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Conversazione con Giuseppe Lissandrello, project manager/responsabile area scientifica di Melino Nerella Edizioni

Giuseppe Lissandrello, psicologo, psicoterapeuta, PsyD in Psicooncologia, nel 2009 partecipa con il suo amico fondatore Silvio Aparo e altri amici alla nascita della Melino Nerella Edizioni.

 

Dottor Lissandrello, in genere si domanda agli autori come sono diventati scrittori, quando è nata la vocazione. Mi sembra interessante chiederlo a lei, il primo editore che ospito in questa rubrica nata (già nel titolo) come spazio in cui si dà la parola agli autori.

Sia il sottoscritto che Aparo eravamo scrittori, personalmente avevo pubblicato anche parecchi lavori scientifici sulle sequele psicologiche dei malati di cancro. Venivamo da esperienze giovanili universitarie di collaborazione con circoli culturali, poetici, teatrali, romani per me, milanesi per lui (le nostre sedi universitarie,lui studiava Filosofia alla Cattolica, io Psicologia alla Sapienza). Personalmente per questioni affettive voglio citare il circolo del poeta Gaetano Salveti che tanto mi diede. L’esigenza nacque dalla necessità di dare voce e sostegno a talenti della scrittura che per la loro specificità non avrebbero mai trovato spazio nelle multinazionali del libro. Di non far pagare gli autori e di promuovere anche nella narrativa temi d’impegno sociale e di denuncia non per forza espliciti. In questa casa editrice mi sono ritagliato nel tempo vari ruoli. dal creativo blurbista, sono quello che di solito crea i titoli, a ruoli di management e di responsabilità. In questo momento seguo vari progetti editoriali.

 

La Melino Nerella Edizioni (chi sono Melino e Nerella, un mago e una fata?) è una casa editrice di nicchia. Non troppi titoli, il che presuppone una selezione accurata. Chi in concreto legge e sceglie i testi che saranno pubblicati dalla vostra casa editrice, della quale, se vuole, può presentarci la compagine?

Melino e Nerella erano una coppia di gatti, la prima coppia di gatti di Silvio Aparo che sono diventati anche il logo della casa editrice. Abbiamo un gruppo di esperti lettori ai quali passiamo i manoscritti, dopo una prima scrematura fatta dalla redazione, che ci indica i testi più interessanti. Noi guardiamo anche al curriculum dello scrittore, puntiamo su chi ha qualcosa da dire, non per forza nel campo letterario, a chi che nella sua quotidianità è promotore di Cultura. Poi abbiamo degli editor e grafici freelance, siamo una piccola realtà e non possiamo permetterci dipendenti, che di progetto in progetto coinvolgiamo. Negli anni, artigianalmente, studiando e osservando, ci siamo fatti una nostra esperienza che ci permette di capire quando il prodotto è pronto per essere pubblicato.

 

Si sa tutto dei problemi e degli ostacoli che incontrano gli autori nel pubblicare (quando non sono già famosissimi e allora possono consentirsi – non voglio fare nomi  − di portare all’editore la lista della spesa con la certezza che arriverà in libreria con bella copertina e codice ISBN: battuta che mi illudo di avere coniato ormai diversi anni fa ma che sento circolare). Vogliamo parlare delle difficoltà e degli ostacoli che incontra una casa editrice? Ne approfitto per invitarla a parlare dell’editoria italiana, sullo stato di salute della quale gli alti lai si sprecano.

Gli ostacoli e le fatiche di una casa editrice indipendente come la nostra, tra l’altro nel profondo Sud italiano − siamo della provincia di Siracusa − sono erculee. Ma ciò non interessa a nessuno.  Siamo persone che cercano di dare spazio alla cultura in ambienti difficili. Se non hai una “sfumatura” eclatante o scandalosa i media non sono interessati. Questo per noi è stato doloroso, non volevamo medaglie ma almeno il riconoscimento dell’impegno. Invece l’industria del libro, come qualsiasi altra industria capitalista, vive di consumismo. Il libro non deve fare cultura ma profitto, deve essere fast e poi buttato nel dimenticatoio. Nella nostra epoca i classici non esistono più, un libro dopo sei mesi è vecchio e viene ritirato dal mercato. La voce grossa la fanno i distributori che poi sono longa manus dei grandi gruppi editoriali che non ti distribuiscono e condizionano anche i librai. Quindi in altre parole il 10% è cultura, il 90% no. Qualcuno potrebbe pensare che è il discorso della volpe e l’uva ma chi frequenta le librerie lo sa che è così, d’altronde la nave di Teseo è un tentativo di ribellione ad alti livelli. Paradossalmente, anche se ci costa fatica produrre opere letterarie, questo stato di cose ci rende liberi ed orgogliosi di pubblicare chicche rare. L’unico cruccio è che non possiamo coinvolgere un grande pubblico di lettori: anche se le librerie online ti danno una mano, è sempre un sistema a favore dei grandi.

