento di Internet sta modificando usi e costumi, ha rivoluzionato il mondo del lavoro, sta ponendo interrogativi di carattere economico e normativo e naturalmente sta incidendo sulla comunicazione. Di certo aiuta la partecipazione ma è necessaria una figura, quella del community organizer. In altre parole servono soggetti che conoscono la rete e che mettono a disposizione degli altri le proprie competenze sia per aiutare gli utenti a districarsi nel flusso ininterrotto di informazioni, sia per realizzare una effettiva interazione. Inoltre il coinvolgimento e la partecipazione devono riguardare sia l’online che l’offline.

“Haters”, “cyberbullismo”, “fake news”: ritieni siano effetti collaterali della comunicazione digitale o crisi della coscienza critica delle persone?

Molti dei fenomeni verso cui si punta il dito esistevano già, la rete ha reso tutto più veloce e più palese. Provare a riflettere su come contrastarli è giusto ma è necessario farlo nei modi opportuni. Inoltre, sempre più spesso sentiamo parlare di coding e di programmi per potenziare le conoscenze informatiche e digitali ma accanto a questo, è importante allenare il pensiero critico. Per distinguere il vero dal falso, per individuare le differenze tra un dato di fatto e una opinione, semplicemente per stare in rete è fondamentale riscoprire tutte quelle materie utili alla riflessione, all’approfondimento, alla coscienza critica. In base a quello che vedo inoltre, i più esposti alle dinamiche più controverse della rete non sono i ragazzi che hanno già una certa dimestichezza con il web, ma ad esempio la mia generazione o quella dei miei genitori, quindi forse dovremmo ipotizzare dei programmi di educazione digitale non solo nelle scuole ma anche in altre forme che possano arrivare agli utenti di tutte le età. Spesso dico che servirebbe un programma come “Non è mai troppo tardi” di Alberto Manzi ma aggiornato alle esigenze attuali.

In che modo i libri e la lettura, in un’Italia che legge poco, possono (se possono) accelerare il salto culturale del nostro Paese?

Ho la fortuna di leggere molto e la chiamo fortuna non a caso, perché i libri aiutano nel lavoro, nella vita, nei rapporti interpersonali. Quest’anno ho sperimentato cosa si prova ad essere un autore ed è un’esperienza meravigliosa provare a mettere nero su bianco conoscenze e riflessioni e farlo per gli altri. Scrivo molto, scrivo da sempre, su giornali e in rete ma farlo su un libro, che sia cartaceo o ebook, è qualcosa di speciale ed emozionante. Con le presentazioni poi mi sto rendendo conto come il sapere alimenti altro sapere perché ognuno aggiunge una parte di riflessione, un concetto, il nome di un autore o il titolo di un altro testo e dopo ci sentiamo tutti più ricchi non solo perché abbiamo imparato qualche nozione in più, ma perché abbiamo avuto un’altra occasione per riflettere e appunto per allenare quel pensiero critico di cui parlavamo in precedenza. Da questo punto di vista i libri sono imprescindibili e la rete proprio grazie all’interazione aiuta a scambiarsi informazioni e consigli di lettura. Non nascondo infatti che molti autori e testi li ho scoperti navigando sul web o parlando con altri utenti e nonostante l’agenda fitta trovo sempre il tempo per leggere, magari in treno tra una presentazione e l’altra di Disinformazia.

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