Ci sono libri che intrattengono, altri che emozionano, altri ancora che scuotono, interrogano o accarezzano l’anima. Alcuni ti trasportano in mondi in rovina, tra supereroi queer o guerre atomiche mai avvenute; altri parlano di orchi che trovano pace in una libreria, di cospiratori nella Lisbona degli anni ’40, di anime erranti in cerca di casa.
C’è chi scrive lettere infuocate come Frida Kahlo e chi, come Giuseppe Pontiggia, giudica i manoscritti con una penna più tagliente di una spada. Ma ogni storia, in questa selezione, ha qualcosa da dirci sul nostro tempo.
Abbiamo raccolto una serie di romanzi e raccolte diversissimi tra loro per genere, stile e provenienza: fantasy, memoir, noir storici, romanzi grotteschi, saggi mascherati da fiction, ma accomunati da un’urgenza autentica: raccontare ciò che non trova spazio altrove.
Voci potenti, originali, spesso marginali, che esplorano identità, desideri, memorie e trasformazioni. Che siate lettori affezionati ai classici nascosti, amanti della letteratura queer, curiosi di sperimentazioni audaci o in cerca di un’avventura inaspettata, in queste storie troverete pagine che sanno toccare corde profonde e diverse.
Estate selvaggia, rovente e ribelle, 9 libri che devi leggere assolutamente
Non solo di mondi alternativi o epoche lontane, ma soprattutto dell’altro e di sé. Dai frammenti infuocati di Frida Kahlo alle riflessioni apocalittiche di Witkiewicz, dalle atmosfere noir di Uomini nella notte alle eroine dimenticate riscoperte da Sara Rapino, queste opere ci accompagnano lungo sentieri inattesi, spesso scomodi, ma mai banali.
In ognuno dei titoli proposti vibra una domanda, un’urgenza o una possibilità. È il potere della narrativa che accoglie, della poesia che sopravvive alla censura, della memoria che resiste al tempo.
E se anche solo uno di questi libri saprà parlarvi nel momento giusto, allora il viaggio avrà avuto senso. Perché leggere, in fondo, è l’unico modo che abbiamo per toccare l’orizzonte, e magari, anche un po’ superarlo.
“Insaziabilità” di Stanislaw Ignacy Witkiewicz
Insaziabilità è uno di quei romanzi che brucia sotto la pelle, un’opera disturbante, provocatoria, eppure straordinariamente lucida nella sua follia. Scritto nel 1930, ma ambientato in un futuro distopico per l’autore, e stranamente vicino al nostro presente, il libro è una delle più importanti e visionarie allegorie sul destino dell’uomo moderno.
Witkiewicz, figura irregolare della cultura polacca del primo Novecento, artista poliedrico, filosofo, drammaturgo e scrittore, riversa in questo romanzo tutto il suo pessimismo cosmico, la sua rabbia intellettuale, la sua vocazione apocalittica. Il protagonista, Genezyp Kapen, è un giovane smarrito e nevrotico che incarna perfettamente l’uomo-simbolo di una generazione sull’orlo del crollo.
Cresciuto in una società che ha perso ogni bussola morale, culturale e spirituale, Genezyp si muove come un sonnambulo tra esperienze erotiche compulsive, filosofie orientali di moda e una guerra ideologica che lacera il mondo conosciuto. Attorno a lui, si sviluppa una civiltà ormai incapace di pensare con la propria testa, dove la tecnologia e il conformismo di massa sono i nuovi padroni invisibili dell’anima umana.
Il cuore pulsante del romanzo è la Murti-Bing, una pillola che spegne ogni pensiero, ogni dubbio, ogni traccia di coscienza critica. Chi la assume diventa obbediente, calmo, anestetizzato: un perfetto ingranaggio della macchina sociale. È impossibile leggere questa invenzione senza pensare alla società contemporanea, ai mezzi di manipolazione di massa, all’omologazione culturale, all’invasività delle tecnologie, all’informazione semplificata e addomesticata.
