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Dino Buzzati, le frasi e le citazioni celebri tratte dai libri

Dino Buzzati è stato uno scrittore, giornalista e pittore italiano. Nell'anniversario della sua nascita lo ricordiamo attraverso le sue frasi più celebri

Il 16 ottobre 1906 nasceva a Belluno, Dino Buzzati, scrittore, giornalista, drammaturgo, librettista e pittore italiano.

Dino Buzzati fin da quando era uno studente collaborò al Corriere della Sera come cronista, redattore e inviato speciale.

Abbiamo provato a fare una selezione delle frasi e delle citazioni tratte dai suoi libri da potere condividere. 

Le frasi più belle tratte dai libri di Dino Buzzati

La boutique del mistero, Dino Buzzati (1968)

Trentuno racconti, scelti e ordinati da Dino Buzzati «nella speranza di far conoscere il meglio di quanto ho scritto», compongono questa raccolta.

Racconti (celeberrimi Il colombre, I sette messaggeri, Sette piani, Il mantello) in cui allegorie inquietanti, spunti surreali, invenzioni fantastiche coesistono con dati di cronaca, o presunti tali, che sembrano rimandare a possibili realtà metafisiche.

Il racconto è infatti per Buzzati un momento di indagine profonda ed emozionante in un’atmosfera magica: poche volte, nella letteratura italiana, uno scrittore ha esplorato così a fondo il mistero che circonda l’uomo, le debolezze e i paradossi che lo caratterizzano, la sua solitudine, le sue esperienze.

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Grandi sono le soddisfazioni di una vita laboriosa, agiata e tranquilla, ma ancora più grande è l’attrazione dell’abisso.

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Anche le notti più felici passano senza consolarci.

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E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola.

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Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre. Eppure io non so pensare che a te.

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Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti assieme dietro ai vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo.

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Ogni dolore viene scritto su lastre di una sostanza misteriosa al paragone della quale il granito è burro. E non basta un’eternità a cancellarlo.

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Perché meravigliosa è la forza dei deserti d’Oriente fatti di pietre, di sabbia e di sole, dove anche l’uomo più gretto capisce la propria pochezza di fronte alla vastità del creato e agli abissi dell’eternità, ma ancora più potente è il deserto delle città fatto di moltitudini, di strepiti, di ruote, di asfalto, di luci elettriche, e di orologi che vanno tutti insieme e pronunciano tutti nello stesso istante la medesima condanna.

Un amore, Dino Buzzati (1963)

Ambientato a Milano che è insieme ritratto della metropoli e simbolo della babele d’ogni tempo.

Il protagonista è un uomo inconsapevole di aver atteso troppo, che è rimasto nell’intimo un giovane e crede che il sentimento possa compiere miracoli.

E così il professionista maturo si innamora perdutamente di una donna giovanissima, ma già carica della cinica spregiudicatezza e della stanchezza morale di un’epoca.

Un amore è un’indagine di Dino Buzzati nelle inquietudini dell’uomo contemporaneo descrivendo la parabola di un amore vero, di esemplare limpidezza, destinato a smarrirsi nella menzogna come in un labirinto.

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L’ amore? È una maledizione che piomba addosso e resistere è impossibile 

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Un segreto molto semplice: l’amore. Tutto ciò che ci affascina nel mondo inanimato, i boschi, le pianure, i fiumi, le montagne, i mari, le valli, le steppe, di più, di più, le città, i palazzi, le pietre, di più, il cielo, i tramonti, le tempeste, di più, la neve, di più, la notte, le stelle, il vento, tutte queste cose, di per sé vuote e indifferenti, si caricano di significato umano perché, senza che noi lo sospettiamo, contengono un presentimento d’amore.

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Anche l’indifferenza è un modo di comportarsi verso la realtà esterna.

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Perchè la musica vera è tutta qui nel rimpianto del passato e nella speranza del domani, la quale è altrettanto dolorosa. Poi c’è la disperazione dell’oggi, fatta dell’uno e dell’altra. E fuori di qui altra poesia non esiste.

