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David Foster Wallace, il “Re pallido” della letteratura americana

David Foster Wallace è uno scrittore da venerare, un colosso della letteratura americana. Uno scrittore ormai avvolto dall'aura del mito

David Foster Wallace è uno scrittore da venerare, un colosso della letteratura americana. Uno scrittore ormai avvolto dall’aura del mito. D’altra parte, la storia premia l’onestà e la sincerità della scrittura. Uno dei temi che Foster Wallace affronta con più passione è quello del solipsismo, ovvero l’impossibilità di rendere intersoggettiva la propria soggettività. Un’impossibilità a comunicare che appesantisce la nostra solitudine.

Una crisi di mezza età a vent’anni

È il 21 febbraio 1962 quando a Ithaca, una cittadina a 400 chilometri da New York, mette per la prima volta piede sulla terra David Foster Wallace. Nato dall’unione di James Donald Wallace e di Sally Jean Foster, David trascorre l’infanzia a Champaign, nell’Illinois, per poi trasferirsi a Urbana, dove frequenta la Yankee Ridge School. Si iscrive poi all’Amherst College, Massachusetts, la stessa università che ha frequentato il padre. Come lui stesso ha raccontato, in questi anni ha “una crisi di mezz’età a vent’anni”. Lascia per un semestre gli studi e torna a casa, dove gli capita tra le mani un racconto dello scrittore postmoderno Donald Barthelme, “The Balloon”. L’esperienza di lettura è tanto folgorante da far nascere in lui il desiderio di scrivere.

Il ricovero, la prima storia e l’insegnamento

Nel 1985, a 23 anni, si laurea in letteratura inglese e in filosofia, con una specializzazione in logica modale e matematica, e la sua tesi in filosofia sulla logica modale, intitolata “Richard Taylor’s ‘Fatalism’ and the Semantics of Physical Modality”, è premiata con il prestigioso Gail Kennedy Memorial Prize. Nel 1987 viene pubblicato il suo primo romanzo, “La scopa del sistema“, a detta dell’autore “il romanzo di formazione di un giovane wasp ossessionato da Wittgenstein e Derrida”, che riceve dalla critica un’accoglienza entusiastica. Poi sente il richiamo di Harvard, così si trasferisce a Boston e si iscrive al primo semestre del corso di filosofia, ma alla fine del 1989 è costretto a lasciare, venendo ricoverato nella clinica psichiatrica McLean’s. Per gran parte degli anni ’90 insegna scrittura creativa alla Illinois State University e nel 2002 diventa professore di scrittura creativa e letteratura inglese al Pomona College, in California.

L’ingresso nell’Olimpo

Dopo “La scopa del sistema”, Foster Wallace pubblica il saggio “Il rap spiegato ai bianchi“, scritto con l’ex compagno di college Mark Costello, e la raccolta di racconti “La ragazza dai capelli strani“. Il giovane scrittore americano incontra subito un incredibile successo e in tanti sono ad accostare il suo nome a quello di maestri del postmoderno come De Lillo, Pynchon e Barth. Nelle sue parole trovano un felice equilibrio comicità e intellettualismo, surrealtà e iperrealismo, ironia e reale commozione. Ma la definitiva consacrazione la ottiene nel 1996 quando fa la sua comparsa in libreria il mastodontico “Infinite Jest“, ambientato in un poco fantascientifico prossimo futuro in cui tragicomici progressi della tecnologia e surreali sviluppi politici non mutano la complessità dolorosa dei sentimenti e dei rapporti umani. Nei primi giorni di promozione del libro è stato girato un film intitolato “The end of the Tour” (uscito nel 2015 per al regia di James Ponsoldt), ispirato al racconto di David Lipsky “Come diventare se stessi“, nel quale l’autore, inviato dalla rivista Rolling Stone a scrivere un lungo articolo su Wallace, trascorre cinque giorni interi a fianco dello scrittore.

La fine

La scrittura per Foster Wallace è molto di più di un lavoro tanto che continua a scrivere fino alla fine. L’ultima raccolta che vede la luce è “Oblio“, mentre negli ultimi mesi della sua vita ha lavorato a “Il re pallido“, romanzo che lascia incompiuto quando il 12 settembre 2008 si toglie la vita. David Foster Wallace viene ritrovato morto nella sua casa di Claremont dalla moglie Karen Green, lasciando dietro di sé un vuoto incolmabile nella letteratura mondiale.

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