La struttura del libro è labirintica, frammentaria, volutamente sconnessa, specchio di una mente (e di un’epoca) in disfacimento. Lo stile di Witkiewicz è un mix esplosivo di filosofia, satira, pornografia, visioni allucinatorie e dialoghi surreali: un vortice che travolge e disorienta, ma che impone al lettore di non rimanere in superficie. È necessario abbandonarsi, come Genezyp, a questa vertigine di senso e nonsenso per cogliere la disperata invocazione che attraversa il romanzo: l’uomo non può rinunciare al pensiero senza rinunciare a se stesso. Insaziabilità non è un’opera rassicurante.
Non offre facili chiavi di lettura, né si piega a un ordine narrativo lineare. È un romanzo filosofico nel senso più profondo, che mette in scena lo scontro tra individui e ideologie, tra libertà e controllo, tra spiritualità e materia. In questa battaglia, l’uomo esce frammentato, smarrito, ma ancora vivo nel suo dolore. La modernità di Insaziabilità è impressionante. Anticipa Orwell, Huxley, Ballard, e perfino le derive postmoderne di Pynchon o Burroughs.
Ma lo fa con una ferocia e una originalità che restano uniche. Witkiewicz non vuole solo criticare il mondo che lo circonda: vuole decostruirlo, spogliarlo delle sue ipocrisie, metterlo a nudo nei suoi desideri più torbidi e nelle sue paure più profonde. Il nichilismo che attraversa il romanzo non è mai compiaciuto: è il grido disperato di un uomo che cerca ancora, disperatamente, un senso. Questo libro è anche una riflessione potentissima sulla crisi dell’io moderno.
Genezyp è un personaggio tragico, ma anche simbolico: rappresenta la scissione interna dell’individuo, diviso tra ciò che è e ciò che la società pretende da lui. Nel momento in cui tutto diventa consumo, funzione, spettacolo, l’unico atto di resistenza possibile è la disintegrazione.
Leggere Insaziabilità oggi è come specchiarsi in un incubo che ci somiglia. Un incubo che parla di manipolazione, desiderio, perdita d’identità e vuoto spirituale. Ma è anche un’opera che sfida la nostra passività di lettori e cittadini, chiedendoci: sei davvero tu a pensare, o qualcuno ha già pensato per te? Un libro necessario, scomodo, potentissimo. Un pugno allo stomaco per chi ha ancora il coraggio di pensare.
“Nata nel fuoco” di Frida Khalo
Nata nel fuoco non è un semplice libro su Frida Kahlo: è un’immersione radicale nella sua voce più intima, quella che pulsa sotto i colori accesi, i fiori tra i capelli e gli abiti tradizionali che l’hanno trasformata in un’icona pop.
Dentro queste pagine, a emergere è la Frida meno rappresentata e più autentica: la donna che scrive, che urla e che ama con la penna, spesso più che con i pennelli. Una Frida segreta e fragorosa allo stesso tempo, fatta di lettere incendiarie, poesie sussurrate al dolore, diari spezzati e frammenti come cocci di specchi in cui si rifrange la sua interiorità.
Questo volume, curato con l’attenzione di chi vuole dare corpo e verità a una figura troppo spesso cristallizzata nel mito, raccoglie testi eterogenei che attraversano tutta la sua vita: dagli anni dell’adolescenza, segnati dal trauma fisico dell’incidente e dalla scoperta precoce del dolore, fino alla maturità artistica e sentimentale, costellata di amori, malattie e intuizioni folgoranti.
Leggere Frida in prima persona è un’esperienza scomoda e illuminante. Il suo stile è essenziale, viscerale, carico di immagini forti, a volte disturbanti, altre struggentemente liriche.
La scrittura, come la pittura, diventa per lei un modo di restare viva e di risignificare la sofferenza. «Ti meriti un amore» scriveva, e oggi quelle parole sono diventate un manifesto per generazioni di donne in cerca di dignità e consapevolezza. Ma tra queste righe ci sono anche i momenti bui, la disperazione per un corpo che si spezza, la solitudine di una donna che si sente incompresa anche nei suoi slanci più generosi.
