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Dal giornalismo alla letteratura, le regole della narrazione secondo Daniela Mattalia

Al suo esordio letterario con il romanzo "La perfezione non è di questo mondo", la giornalista ci racconta differenze e similitudini tra scrittura giornalistica e letteraria

MILANO – Recuperare una parte di se, quella non razionale, fantasiosa, anarchica. E’ stato questo l’esperienza di scrivere un libro per la giornalista di origine veronese Daniela Mattalia, al suo esordio letterario con il romanzo “La perfezione non è di questo mondo“. L’abbiamo intervistata per conoscere le differenze e le similitudini tra la scrittura giornalistica e quella letteraria.

 

Da giornalista a scrittrice. Cosa ti ha spinto a scrivere un libro? 

Prima di essere una giornalista scrivevo (tutto rigorosamente nei miei cassetti…) e certo non di scienza. Inventare una commedia è stato recuperare una parte di me, quella non razionale, fantasiosa, anarchica. Anche se non c’è poi una totale barriera tra i due aspetti. Si può scrivere di scienza, e in genere cerco di farlo, affabulando, creando aspettative, curiosità, descrivendo la scienza per quello che è: un universo di affascinanti sorprese e infinite esplorazioni.

 

Cosa ti ha ispirato per la stesura di questo romanzo?

Sono partita da un’immagine iniziale, una donna che si sveglia in un letto di ospedale scoprendo che non ha più dolori, sintomi, sofferenza. Sta finalmente benissimo. Perché ha smesso di esistere. Solo che non se n’è accorta e continua a vagare per le corsie dell’ospedale. Da quell’immagine femminile è poi nata una storia diversa, con molti altri personaggi non previsti. Semplicemente, sono entrati nella storia perché volevano farne parte.

 

Quali sono i tuoi scrittori preferiti? C’è qualcuno a cui ti ispiri?

Fra gli italiani, Fruttero & Lucentini: vorrei saper scrivere esattamente come facevano quei due. Nel mio romanzo c’è anche un omaggio a loro: Olga, uno dei miei personaggi, mentre è in ospedale legge “L’amante senza fissa dimora”. Ho amato Calvino. Oggi? sono, come tanti, incantata da Carlo Rovelli, i suoi saggi ti proiettano altrove. Fra i contemporanei, prediligo gli stranieri, soprattutto anglosassoni: McEwan, Kundera. E un francese, Emmanuel Carrère. I miei miti del passato: Henry James, Proust, la Yourcenar.

 

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di scrivere come giornalista e di scrivere un libro?

Essere giornalista mi ha educato a uno stile senza enfasi, senza orpelli, senza barocchismi. Tutte cose che considero zavorra. Non devi, almeno io la penso così, andare per accumulo, ma per scelta. Se ti vengono in mente tre aggettivi buoni per descrivere qualcosa, non devi metterli tutti e tre. Scegline uno, quello che funziona di più. Altrimenti rischi l’effetto “dizionario dei sinonimi”. Questo è un vantaggio, ritengo. Però, da scrittore, è meglio dimenticare il metodo che spesso adottiamo quando buttiamo giù un articolo: ammiccare al lettore, usare la scorciatoia della frase “simpatica” , gli stratagemmi giornalistici per catturare l’attenzione. Esistono altre regole nella narrazione. Non so bene quali siano, a essere sincera, ma non credo siano queste.

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