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Come chi da tempo avverte i sintomi inconfondibili di un male orrendo ma ostinatamente riesce a interpretarli in modo da poter continuare la vita come prima ma viene il momento che, per la violenza del dolore, egli si arrende, e la verità gli appare dinanzi limpida e atroce e allora tutto della vita repentinamente cambia senso e le cose più care si allontanano diventando straniere, vacue e repulsive, e inutilmente l’uomo cerca intorno qualcosa a cui attaccarsi per sperare, egli è completamente disarmato e solo, nulla esiste oltre la malattia che lo divora, è qui se mai l’unico suo scampo, di riuscire a liberarsi, oppure di sopportarla almeno, di tenerla a bada, di resistere fino a che l’infezione col tempo esaurisca il suo furore.

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Già in passato, più di una volta, aveva constatato la incredibile potenza dell’amore, capace di riannodare, con infinita sagacia e pazienza, attraverso vertiginose catene di apparenti casi, due sottilissimi fili che si erano persi nella confusione della vita, da un capo all’altro del mondo.

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Per quanto egli cerchi di ribellarsi, il pensiero di lei lo perseguita in ogni istante millimetrico della giornata, ogni cosa persona situazione lettura ricordo lo riconduce fulmineamente a lei attraverso tortuosi e maligni riferimenti. Una specie di arsura interna in corrispondenza della bocca dello stomaco, su su verso lo sterno, una tensione immobile e dolorosa di tutto l’essere, come quando da un momento all’altro può accadere una cosa spaventosa

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E come l’uomo sulla zattera nel mezzo dell’immenso fiume, pur non distinguendo le sagome delle rive nelle tenebre, si accorge che la corrente accelera trascinandolo verso un’ignota fossa, così Antonio, senza saperne spiegare il perché, sentiva approssimarsi la scadenza inevitabile ch’egli aveva continuato a rinviare con insensata ostinazione. Quella specie di gorgo da cui si era lasciato agganciare quasi un anno fa, serrava progressivamente il suo ritmo, la discesa si convertiva in precipizio.

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Era pallida e sciupata. Era l’ombra della Laide classica, anche il naso sembrava diventato più grande, ma per lui era pur sempre l’amore.

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Anche a cinquant’anni si può essere bambini, esattamente deboli smarriti e spaventati come il bambino che si è perso nel buio della selva.

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Anche nella più alta società, anche in chiesa, quando un uomo vede una donna giovane e graziosa, anche i preti garantito lo stesso, subito pensa a come sarà sotto i vestiti.

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Aveva sentito raccontare spesso di uomini, per lo più avanti nell’età, che diventavano schiavi di una donna perché solo questa donna sapeva procurargli il piacere e le altre no. Una specie di stregoneria sessuale.

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Dai lontani tempi di quand’era studente, non aveva mai pedinato o fermato donne per la strada, e anche allora raramente, quattro o cinque volte in tutto: non già perché non gli sarebbe piaciuto farlo, ma per una timidezza invincibile, convinto com’era che non sarebbe potuto piacere. Le pochissime esperienze del genere fatte da ragazzo erano state del resto infelici.

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Che gusto c’è ad avere una donna quando si sa che lei lo fa esclusivamente per soldi? Che soddisfazione poteva avere l’uomo, a parte quella esclusivamente fisica, così rapida e in fondo così discutibile? La vecchia obiezione.

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Fra lui e le donne giovani c’era stata sempre una barriera, e le donne erano qualcosa di illecito e l’atto carnale una specie di mito. Di qui la sensazione che per una donna l’andare in letto con un uomo fosse un episodio importantissimo che coinvolgeva per così dire, sia pure per pochi minuti, l’intera sua vita.

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La donna, forse a motivo dell’educazione familiare, gli era parsa sempre una creatura straniera, con una donna non era mai riuscito ad avere la confidenza che aveva con gli amici. La donna era sempre per lui la creatura di un altro mondo, vagamente superiore e indecifrabile.