Le lettere a Diego Rivera, amate e odiate, sono un esercizio di disarmante vulnerabilità. Non c’è censura, non c’è prudenza: Frida si dona senza filtri, racconta la gelosia, l’adorazione, la rabbia, l’inadeguatezza e l’ebbrezza. È un amore che consuma e salva, che lacera ma allo stesso tempo tiene in vita.
Ma Diego non è l’unico destinatario: ci sono amiche, parenti, amanti, collezionisti e medici che ricevono frammenti della sua esistenza scritta. Ogni destinatario è una diversa Frida, e tutte sono vere. Ci sono poi le poesie, piccoli esplosivi emotivi che uniscono erotismo, dolore fisico, ironia e spiritualità laica. Sono componimenti brevi, spesso privi di struttura metrica, che esplodono nel loro impatto emotivo: parole-nervo, parole-sangue.
In esse si coglie la grande eredità simbolista e surrealista, ma filtrata da una voce assolutamente originale, che non ha bisogno di appoggiarsi a correnti o scuole. Una delle forze di Nata nel fuoco sta anche nel suo formato: la varietà dei testi consente una lettura libera, frammentaria, quasi archeologica. Ogni pagina è un reperto da scoprire, ogni frase un indizio sulla complessa personalità di Frida. È un libro che si può leggere d’un fiato o centellinare lentamente, come si fa con una raccolta di versi o con un epistolario d’amore e di rabbia.
La prefazione di Margherita Vicario, intensa e sentita, introduce il lettore a questo viaggio senza pretendere di spiegarlo: lascia che sia Frida stessa a parlare, com’è giusto che sia.
Nata nel fuoco è molto più di un’antologia. È un documento di potenza emotiva rara, capace di restituire voce, carne e spirito a una figura che la cultura pop ha spesso ridotto a stereotipo. Qui Frida torna a essere ciò che è sempre stata: una poeta del corpo e dell’anima, una donna libera anche nel dolore, una mente lucida che ha saputo trasformare l’autodistruzione in creazione. Per chi ama la letteratura autobiografica, la scrittura viscerale e le voci femminili non addomesticate, questo libro è semplicemente imprescindibile.
“La superba gioventù” di Paolo Simonetti
La superba gioventù è un romanzo intimo e lucido, che scava nei desideri inconfessabili e nelle contraddizioni morali di una società ancora incapace di accogliere la diversità. Ambientato in un Cile contemporaneo ma ancora profondamente segnato da rigide norme patriarcali e da un cattolicesimo soffocante, il libro racconta, attraverso gli occhi di un narratore partecipe e discreto, l’ascesa, la caduta e la trasformazione di Felipe Selden: un giovane bello, magnetico, brillante eppure tragicamente fragile.
Selden è il cuore pulsante del romanzo. La sua figura, a tratti algida e distante, affascina chiunque gli si avvicini, incluso lo scrittore Tomás Vergara, il narratore della storia, che ne diventa confidente, custode dei suoi tormenti e complice della sua autodistruzione.
Ma più che un semplice protagonista, Felipe incarna una generazione di uomini, e di esseri umani, stretti tra l’apparenza e il desiderio, tra le aspettative sociali e la verità interiore.
Simonetti, con uno stile elegante e sobrio, costruisce un racconto che è allo stesso tempo cronaca affettiva, diario morale e romanzo di formazione. La scrittura evita i sentimentalismi e affonda, con precisione chirurgica, nella psicologia dei personaggi, restituendo un ritratto dolorosamente credibile del disagio esistenziale che nasce dal dover vivere in una società che non ammette sfumature.
Felipe è un uomo costretto a indossare maschere: quella del figlio modello, del giovane affermato, del professionista irreprensibile. Ma dietro la facciata si cela una lotta incessante per l’autenticità e l’amore. Il rapporto tra Felipe e Tomás, mai pienamente definito, sempre in bilico tra attrazione, tenerezza e distanza, è il fulcro emotivo del libro. Attraverso di esso, il lettore assiste alle trasformazioni dell’uno e dell’altro, in un equilibrio narrativo che Simonetti gestisce con finezza, evitando giudizi e moralismi.
