“Diario russo” di Anna Politkovskaja: propaganda, censura e democrazia
In vista della Giornata mondiale della democrazia, noi di Libreriamo abbiamo pensato di parlarvi di “Diario russo” (2003-2005), testamento morale di Anna Politkovskaja.
Un reportage, ma molto altro
Si presenta come un libro di reportage, un’indagine in presa diretta sulla progressiva compressione delle libertà in Russia nei primi anni 2000; tuttavia, il sol fatto di essere stato scritto da una giornalista che ha pagato la ricerca della verità con la vita lo rende un vero e proprio testamento morale.
L’edizione italiana Adelphi, curata da Claudia Zonghetti, lo presenta esplicitamente come la ricostruzione di anni cruciali in cui “la morte della democrazia parlamentare russa” si accompagna al contrarsi della libertà di informazione.
Una reporter ostinata
Figlia di diplomatici, nata a New York nel 1958, Politkovskaja divenne la firma più riconoscibile di Novaja Gazeta raccontando gli abusi nella guerra in Cecenia e, più in generale, lo scivolamento del Paese in un regime di paura e impunità. La sua fu una voce ostinatamente indipendente: minacciata, arrestata, intossicata nel settembre 2004 mentre tentava di raggiungere Beslan per seguire la crisi degli ostaggi; eppure sempre di nuovo in campo.
Questa radicale etica del testimoniare è la chiave per entrare in “Diario russo”: non troveremo neutralità di maniera, ma la lucida, documentata parzialità di chi prende parte alla realtà che racconta. La critica internazionale lo ha scritto con chiarezza: “fear and loathing in Moscow, recorded with clear-eyed compassion”, dirà Kirkus Reviews; un libro “deprimente e illuminante” insieme, secondo il Guardian.
“Diario russo”
Il volume copre il triennio dicembre 2003/agosto 2005 e, come indica la casa editrice italiana, mette in sequenza i passaggi attraverso cui il potere svuota le istituzioni: elezioni pilotate alla Quarta Duma (dicembre 2003), normalizzazione mediatica, giustizia opaca.
Politkovskaja intreccia fatti di cronaca — come l’attentato alla metro di Mosca, il crollo del Parco acquatico di Jasenevo, il teatro Dubrovka, l’assassinio di Achmat Kadyrov, le testimonianze di Beslan — con appunti dal “centro del potere”, mostrando come ogni shock pubblico diventi occasione per accentrare, silenziare e riscrivere.
La forma del diario consente di seguire i nessi causali che spesso sfuggono alla lettura occidentale, e di ascoltare le voci minime (madri, soldati semplici, funzionari) sotto la colata della propaganda. La prosa alterna sdegno e umorismo nero: la distanza emotiva è un lusso che non ci si può permettere quando, mentre si annota, la realtà precipita. Non stupisce che per Publishers Weekly sia “un memoir raro e intelligente” che tuttavia non permette consolazioni; perché chi legge sa già che l’autrice “lo ha pagato con la vita”.
Perché parla di democrazia?
“Diario russo” non è un manuale, non è un libro di scuola e non è un saggio, ma mostra, riga dopo riga, come si spegne una democrazia: si svuotano i parlamenti, si addomesticano i media, si coltiva l’indifferenza come bene rifugio. È la stessa traiettoria che, anni dopo, porterà il Comitato per il Nobel (2021) a ricordare che un’informazione libera e fattuale è “essenziale per la pace” premiando due giornali simbolo della resistenza civile — Rappler e Novaja Gazeta. Anche in questo senso, Politkovskaja è una pietra angolare per capire il rapporto tra stampa indipendente e diritti.
Leggerlo oggi, nel tempo di nuove guerre e nuove censure (non solo in Russia), significa imparare a riconoscere gli automatismi del potere: la retorica della sicurezza che giustifica tutto, l’ossessione del “nemico interno”, la delegittimazione sistematica di ogni voce critica.
L’assassinio: i fatti, i processi, le ombre
Il 7 ottobre 2006, compleanno di Vladimir Putin, Anna Politkovskaja viene uccisa nell’ascensore di casa a Mosca con colpi d’arma da fuoco a bruciapelo. L’omicidio suscita un’ondata internazionale di sdegno e diventa subito emblema della vulnerabilità dei reporter russi. Negli anni successivi il caso procede a strappi: assoluzioni, annullamenti, nuovi dibattimenti. Nel 2014 cinque uomini vengono condannati, due all’ergastolo, ma resta l’interrogativo cruciale: chi ha ordinato l’omicidio?
Le organizzazioni per la libertà di stampa hanno monitorato senza tregua il dossier, denunciando ritardi, depistaggi, responsabilità non accertate ai livelli alti. Reporters Without Borders e il Committee to Protect Journalists ricordano anche il clima in cui la giornalista lavorava: minacce, arresti, avvelenamenti, isolamento televisivo. È la cornice che Diario russo rende intellegibile dall’interno.
Un aggiornamento che dice molto sulla perdurante impunità: nel 2023 Sergei Khadzhikurbanov, uno dei condannati per l’omicidio, risulta graziato dopo aver combattuto in Ucraina, secondo un’inchiesta del Guardian.
Politkovskaja e un’etica che non si nasconde
L’etica di Politkovskaja è basata sulla precisione e sull’io civile che non si nasconde. Non finge equivalenze: nomina responsabilità, segnala nomi, mostra documenti. Il suo “umorismo nero” è un vivo istinto contro la retorica: riduce all’osso le formule ufficiali, le smaschera per quello che sono – coperture. In questo, il Guardian riconosce in “Diario russo” un libro “per turni deprimente e illuminante”, mentre un altro pezzo del quotidiano britannico lo definisce il lavoro di “una martire della verità”.
Lettura politica, lettura umana
Per il lettore di oggi, “Diario russo” è doppiamente prezioso. In primo luogo: spiega il presente. Nel 2004 l’autrice racconta di essere stata avvelenata mentre cercava di raggiungere Beslan; il racconto incrocia dinamiche di sicurezza, propaganda e controllo dei media che riconosciamo nelle crisi odierne. In secondo luogo: dà volti e voci alle persone travolte dagli eventi (le madri di Beslan, i soldati al fronte, i cittadini qualunque). L’“analisi” non resta mai astratta: ogni tesi nasce da incontri reali.