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Emiliano Gucci, ”Per me la scrittura è sempre una scoperta, in corsa”

''Chi si avvicina alla lettura, spesso si ritrova in compagnia di qualcosa di cui può fare a meno, fugge e non torna più. Dovremmo, invece, ognuno secondo la propria sensibilità, essere stregati da libri bellissimi, magnetici, da cui è impossibile liberarsi''...
Lo scrittore ci presenta il suo nuovo romanzo “Nel vento”, scritto per “seguire i pensieri del centometrista e con lui correre la gara”

MILANO – “Chi si avvicina alla lettura, spesso si ritrova in compagnia di qualcosa di cui può fare a meno, fugge e non torna più. Dovremmo, invece, ognuno secondo la propria sensibilità, essere stregati da libri bellissimi, magnetici, da cui è impossibile liberarsi”. Queste le parole di Emiliano Gucci a proposito della situazione della lettura in Italia. L’autore ci ha presentato il suo ultimo libro “Nel vento”, la storia di un atleta che negli istanti che precedono una gara –fondamentale – si ritrova a ripercorrere tutta la sua vita. Correre per il protagonista è il modo per fuggire da se stesso ma anche per trovare delle risposte imprescindibili. L’intervista è occasione per riflettere anche sulla scrittura, una necessità sulla quale Gucci dichiara di aver costruito la sua vita.

Da cosa è nata l’idea del libro?
Dalla consapevolezza di quanto sono lunghi i momenti che precedono una gara velocissima come i cento metri. Correvo, da ragazzino, e ricordo attimi infiniti, densi di attesa e di pensieri, in cui trovare la concentrazione significa innanzitutto estromettere ciò che è inutile alla corsa, che avrebbe soprattutto bisogno di gambe e cuore, non di cervello.
In seguito, in merito a questo romanzo, ho fissato le frasi con cui il protagonista comincia a raccontare: «Nel 1992 mio padre uccise mio fratello nella neve. Nel 2007 ho perso Caterina per sempre. Io per questi motivi corro». Ecco: io, per quei motivi, ho scritto.
 
L’atleta protagonista del suo romanzo sta per affrontare una gara decisiva. Ai blocchi di partenza, nel tempo infinitesimale che precede il colpo di pistola e nei brevi istanti in cui si gioca la gara, tutta la vita del protagonista scorre sotto i suoi occhi. In che modo, secondo lei, correre aiuta il protagonista a ritrovarsi?

Innanzitutto fuggendo da se stesso, dalla persona che era nel giorno in cui il padre ha ucciso suo fratello: un ragazzino inerme, bloccato sulla propria sedia, incapace di agire per evitare la tragedia. Poi, corsa vissuta come anestetico, «osservando tutto troppo rapidamente per registrare, troppo affannosamente per capire» come dice lui stesso. Corsa per emanciparsi, superarsi: il mio centometrista ha già battuto gli altri finalisti, ma mai tutti assieme; per ogni occasione ha trovato qualcuno capace di relegarlo al secondo posto, come se questa condizione di sconfitto si realizzasse più nella sua indole, che non sulla pista. Cercare il successo, quindi: come se oltre il traguardo, vincendo, ci fossero risposte mai trovate.
 
La gara è una metafora della vita di ognuno, attraverso la quale si dispiegano contraddizioni, complessità, gioia e insoddisfazioni con i quali tutti noi ci misuriamo. Qual è il messaggio che ha voluto trasmettere con “Nel vento”?

Credo ne contenga diversi, ma forse nessuno era prefissato, di certo non rappresentavano l’urgenza del mio scrivere. Io ho scritto per seguire i pensieri del mio centometrista e con lui correre la gara, tentare di sciogliere quei nodi. Per me la scrittura è sempre una scoperta, in corsa, raramente mi prefiggo una missione. Credo poi che questo romanzo abbia più piani di lettura, che stia a chi legge decidere se accontentarsi del più semplice, il dispiegamento dei fatti e l’eventuale risoluzione, oppure cercarne altri, riflettere oltre. Di certo, in queste pagine, si dichiara che una corsa non può mai dichiararsi l’ultima, non preventivamente, che spesso si è destinati a cercare finché non troviamo pace, e risposte. E talvolta è per sempre.

Cosa rappresenta per lei la scrittura?
Molto. È una mia metà. Ho un livello di scrittura interiore che mi accompagna pressoché sempre, da cui faccio veramente fatica a staccare. Vado in ferie dal lavoro, dai miei tasti e dai miei fogli, ma per abbandonare totalmente la scrittura dovrei andare in vacanza da me stesso.
Ho provato a fare ciò che Rainer Maria Rilke consiglia al giovane poeta, affondando dentro di me, cercando alla fonte una risposta sul mio creare, e l’ho trovata. E come dice lui, adesso credo di doverla accettare, sopportandone «il peso e la grandezza», a prescindere dal premio che viene dall’esterno. E costruendo la vita su questa necessità.
 
Cosa pensa della situazione italiana in merito alla lettura? L’ultimo rapporto eseguito dal Forum del libro su incarico del Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria ha evidenziato che il 54% degli italiani non ha letto nemmeno un libro nell’ultimo anno. Su quali fronti bisognerebbe operare per promuovere la lettura?
Credo che il primo errore stia nell’idea che nel tempo si è conferito al libro, ormai percepito come un qualcosa di prescindibile – convinzione che non nasce a caso ma anche per l’invasione di migliaia di libri brutti, vuoti, tra cui è veramente difficile destreggiarsi. Spesso, chi si avvicina alla lettura, si ritrova in compagnia di qualcosa di cui può fare a meno, fugge e non torna più. Dovremmo, invece, ognuno secondo la propria sensibilità, essere stregati da libri bellissimi, magnetici, da cui è impossibile liberarsi. La lettura deve essere un momento insostituibile. La bellezza tornare al centro della nostra educazione. Mentre tutto, mi pare, spinge ad anestetizzarci l’anima e guidarla all’orrore.

7 aprile 2013

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