C’è un profondo senso di malinconia che attraversa tutta la narrazione: la consapevolezza che, a volte, la giovinezza, superba, luminosa, violenta, può essere anche la trappola più crudele.
La superba gioventù non è solo il ritratto di un uomo che cerca se stesso, ma anche una riflessione sul privilegio, sull’identità, sulle ambiguità dell’amore e sul silenzio che troppe volte accompagna le vite queer nei contesti familiari e sociali più rigidi.
Simonetti denuncia l’ipocrisia borghese, ma lo fa senza urlare, lasciando che siano i gesti, gli sguardi, le parole non dette a raccontare tutta la violenza del perbenismo.
Profondo e struggente, La superba gioventù è un romanzo sull’identità, sul desiderio e sulla difficoltà di essere sé stessi in un mondo che premia soltanto l’adesione a un modello fittizio. È un racconto sull’amicizia, sull’amore e sulle ferite che la società infligge a chi prova a vivere fuori dai binari. Simonetti riesce a dare voce al dolore sommesso di una generazione, trasformandolo in letteratura autentica, coraggiosa e necessaria. Un libro che lascia il segno e costringe a guardarsi dentro.
“E prese fra le dita la notte” di Daniela Stefanuttu
E prese fra le dita la notte è un romanzo-inchiesta potente e lacerante che affronta uno dei temi più oscuri e taciuti della storia italiana: quello della reclusione manicomiale prima della legge Basaglia.
Beatrice Renzi firma un’opera che è allo stesso tempo un atto d’amore, una ricerca disperata di verità e una denuncia civile. Al centro della narrazione c’è Giuseppe, suo cugino, rinchiuso nel manicomio di San Servolo a Venezia. Ma la storia di Giuseppe diventa presto la storia di molti: degli “internati”, degli “anomali”, di coloro che furono dimenticati dietro le mura dell’istituzione totale.
Renzi non costruisce un memoir né un semplice romanzo storico: dà vita a un’opera ibrida, polifonica e inquieta, in cui convivono diario, reportage, racconto orale e scrittura letteraria.
La voce dell’autrice si intreccia a quella dei parenti, dei medici, degli infermieri, ma soprattutto a quelle smarrite e talvolta spezzate degli internati.
Ne emerge un affresco umano e politico che supera i confini del caso personale per toccare i nervi scoperti di un’intera epoca. La prosa è viscerale, sensibile e a tratti poetica. Renzi riesce a restituire il dolore senza edulcorarlo, ma anche senza spettacolarizzarlo.
La sua ossessione per Giuseppe, che si fa specchio, riflesso, alter ego, diventa un viaggio nelle pieghe del silenzio e dell’oblio, ma anche una discesa nel cuore del sistema manicomiale, che più che curare, puniva e nascondeva.
San Servolo non è solo una location, ma un simbolo, un microcosmo concentrazionario che rivela la brutalità di una società incapace di accogliere la fragilità, il dissenso e la differenza.
Il titolo stesso, E prese fra le dita la notte , evoca l’atto struggente e poetico di chi tenta di afferrare ciò che per definizione sfugge: la verità, il ricordo, l’identità.
La notte di Giuseppe è anche la notte della Storia, quella in cui migliaia di vite sono state cancellate dalla narrazione ufficiale, archiviate come devianze da correggere o corpi da contenere.
Ma Renzi si rifiuta di lasciare che quel buio resti tale: attraverso le sue pagine, lo illumina, lo scompone, lo restituisce alla nostra coscienza.
E prese fra le dita la notte è un libro necessario, che unisce memoria e scrittura in un gesto di resistenza e di riparazione. È una riflessione profonda sulla malattia mentale, sull’istituzionalizzazione, ma anche sull’amore, sulla ricerca della verità e sull’urgenza di dare voce a chi non ha potuto raccontarsi.
Con una scrittura densa e toccante, Beatrice Renzi firma un’opera che rimane impressa nella mente e nel cuore, e che ci ricorda quanto sia fondamentale interrogare il passato per comprendere davvero chi siamo oggi.
