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Paolo Crepet, “E’ più intelligente prevedere invece di osservare”

Paolo Crepet è tornato, con il libro "Oltre la tempesta", a parlarci del futuro delle nostre relazioni post Covid. Lo abbiamo intervistato in esclusiva.

Paolo Crepet è tornato a parlarci della nostra società, del nostro modo post-covid. Con il suo libro “Oltre la tempesta” (edito per Mondadori), ha cercato di “prevedere” quelle che saranno le nostre relazioni, i nostri atteggiamenti. Ha cercato di analizzare i cambiamenti che i diversi lockdown ci hanno costretto a vivere, ponendo grande attenzione sulla sfera relazionale dei giovani, il loro rapporto con la tecnologia e il ruolo della scuola.

Qui la sua intervista esclusiva fatta da Stella Grillo, nella quale vengono sviscerati argomenti importanti con estrema acutezza e intelligenza. Ringraziamo Crepet per le sue parole, per le sue riflessioni e per il suo libro.

Prevedere un futuro incerto e complesso 

Siamo stati sommersi di libri riguardanti il covid. Ma quando a parlarne è Paolo Crepet?  Quando quest’ultimo ci regala un’intelligente riflessione sul nostro imminente futuro? Beh, bisogna accorrere a recuperare il suo ultimo libro. Si intitola “Oltre la tempesta” e ci regala un quadro complesso delle nostre relazioni, delle nostre paure, dei nostri cambiamenti in questo anno e mezzo complesso. 

In questo libro ero stanco di parlare di cose che ci sono, volevo parlare delle cose che potranno esserci. Secondo me non è intelligente osservare, è più intelligente prevedere. Mi sono permesso di provare ad immaginare quello che potrà essere il nostro futuro dopo questa pandemia.  L’indignazione nei confronti di come sono stati trattati i giovani, mi ha fatto scattare la scintilla per iniziare a scrivere il libro. Mi sono indignato anche di come certi miei colleghi hanno trattato le persone, come se fossimo tutti delle cellule. 

Le doppie armi della tecnologia 

Il rapporto con i social e con la tecnologia,  è stata una delle cose più complesse che abbiamo affrontato. Anche e soprattutto per le generazioni più adulte, che si sono messi alla prova con mezzi semi-sconosciuti e necessari per affrontare il periodo della pandemia. Paolo Crepet ha approfondito nella nostra intervista, un concetto molto interessante, che riguarda il rapporto tra tecnologie e scienze, innovazione e civiltà. 

Forse non ho spiegato abbastanza una mia preoccupazione. Quando parlo di tecnologia, non parlo male di questa per partito preso. Io sono preoccupato per una semplificazione che la tecnologia porta nel nostro modo di pensare, discutere, informare. Parlando con un mio amico, è venuto fuori questo discorso molto delicato. Di questa sorta di sovrapposizione tra tecnologia e cultura scientifica, credo ci sia stata molta confusione. Molti dicono che la scienza è tecnologia e viceversa. Non dimentichiamoci che la scienza ha una storia e la tecnologia no. La scienza ha un metodo, un’etica. Questo vuol dire che i paesi ad alto contenuto tecnologico, non sono necessariamente i più civili. Questo comporta delle conseguenze politiche interessanti. 

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Lavorare distanti uccide la nostra creatività

La mancanza di contatto e di confronto è stata schiacciante, ci ha reso più apatici, malinconici di vita sociale. Anche il più introverso, in qualche modo, ha bisogno dei propri momenti e persone di sfogo. Tutti abbiamo bisogno di sentire, sensorialmente parlando, le altre persone. Crepet ha detto a riguardo:

“Lo smartworking smetterà di esistere. Abbiamo bisogno di contatto, di confronto, di vita vera. 
Ci sono cose che non sono demandatili. Ad esempio, questo, allunga i processi di decisione. Se quest’ultima deve passare attraverso più persone, non vedendosi o vivendosi in presenza, ci mette moltissimo per arrivare a tutti. Un’azienda, se vuole investire sul futuro, deve avere il coraggio di investire, investire in intelligenza, creatività, innovazione, quindi in persone. Nessuno da solo può essere creativo.  ” 

La DAD ha fallito

Non lo ha mai tenuto nascosto Paolo Crepet: per lui, la dad, è stato un fallimento totale. Come ci ha detto lui stesso, il suo è stato un contributo critico, perchè si poteva fare molto meglio. Il suo sguardo sull’adolescenza e sui giovani, ci permette di riflettere – nell’intervista e nel libro- sulle forti preoccupazioni che dobbiamo avere sul futuro dei nostri contatti sociali e relazionali.  

La DAD è stato un altro esempio di grande fallimento. Non funziona. Atrofizza le capacità e i talenti dei giovani. Il nostro compito è quello di smerigliare il cervello delle giovani generazioni, con la dad facciamo esattamente il contrario. Non dare l’opportunità ai ragazzi di “sfogarsi”, come direbbe mia nonna, è stato deleterio. I ragazzi sono stati davvero dimenticati. Abbiamo fatto l’elenco di qualsiasi attività in sofferenza, ma i bambini delle elementari, i giovani liceali e universitari, sono stati davvero messi nel dimenticatoio.

 

 

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