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Dorcas Yakubu, storia della ragazza nigeriana rapita e strappata alla sua famiglia

In occasione della giornata contro la violenza sulle donne, Viviana Mazza ci racconta la triste storia di Dorcas Yakubu, il cui destino la accomuna a molte altre ragazze come lei prigioniere

MILANO – Strappata alla sua famiglia e costretta a cambiare identità dai jihadisti nigeriani. E’ la storia di Dorcas Yakubu, una delle ragazze nigeriane di cui la giornalista e scrittrice Viviana Mazza racconta nel suo ultimo libro Ragazze Rubate, che l’inviata del Corriere della Sera ha realizzato sul campo in Nigeria, insieme alla scrittrice Adaobi Tricia Nwaubani. In occasione della giornata contro la violenza sulle donne, Viviana Mazza ci racconta la triste storia di Dorcas Yakubu, il cui destino la accomuna a molte altre ragazze come lei prigioniere.

 

“Per due anni, Esther è rimasta convinta che sua figlia Dorcas fosse viva, pur non avendone alcuna prova. Quest’estate l’ha riconosciuta dalla voce.

Siamo in Nigeria, e sono passati due anni e mezzo dal rapimento di Dorcas e di altre 275 ragazze dalla scuola secondaria nel villaggio di Chibok, nel nord del Paese. Il 14 aprile 2014 il gruppo Boko Haram, affiliato con l’Isis, le caricò sui furgoni nel mezzo della notte e le portò nella vicina foresta di Sambisa. Alcune  decine riuscirono a scappare saltando giù dai pick-up e correndo nel buio della foresta. Il destino delle 219 studentesse rimaste in mano di Boko Haram invece è rimasto avvolto per due anni nel silenzio.

Lo scorso agosto la sedicenne Dorcas è apparsa in un video dei jihadisti nigeriani. E’ la ragazza che parla a nome delle decine di compagne velate tenute in ostaggio come lei. Nel filmato diretto alle loro famiglie, Dorcas dice di chiamarsi Maida, perché i combattenti le hanno cambiato il nome, come sempre fanno con le prigioniere, costrette a convertirsi all’Islam e poi violentate e messe incinte.   “Non siamo felici qui. Supplico i nostri genitori di incontrare il governo per liberare i prigionieri di Boko Haram in modo che noi possiamo essere rilasciate”, fanno dire a Dorcas.

A casa di Dorcas nulla è più lo stesso. Dopo nuovi attacchi di Boko Haram, la famiglia è scappata da Chibok ad Abuja. Suo fratello di quattro anni, che si chiama Messi come il calciatore argentino, credeva che fossero stati i soldati del governo a portarla via. Ma sua sorella Happy, che ha 13 anni, gli ha spiegato che non sono stati i soldati.

Dorcas è scomparsa con la sua migliore amica Saraya. Entrambe videro altre compagne saltare giù dai pick-up per scappare, in quella notte del 14 aprile 2014. Dorcas le seguiva con lo sguardo. Ma Saraya era paralizzata dalla paura, non ci sarebbe mai riuscita. Era la sua amica, la sua ombra. Mangiavano dallo stesso piatto, cantavano le stesse canzoni. Come poteva abbandonarla?

Esther ha combattuto per sua figlia: ha chiesto aiuto al governo, poi ha protestato, è andata anche in tv, si è sentita dire di tutto, persino che sua figlia non è stata rapita davvero, che è tutta una montatura politica. Ha smesso di mangiare, il marito riusciva a stare in casa per mezz’ora al massimo, poi usciva perché non sopportava di vederla soffrire così.

Esther è una donna che ha studiato, ha fatto l’università a Maiduguri a differenza di molte nigeriane della sua generazione a Chibok. Ma non era nulla di razionale, erano i sogni a dirle che Dorcas era viva. La vedeva nascosta nella foresta, gli elicotteri arrivano all’improvviso, la sollevavano con le compagne da quell’oscurità senza fine. «Mamma dove sei? Perché non sei qui?», le diceva. Alla fine nel sogno si riabbracciavano felici.

Lo scorso aprile una delle 219 ragazze rubate è scappata: Amina, ritrovata con una bimba in fasce, sua figlia. E’ stata la prima, seguita da 21 altre compagne.
Il destino di Dorcas invece resta ancora incerto”.

 

Viviana Mazza

 

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