“I cospiratori”di Frederic Prokosch
Con I cospiratori, José Eduardo Agualusa ci catapulta in una Lisbona sospesa nel tempo, affascinante e ambigua, crocevia di speranze e disperazione, negli anni più bui della Seconda guerra mondiale. Siamo nei primi anni ’40: la capitale portoghese è una città neutrale e sonnacchiosa solo in apparenza.
In realtà, è l’ultima porta aperta tra l’Europa in fiamme e il sogno americano, rifugio per profughi, spie, truffatori e idealisti in fuga dal caos della storia. In questo scenario crepuscolare, Agualusa costruisce un romanzo avvincente, carico di tensione e sottile ironia, in cui la suspense si intreccia a riflessioni esistenziali e politiche. La trama segue i passi di un uomo che si ritrova, suo malgrado, a diventare un assassino.
Un killer che non ha scelto di esserlo, ma che la guerra e le sue molteplici zone d’ombra hanno costretto a recitare un ruolo oscuro. In un mondo in cui tutto è instabile, identità, alleanze, persino la verità, l’autore ci offre il ritratto psicologico di un protagonista complesso e tormentato, costantemente in bilico tra colpa e sopravvivenza, tra cinismo e rimorso.
Ma il cuore del romanzo non è solo la vicenda personale dell’uomo inseguito e inseguitore: I cospiratori è anche una storia corale, un mosaico di figure ambigue e memorabili che si muovono in una città che diventa essa stessa un personaggio.
Lisbona è descritta con sguardo cinematografico, tra nebbie, salotti fumosi e notti inquiete, popolata da diplomatici senza scrupoli, venditori di illusioni, giovani in fuga e vecchi disillusi.
Ogni incontro può cambiare il destino, ogni parola può essere una trappola. Agualusa affila la sua scrittura per cogliere il dettaglio psicologico, l’ambivalenza, il doppio fondo. Il suo stile è asciutto e incalzante, ma sa aprirsi a lampi di lirismo o cinismo. Il ritmo è serrato e insieme introspettivo: non si limita a tenere col fiato sospeso, ma costringe il lettore a interrogarsi sulla moralità, sull’identità, sulla colpa e sull’opportunismo.
Chi è davvero buono, in un mondo dove l’unica legge è salvarsi? Chi è davvero colpevole, in una guerra che ha trasformato ogni relazione in una menzogna? Non mancano i colpi di scena, ma sono più psicologici che spettacolari. Il romanzo gioca sulla tensione silenziosa, su quella danza sottile e letale tra preda e cacciatore, tra chi scappa e chi osserva.
La struttura narrativa si avvolge come una spirale, portandoci lentamente dentro la mente del protagonista, in un crescendo di inquietudine e compassione.
I cospiratori è un romanzo di spionaggio atipico, raffinato e stratificato, capace di fondere la tensione narrativa alla profondità psicologica e storica. José Eduardo Agualusa ci regala un’opera di grande eleganza e ambiguità, in cui la suspense si alimenta non solo degli eventi, ma dei pensieri, dei silenzi e dei dilemmi morali.
È un libro che racconta non solo una fuga, ma il prezzo dell’identità e della salvezza, in un mondo dove ogni certezza è svanita e il futuro è un biglietto da imbarco che non tutti potranno ottenere. Lisbona, l’ultima soglia verso la libertà, resta sullo sfondo come un miraggio e una condanna, specchio perfetto di una guerra combattuta anche nel cuore degli uomini.
“Un libro che divorerei” di Giuseppe Pontiggia
Il parere del lettore non è solo una raccolta di schede editoriali: è il ritratto intimo, acuminato e spesso folgorante di un grande lettore che ha fatto della precisione critica una forma d’arte.
Questo volume, che raccoglie per la prima volta in modo sistematico le “note di lettura” redatte da Giuseppe Pontiggia nel corso della sua lunga attività di consulente editoriale, ci consegna un lato inedito e sorprendente dello scrittore: il Pontiggia invisibile, operoso nell’ombra, capace di orientare le scelte di intere collane editoriali con giudizi sintetici, eleganti e, quando serve, impietosi.