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Le donne, anche le meno scaltre, hanno una sensibilità tremenda per avvertire ciò che avviene nell’uomo in certi casi, il misterioso scatto per cui l’animo si accende e brucia e può darsi l’uomo sul momento non se ne accorga neanche e non sospetti ma lei sì e in quel momento stesso sale invincibile sul trono, incominciando il delizioso gioco di farlo impazzire.

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Non c’è nulla di meglio per farsi cercare dalle donne che tagliare la corda e mostrare indifferenza.

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Pensa e ripensa a quanto è falso il mondo che fa finta che non esistano i desideri carnali e non ne parla mentre in realtà ciascun uomo basta che sia sincero se incontra una ragazza anche per la strada una ragazza sconosciuta immediatamente pensa una cosa sola: è desiderabile? mi piacerebbe andarci a letto? Anzi si fa due domande perché la seconda domanda immancabile è: e ci sarebbe modo di farci l’amore per caso?

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Per aver partita vinta con le donne bisogna mostrarsi indifferenti.

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Per farsi prendere in considerazione da lei, una bella Maserati ultimo modello contava molto di più che aver costruito il Partenone.

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Tutto quello che non era lei, che non riguardava lei, tutto il resto del mondo, il lavoro, l’arte, la famiglia, gli amici, le montagne, le altre donne, le migliaia e migliaia di altre donne bellissime, anche molto più belle e sensuali di lei, non gliene fregava più niente, andassero pure alla totale malora.

Il deserto dei Tartari, Dino Buzzati (1940)

Il deserto dei Tartari segnò la consacrazione di Buzzati tra i grandi scrittori del ‘900 italiano.

È “il libro della vita” di Dino Buzzati. Nell’esistenza sospesa di Giovanni Drogo, il protagonista, i riti di un’aristocrazia militare decadente si mischiano a gerarchia, obbedienza e alla cieca osservanza di regolamenti superati e anacronistici.

Ai limiti del deserto, immersa in una sorta di stregata immobilità, sorge la Fortezza Bastiani, ultimo avamposto dell’Impero affacciato sulla frontiera con il grande Nord.

È lì che il tenente Drogo consuma la propria esistenza nella vana attesa del nemico invasore. Che arriverà, ma troppo tardi per lui. 

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Era avanzato per la spensierata età della prima giovinezza, una strada che da bambini sembra infinita, dove gli anni scorrono lenti e con passo lieve, così che nessuno nota la loro partenza. Si cammina placidamente, guardandosi con curiosità attorno, non c’è proprio bisogno di affrettarsi, nessuno preme di dietro e nessuno ci aspetta, anche i compagni procedono senza pensieri, fermandosi spesso a scherzare.

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Così una pagina lentamente si volta, si distende dalla parte opposta, aggiungendosi alle altre già finite, per ora è solamente uno strato sottile, quelle che rimangono da leggere sono in confronto un mucchio inesauribile. Ma è pur sempre un’altra pagina consumata, signor tenente, una porzione di vita.

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Eppure il tempo soffiava; senza curarsi degli uomini passava su e giù per il mondo mortificando le cose belle; e nessuno riusciva a sfuggirgli, nemmeno i bambini appena nati, ancora sprovvisti di nome.

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Nel sogno c’è sempre qualcosa di assurdo e confuso, non ci si libera mai della vaga sensazione ch’è tutto falso, che un bel momento ci si dovrà svegliare.

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L’ora miracolosa che almeno una volta tocca a ciascuno. Per questa eventualità vaga, che pareva farsi sempre più incerta col tempo, uomini fatti consumavano lassù la migliore parte della vita.

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Si accorse come gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangono sempre lontani; che se uno soffre il dolore è completamente suo, nessun altro può prenderne su di sé una minima parte; che se uno soffre, gli altri per questo non sentono male, anche se l’amore è grande, e questo provoca la solitudine della vita.

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Tutto quanto fugge via, gli uomini, le stagioni, le nubi; e non serve aggrapparsi alle pietre, resistere in cima a qualche scoglio, le dita stanche si aprono, le braccia si afflosciano inerti, si è trascinati ancora nel fiume, che pare lento ma non si ferma mai.

