Fino a qualche anno fa mi preoccupavo di trovare le parole giuste per spiegare ad amici e conoscenti in cosa consistesse esattamente il lavoro dello psicoterapeuta. Adesso, ogni volta che dico: “Mi occupo di Libroterapia” raccolgo a questa mia affermazione una serie di reazioni che vanno da “ma serve lo psicoterapeuta per trarre beneficio dalla lettura?” a “ma i libri che consigli li hai letti tutti?”.
A questo tipo di domande sono abituata, mentre invece ancora mi stupisce che la libroterapia venga abbinata ai manuali di auto-aiuto. Questa convinzione è talmente radicata che, quando vengo intervistata e cerco di spiegare in cosa consiste il mio lavoro, difficilmente riesco a convincere la giornalista di turno a non parlare di “self-therapy” o di self-help books. Pare sia opinione comune che per avere una validità terapeutica i libri debbano trattare una specifica problematica o almeno descrivere strategie per eliminare un disagio.
Nella selva dei “E’ facile smettere di fumare se sai come farlo” (declinato in “È facile controllare il peso se sai come farlo”, “È facile smettere di preoccuparsi se sai come farlo”, “È facile controllare l’alcool se sai come farlo”) non ho potuto impedirmi di pensare che quando qualcosa è così “facile” non serve scriverci sopra interi manuali. Più avanti mi sono imbattuta in titoli più patologicamente mirati “Vincere le ossessioni. Capire e affrontare il disturbo ossessivo compulsivo”, “Vincere l’ansia per negati”, “La depressione. Che cosa è e come superarla” arrivando a moniti totalitari come “Reinventa la tua vita” e similari.
So che molti colleghi usano questo genere di testi con i loro pazienti e non voglio certo mettermi a discutere se siano utili o meno. A mio avviso, citando il manzoniano Don Abbondio, “Il coraggio uno non se lo può dare”, ovvero nelle questioni della psiche essere consapevoli di avere un problema e studiarne la soluzione potrebbe non bastare.
Qualche mese fa, quando qualcuno mi ha citato la nuova uscita di Sellerio, “Curarsi con i libri” curato da Fabio Stassi (un riadattamento di “The novel cure” di Berthoud e Elderkin) ho pensato si trattasse di un self-help book.
Pochi giorni dopo, la casa editrice mi ha inviato il testo in formato elettronico, prima dell’uscita della pubblicazione, con la richiesta di leggerlo e di darne un parere da libroterapeuta. Ho avviato la lettura con le dovute cautele, temendo di avere a che fare con un qualche manuale dell’aiuto fai da te, ma anche con una certa curiosità, perchè avevo letto “L’ultimo ballo di Charlot” di Stassi e mi era piaciuto tantissimo.
Trenta pagine, ed ero stregata: l’ironia con cui i “malanni” vengono presentati, la delicatezza di inserire nell’elenco non solo sofferenze psicologiche ma anche inaspettate e divertentissime “non-patologie”, l’accuratezza in cui sono stati scelti i “rimedi” (i libri consigliati) e il modo avvincente in cui le opere sono brevemente presentate mi hanno fatto letteralmente divorare le oltre 600 pagine e “Curarsi con i libri” ha ottenuto un posto d’onore tra i miei scaffali.
Se un tale invito alla lettura, tanto spinto da far arrivare alla conclusione che in fondo ogni scusa sia buona per leggere un libro, non poteva lasciarmi di certo indifferente, nell’elenco dedicato ai “disturbi della lettura” che si apre con un “Acquisto di libri, compulsivo” mi sono talmente rivista che mi sento di consigliarlo a tutti coloro che, come me, amano leggere. Vi fornirà ottime motivazioni per continuare a far crescere la vostra biblioteca personale e, quando ormai sarete presi dalla lettura, vi obbligherà a riflettere.
21 novembre 2013