Pontiggia non si limita a valutare i manoscritti: li interroga, li mette alla prova, li scardina con la lucidità di chi ama la letteratura e conosce alla perfezione i suoi inganni. Ogni scheda è un piccolo saggio: laconico e illuminante, spesso tagliente, sempre mosso da un’intelligenza vivida e da una passione autentica per la scrittura.
Alcuni giudizi sono fulmini che lasciano il segno: «È un grande scrittore mancato, un ectoplasma di Broch», oppure «una pagina di Singer basta a cancellarli» – non solo valutazioni, ma sentenze letterarie scolpite nella pietra.
Il libro attraversa generi e autori con prodigiosa duttilità: narrativa, poesia, saggistica, classici e contemporanei, il tutto filtrato attraverso la lente personalissima di Pontiggia. Ne emerge una mappa letteraria alternativa, costruita non per affinità accademiche ma per seduzione intellettuale: i temi, le ossessioni, le posture stilistiche che lo attraggono o lo respingono emergono con nitidezza, rendendo queste schede vere e proprie confessioni critiche.
La bellezza di questo volume sta nella forma: ogni “parere” è costruito con uno stile che sa essere affilato, ironico, lirico, sprezzante o incantato a seconda dei casi. È letteratura che parla di letteratura, scrittura che giudica altra scrittura senza mai scadere nel tecnicismo o nella vanità del critico.
Pontiggia è un autore che crede nella libertà della forma e nell’assoluto rigore dell’analisi, e il suo sguardo non fa sconti: sa cogliere il manierismo dove altri vedono raffinatezza, e scoprire valore dove altri archiviano frettolosamente.
Ma il Pontiggia che emerge da queste pagine è anche un uomo attraversato dal dubbio e dall’ironia, che riconosce i propri limiti: «Il tema esercita su di me una seduzione erotica cui mi è difficile resistere e non mi sento sicuro nel giudizio». C’è in lui una consapevolezza radicale della soggettività del gusto, accompagnata da un’etica della lettura che non si piega mai all’opportunismo editoriale. L’idea che la bellezza della scrittura risieda «nell’assenza delle regole» è, forse, la sua più grande eredità.
Il parere del lettore è un libro prezioso per chiunque ami la letteratura non solo come pratica creativa, ma come esercizio di pensiero e di precisione. Pontiggia si dimostra lettore assoluto, capace di fondere la perizia del critico alla grazia dello scrittore.
Queste schede sono briciole di genio disseminate tra archivi e faldoni, ora finalmente restituite al pubblico come meritano: non solo testimonianze editoriali, ma lampi di una coscienza letteraria tra le più acute del secondo Novecento italiano. Un libro da leggere e rileggere, a piccoli sorsi, come un atlante minore ma essenziale della scrittura.
“Il ministro del male” di William le Queux
Con I segreti di Rasputin, finalmente tradotto per la prima volta in italiano, ci troviamo davanti a un piccolo gioiello della narrativa sensazionalistica inglese d’inizio Novecento, firmato dal prolifico e visionario William Le Queux. Il libro è tutto ciò che promette, e anche di più: una cavalcata tra intrighi di palazzo, corruzione morale, brama di potere e tensioni internazionali, in un crescendo narrativo che mescola con maestria finzione, mito e fatti storici.
Il punto di vista adottato è quello del giovane Feodor Rajevski, fittizio segretario e confidente personale di Rasputin. Questa scelta non è casuale: Le Queux costruisce attorno alla voce di Rajevski una cronaca avvincente, che pare uscita da un dossier segreto più che da un romanzo.
La narrazione assume così il tono del resoconto privato, del memoriale clandestino, in cui ogni pagina contribuisce ad alimentare il mistero e il fascino torbido di uno degli uomini più enigmatici della storia russa moderna.