Ma a un certo punto, istintivamente, ci si volta indietro e si vede che un cancello è stato sprangato alle spalle nostre, chiudendo la via del ritorno. Allora si sente che qualche cosa è cambiato… si capisce che il tempo passa e che la strada un giorno dovrà pur finire.

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Ma una decisione bisognava pur prenderla, e ciò gli dispiaceva. Egli avrebbe preferito continuare l’attesa, rimanere assolutamente immobile, quasi a provocare il destino affinché si scatenasse davvero.

Siamo spiacenti di, Dino Buzzati (1960)

Siamo spiacenti di è un libro a cui lo stesso Dino Buzzati attribuiva un significato occasionale, privato; eppure proprio in questi testi brevi, essenziali, ritrova la cifra del suo stile.

Sono infatti pagine in cui Dino Buzzati si rivela uno scrittore di eccezionale onestà intellettuale, coraggioso fino al cinismo, “spiacente” di comunicare al lettore come stanno davvero le cose, che non esita a strappare il velo dell’ipocrisia per raccontare la verità sulla vita, l’amore, la gioventù, il successo, la dignità, le ideologie, la politica.

Una spregiudicatezza che non compromette le ragioni del suo stile, né lo porta a rifiutare gli strumenti abituali del suo fare letteratura: favola, aneddoto e paradosso.

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Lo scrivere è una delle più ridicole e patetiche illusioni… solo questa è la porta da cui, se mai, potrai trovare scampo…

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Per rendervi accetti al prossimo e avere successo, parlate male di voi stessi, riconoscendo di avere difetti, vizi e dolorose malattie: fate cioè l’opposto di quanto fanno in genere tutti… Attenti però a non esagerare perché se si accorgono che è tutta una commedia e che i vostri mali sono inventati si offenderanno mortalmente.

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Umili che non danno importanza a quello che fanno, benone! Che schifo, però, quelli che si autodenigrano. Quanto odioso orgoglio in chi si proclama verme della terra, infame peccatore, meritevole di ogni castigo, eccetera. Nel sottofondo c’è il pensiero: io so farmi piccolo, Dio mi apprezzerà. Ma perché mai Dio dovrebbe aver simpatia per tipi simili? Avete voi simpatia per chi vi adula e vi liscia da mattina a sera, proclamando voi un genio e proclamando se stesso un lurido pidocchio? Dio, spero bene, quando verrà l’ora, li prenderà a calci nel sedere.

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Fate bene a insuperbirvi, o giovanotti. Noi siamo ormai vecchi, da buttar via. Il mondo è già vostro e voi intendete disporne a piacimento, avete tutte le ragioni. Dai nostri funerali rincaserete con un appetito formidabile, pieni di vitalità e progetti. Alla sera, coricandovi, sentirete un doloretto a destra dello stomaco, per ora una cosa da nulla.

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Per definire i delitti e i vizi più orrendi, si è adottato il marchio “contro Natura”. E pensare che l’uomo fa di tutto per liberarsi dalla Natura. Vestiamo contro Natura, abitiamo contro Natura, viaggiamo contro Natura, dalla mattina alla sera facciamo il contrario di quello che Natura ci consiglierebbe. Proprio in questa autonomia è il nostro vanto, la prova della nostra superiorità sugli animali. E più il progresso cammina, questo distacco dalla Natura si accentua. Anche nei rapporti fra uomo e donna, del resto, guai se andassimo contro Natura. Cosa c’è, per esempio, di più contro Natura che il matrimonio? Se desse retta alla Natura, l’uomo cambierebbe moglie a ogni stagione; e viceversa.

Sessanta racconti, Dino Buzzati (1958)

Vincitore premio Strega 1958. I Sessanta racconti, raccolti nel 1958, costituiscono una vera e propria “summa” del mondo poetico di Dino Buzzati.