La grande forza del romanzo sta nella capacità di Le Queux di mantenere alta la tensione, dosando perfettamente colpi di scena, rivelazioni scioccanti e atmosfere cariche di ambiguità. Il lettore è trascinato in un turbine di complotti, seduzioni e rituali oscuri, all’interno di una corte imperiale sull’orlo del collasso. Rasputin, figura centrale, naturalmente, emerge come un personaggio magnetico e disturbante, sospeso tra santità e perversità, spiritualità e manipolazione.
Pur muovendosi nei territori della fiction più ardita, Le Queux costruisce un mondo plausibile e denso di riferimenti storici, che restituisce il clima di sospetto, paura e decadenza della Russia zarista alla vigilia della rivoluzione.
L’autore dimostra una straordinaria capacità di mescolare i registri: il thriller politico, la tragedia umana, l’avventura spionistica, il romanzo gotico. Ne risulta un’opera stratificata e godibilissima, perfetta per chi cerca letture che uniscano fascino storico e puro intrattenimento. La prosa, serrata e visiva, è al servizio di un intreccio che non conosce pause.
Ogni pagina è densa di tensione, ogni dialogo cela una minaccia. Il lettore è catturato non solo dalla trama, ma dall’inquietudine costante che serpeggia tra i corridoi dorati della corte e nelle viscere di un potere corrotto. E in mezzo a tutto ciò, Rasputin: l’uomo che sussurrava agli zar, il demone che seminava discordia, il monaco laico che sfidava la ragione.
I segreti di Rasputin è molto più di un romanzo storico: è una vertigine letteraria, un thriller d’epoca che conserva intatta la sua forza perturbante. William Le Queux si conferma maestro dell’invenzione narrativa, capace di trasformare una delle figure più oscure della modernità in un archetipo senza tempo.
In un’epoca in cui la verità storica è sempre più sfidata dalla fascinazione del mito, questa riscoperta editoriale offre uno sguardo potente e affilato su ciò che davvero ci affascina della storia: il suo lato più inquieto, ambiguo, indecifrabile. Una lettura perfetta per chi ama le atmosfere decadenti, le ombre del potere e i misteri non del tutto risolti.
Con I nuovi straordinari, TJ Klune conferma la sua capacità di fondere umorismo, azione e rappresentazione queer in un romanzo che parla a tutte le età, ma in particolare ai giovani lettori in cerca di identità, riconoscimento e amore.
Se Gli Straordinari aveva presentato un protagonista irresistibile per goffaggine e fervore, qui Nick Bell torna in grande stile, più innamorato, più confuso e, soprattutto, più umano che mai.
La sua relazione con Seth, il supereroe “Shadow Star”, è passata dalla fantasia alla realtà. Ma come spesso accade, quando il sogno si realizza, la realtà si fa più complicata. Nick si ritrova infatti a fare i conti con la propria “normalità”: nessun superpotere, nessuna capacità straordinaria se non quella, potentissima, di essere se stesso.
Mentre Nova City è scossa dall’arrivo di nuovi supereroi misteriosi, tra cui due gemelli dagli strani poteri e una drag queen epica dal carisma imbattibile, Nick e i suoi inseparabili amici Gibby, Jazz e Seth dovranno cercare di capire chi sono i veri alleati, e soprattutto chi sono davvero loro stessi.
Come sempre, Klune riesce a coniugare leggerezza e profondità con una maestria che pochi altri autori YA possiedono. La sua prosa è brillante, infarcita di dialoghi taglienti, battute nerd e momenti di sincera tenerezza.
Ma dietro i riferimenti pop, le dichiarazioni d’amore sgangherate e le scene d’azione dal ritmo cinematografico, si nasconde un messaggio forte e attualissimo: essere “straordinari” non significa avere poteri, ma scegliere ogni giorno di amare, di lottare, di restare fedeli a chi si è, anche quando è difficile. Uno degli elementi più belli di questo secondo capitolo è la coralità.
Se Nick è ancora al centro della storia, le relazioni con gli altri personaggi si approfondiscono: Seth è combattuto tra il desiderio di proteggere Nick e quello di fidarsi di lui; Gibby e Jazz sono una coppia queer iconica e solidale, che rappresenta un punto fermo nella narrazione; i nuovi personaggi portano ulteriore complessità al mondo di Nova City, ampliando il tema dell’identità e del potere.
In più, Klune inserisce momenti di introspezione che affrontano la fragilità adolescenziale, la paura del fallimento, il peso delle aspettative familiari.
Il ritmo narrativo è incalzante, alternando azione e introspezione senza mai perdere la leggerezza di fondo. I colpi di scena non mancano, così come i momenti esilaranti e quelli che strappano una lacrima. La scrittura di Klune riesce sempre a mantenere un equilibrio raro tra emozione sincera e ironia dissacrante.
I nuovi straordinari è una lettura che diverte, consola e incoraggia. Un romanzo di formazione travestito da avventura supereroistica, che parla di amore e vulnerabilità, di amicizia e accettazione. TJ Klune ci regala ancora una volta una storia scoppiettante e toccante, dove anche chi non ha poteri può cambiare il mondo. Perché, come ci insegna Nick, non c’è nulla di più straordinario che essere se stessi.
“Bookshops&Bonedust” di Travis Balder
Chi ha amato Viv nell’accogliente caffetteria fantasy di Legends & Lattes troverà in Il libro di Viv una nuova, irresistibile sfumatura del suo personaggio.
Travis Baldree ci riporta nel cuore del suo universo low-fantasy, ma questa volta con una marcia in più: l’azione c’è, ma è al servizio dell’introspezione.
L’avventura pulsa nelle vene di Viv, certo, ma è il cambiamento silenzioso, lento e umano a renderla davvero viva. Viv è un’orchessa. Guerriera. Mercenaria. Membro dei temuti Corvi di Rackam.
Eppure, quando una ferita la costringe alla convalescenza nella sonnacchiosa cittadina costiera di Murk, la vita cambia ritmo. O almeno dovrebbe. Perché se una libreria polverosa può sembrare il luogo meno adatto a un soldato di ventura, sarà proprio lì che Viv scoprirà nuove battaglie da combattere: quelle contro se stessa, contro la paura di non essere abbastanza, contro un passato che ha lasciato cicatrici più profonde delle ferite.
Travis Baldree ha un dono raro: rendere la quiete avvincente, l’introspezione dinamica. E riesce a farlo con un’ambientazione cozy, punteggiata da elementi dark (scheletri che escono dalle tombe, necromanti vendicative, visitatori misteriosi), ma sempre intrisa di ironia, delicatezza e affetto per i personaggi.
La relazione che nasce tra Viv e la burbera proprietaria della libreria è uno dei punti di forza del romanzo: schiva, ruvida, eppure profondamente autentica.
La trama, sebbene meno rocambolesca rispetto a un tipico romanzo fantasy, è animata da una tensione affettiva e morale che tiene il lettore agganciato. Le creature che popolano Murk, la gnoma velenosa, lo straniero enigmatico, i resti ambulanti della necromanzia, sono tutti specchi deformanti in cui Viv deve riconoscere sé stessa.
Il conflitto più importante non è contro un villain, ma contro l’idea di chi Viv crede di essere. Con Il libro di Viv , Baldree amplia il suo universo narrativo con grazia e intelligenza, abbracciando ancora una volta un fantasy fatto di piccoli gesti, emozioni taciute, e scelte che cambiano la vita non con la spada, ma con la pazienza, la lettura, e forse anche con un po’ d’amore.
Il tono è rilassato ma mai lento, lo stile sobrio e accogliente, capace di dare voce anche ai non-detti. Il libro di Viv è un romanzo che parla a chi cerca un rifugio nella lettura, a chi ha lottato tutta la vita e scopre di voler solo vivere.
È il fantasy che accoglie, consola, e mostra che non servono incantesimi per sentirsi a casa. Bastano una libreria, qualche scheletro fuori posto… e il coraggio di cambiare.
Una lettura perfetta per chi ama le storie di crescita, rinascita e mondi in cui l’eroismo si misura con la gentilezza. La lettura è, prima di tutto, un atto di esplorazione.