In una girandola di narrazioni che riescono sempre a sorprendere le aspettative del lettore, vi si trova rappresentata l’intera gamma dei suoi motivi ispiratori.

La dimensione misteriosa del reale, i simboli arcani, l’incubo della paura, della morte, della malattia, la solitudine dell’uomo, la strana preveggenza di inquietanti sogni premonitori, la complessa, magica visione del mondo di Dino Buzzati in sessanta racconti brevi.

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Anche il piú nobile sentimento si atrofizza e si dissolve a poco a poco, se nessuno intorno ne fa piú caso. È triste dirlo, ma a desiderare il Paradiso non si può essere soli.

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Che peso, la presenza di Dio per chi non la desidera.

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Le donne sono famose per costruir romanzi inverosimili.

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Come nella vita l’attesa di un bene certo ci dà piú gioia che il raggiungerlo (ed è saggio non approfittarne subito, ma conviene assaporare quella meravigliosa specie di desiderio che è il desiderio sicuro di essere appagato ma non ancora praticamente soddisfatto, l’attesa insomma che non ha piú timori e dubbi e che rappresenta probabilmente l’unica forma di felicità concessa all’uomo), come la primavera, che è una promessa, rallegra gli uomini piú dell’estate che ne è il compimento sospirato, cosí il pregustare con la fantasia lo splendore del poema ignoto, equivale, anzi supera il godimento artistico della diretta e profonda conoscenza. Si dirà che questo è un gioco della immaginazione un po’ troppo disinvolto, che cosí si apre la porta alle mistificazioni e ai bluffs. Eppure, se ci si guarda indietro, constatiamo che le piú dolci e acute gioie non hanno mai avuto un piú solido costrutto.

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Il conformismo è la pace di colui che si sente in armonia con la massa che lo attornia. Oppure è l’inquietudine, il disagio, lo smarrimento di chi si allontana dalla norma…È una forza tremenda, piú potente dell’atomica.

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Un sacrificio non arriverà mai ai piedi di Dio onnipotente se non sarà stato consumato in segreto.

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Era stato l’uomo a cancellare quella residua macchia del mondo, l’uomo astuto e potente che dovunque stabilisce sapienti leggi per l’ordine, l’uomo incensurabile che si affatica per il progresso e non può ammettere in alcun modo la sopravvivenza dei draghi, sia pure nelle sperdute montagne. Era stato l’uomo ad uccidere e sarebbe stato stolto recriminare.

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Mi tormenta il dubbio che questo confine non esista, che il regno si estenda senza limite alcuno.

Il colombre e altri cinquanta racconti, Dino Buzzati (1956)

Pubblicato per la prima volta su Il Corriere della Sera, è un racconto magico che ha come protagonista lo squalo di misteriosa natura che si rende visibile solo alla propria vittima, che inseguirà per anni e anni finché sarà riuscito a divorarla.

Invenzione surreale e prodigio, qui come negli altri cinquanta racconti di cui si compone la raccolta, contraddistinguono tutta la narrativa buzzatiana, con quella sua affabulazione secca e serrata che si nutre di una quotidianità sempre enigmatica e inquietante, con un perenne doppio fondo di strazio metafisico e di disagio angosciato di fronte all’indecifrabilità del destino umano.

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Di innumerevoli afflizioni è generoso il mondo, ma i morsi dell’invidia sono tra le ferite più sanguinose, profonde, difficili, da rimarginare e complessivamente degne di pietà.

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Le differenze continuano a esistere finché noi viviamo parliamo vestiamo, ciascuno recitando la sua bella commedia, poi basta: poi tutti uguali nell’identica positura della morte, così semplice, così confacente ai requisiti dell’eternità.

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Ogni vero dolore viene scritto su lastre di una sostanza misteriosa al paragone della quale il granito è burro. E non basta una eternità per cancellarlo.

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Potente è il deserto delle città fatto di moltitudini, di strepiti, di ruote, di asfalto, di luci elettriche, e di orologi che vanno tutti insieme e pronunciano tutti nello stesso istante la medesima condanna.

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Un frate di nome Celestino si era fatto eremita ed era andato a vivere nel cuore della metropoli dove massima è la solitudine dei cuori e più forte è la tentazione di Dio.

In quel preciso momento, Dino Buzzati (1950)

È una raccolta di racconti brevi, prose, riflessioni, apologhi, appunti e pagine di diario.

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Di chi hai paura, imbecille? Della gente che sta a guardare? Dei posteri, per strano caso? Basterebbe una cosa da niente: riuscire a essere te stesso, con tutte le stupidità attinenti, ma autentico, indiscutibile. La sincerità assoluta sarebbe di per se stessa un documento tale! Chi potrebbe muovere obiezioni? Questo è l’uomo, uno dei tanti se volete, ma uno. Per l’eternità gli altri sarebbero costretti a tenerne conto, stupefatti.

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E la sera, dalla mia stanza di bambina, guardo i lumi della città sul mare. E certe volte ho l’impressione di essere ancora quella di una volta, e che gli anni non siano mai passati. E penso: laggiù è la vera vita, laggiù il mondo, l’avventura, il sogno! E fantastico un giorno o l’altro di partire.

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Li vedo: durante la conversazione uno di colpo si distrae, sta fermo e pensieroso, magari pochi secondi ma è quanto basta per capire che la sua verità è là, dentro quel silenzio. Come uno che dinanzi a casa stia conversando con gli amici e a un tratto li lascia, corre dentro a vedere chissà cosa e subito dopo ritorna, col volto di prima tale e quale, e nessuno sa che cosa sia andato a fare e se qualcuno glielo domanda, lui risponde “niente”, e d’altra parte non si poteva scorgere nulla attraverso la porta quando lui l’ha aperta, che cosa ci fosse dietro, non si vedeva che un rettangolo di buio.

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Una immensa piazza, dunque, con intorno un’infinità di case, questa è la vita; e, in mezzo, gli uomini che trafficano fra di loro e nessuno riesce mai a conoscere le altre case; soltanto la propria e in genere male anche questa perché restano molti angoli bui e talora intere stanze che il padrone non ha la pazienza o il coraggio di esplorare. E la verità si trova soltanto nelle case e non fuori. Cosicché del restante genere umano non si sa mai niente. L’uomo passa distratto in mezzo a questi infiniti misteri e ciò non sembra poi dispiacergli eccessivamente.

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La ragazza disse:
“A me piace la vita, sa?”
“Come? Come ha detto?”
“La vita mi piace, ho detto.”
“Ah sì? Mi spieghi, mi spieghi bene.”
“A me piace, ecco, e andarmene mi rincrescerebbe moltissimo.”
“Signorina, ci spieghi, è terribilmente interessante… Su, voi, di là, venite anche voi a sentire, la signorina qui dice che la vita le piace!”

Cronache terrestri (1972)

Cronache terrestri è una raccolta postuma di articoli scritti da Dino Buzzati durante la sua carriera di giornalista al Corriere della Sera, pubblicata nel 1972.

Usciti nell’arco di quarant’anni, non erano mai stati riproposti durante la vita dell’autore.

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Aboliamo gli egoismi veleno della Terra

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Ciascuno di noi forse porta scritta in una recondita particella del corpo, la propria finale condanna. Ma perché andare determinatamente a disseppellirla?

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Scriverà magari delle cose stupende, ben più in alto che queste povere righe, di cui io mi accontento. Noi sappiamo che alla sera, nella principesca dimora o nel tugurio illuminato a candela, nessuno piangerà sulle nostre pagine, né sentirà, leggendo, entrargli nel petto la consolazione. Lui invece sì. Alla sera misteriosamente udrà, da ogni parte del mondo, i singhiozzi di coloro a cui egli avrà toccato il cuore. Il fuoco che lo consuma accenderà miriadi di tenui fiammelle a confortare ignote case, mutando le ombre della catapecchia in saloni fatati. E il suo desolato amore seminerà tra le moltitudini inaridite il calore dei sogni.

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