 

Giuseppe Lissandrello è anche scrittore di racconti (adesso ci dirà qualcosa in merito), quei racconti che si dice siano poco amati dagli italiani. Il suo punto di vista, da scrittore e da editore, qual è? È vero che gli italiani, che comunque (si dice) leggono poco, non vogliono saperne di racconti?

Ho scritto L’eredità del suonatore di campane, che è un racconto lungo (120 pagine) e, con altri autori, le antologie: Storie, sapori e valori, Albanopower, Anche tu come noi smetterai di respirare, Ferule di sangue, Happy hour con gli dei (quest’ultima ha visto riuniti per la prima volta con Lissandrello altri autori siciliani, alcuni importanti come Simona Lo Iacono, finalista al premio strega 2016, Gaetano Savatteri, Massimo Maugeri ed altri.)

A mio avviso non c’è il lettore tipo o un lettore ideale, dipende da come il lettore viene manipolato dagli opinion leader, quelli che stilano la classifica dei libri più venduti. Diciamo che i gusti vengono indirizzati per altre logiche che non sto qui a disquisire. Di cosa parliamo quando parliamo d’amore di Carver viene letto ancora, anzi fece la fortuna degli editori di Minimum fax. I racconti di Buzzati sono capolavori della letteratura italiana, e così possiamo dire per Gogol, Guy de Maupassant, Jerome K. Jerome, Kafka, tutti classici che vengono comprati, letti e apprezzati. Una volta il racconto serviva come formazione per lo scrittore in erba che affinava il proprio stile per fare poi un salto di maturità nel romanzo. I manuali di scrittura creativa lo consigliavano, c’erano famose riviste letterarie che li pubblicavano, vedi le biografie di Bukowski e John Fante dei quali sono grande estimatore; qualcuno mi ha lusingato associando il mio stile a questi ultimi e a Carver. C’è stata la tendenza a orientare il pubblico verso i romanzi lunghi, lunghissimi, ma, anche per una questione economica, un libro di 16 euro deve avere almeno 300 pagine perché il lettore non può spendere 20 euro a settimana per un libro e quindi il libro deve “durare”. Ma quello è il lettore da metropolitana. I giovani amano i romanzi brevi altrimenti non si spiegherebbe il successo dei fumetti. Ad ogni modo, negli ultimi due anni il racconto sta raccogliendo di nuovo consensi.

 

La domanda sulle letture non manca mai in queste conversazioni. Che lettore è Giuseppe Lissandrello? Cosa sta leggendo in questo periodo? Qual è l’ultimo libro che l’ha appassionato? I tre libri che salverebbe nell’ipotetica catastrofe in cui le fosse concesso salvarne solo questo numero, non uno di più? Legge solo cartaceo, solo digitale, misto? Nelle sue previsioni, un giorno leggeremo solo digitale oppure no?

Sono un lettore che salta continuamente dalla letteratura ai saggi anche per motivi di lavoro ma non solo. In questo periodo sto leggendo saggi storici e di psicologia soprattutto sulla mindfulness che è una nuova disciplina pratica all’interno della psicoterapia cognitiva.  L’ultimo romanzo che mi ha preso risale a qualche tempo fa ed è Caos Calmo anche perché sono un cultore e studioso della teoria della Complessità. Poi i libri dei miei ultimi progetti editoriali mi hanno piacevolmente rapito come i racconti de: L’amore non sta in piedi, di Marilina Giaquinta, scrittrice di razza. E per altri aspetti più sociali: Madri in Sicily di Cetty Amenta. A breve pubblicheremo una favola di una giovane scrittrice, Cinzia Giddio, che ha per tema la denuncia contro l’inquinamento. Le nostre antologie di racconti hanno tutte uno sfondo sociale o di valorizzazione delle risorse, Happy hour con gli dei per esempio è stato un modo originale di valorizzare i siti Unesco in Sicilia. I tre libri importanti per me non sono tre ma almeno trecento. Diciamo che sono grato oltre agli autori citati, perché letti in momenti particolari della mia crescita: L’insostenibile leggerezza dell’essere, di Kundera, Cent’anni di solitudine, di Márquez, I vagabondi del Dharma di Kerouac. E infine vorrei menzionare due che sento padrini per vicinanza territoriale, Vitaliano Brancati ed Elio Vittorini. Poi sono un appassionato lettore della letteratura erotica raffinata, ma anche di quella goliardica, senza sfumature però. Quando un pessimo libro fa successo mi intristisco perché penso all’occasione perduta di migliorare l’umanità attraverso la lettura. Le censure non fanno crescere nell’uomo la maturità sentimentale e questa mancanza di maturità a mio avviso è una delle cause scatenanti il femminicidio.

Penso che il cartaceo resisterà. La lettura digitale è come il fenomeno dei cd: misero in pensione troppo in fretta il vinile e ora l’industria musicale ne paga le conseguenze e cominciano a ritornare i vinili. Quindi  mi auguro che l’industria del libro non commetta gli stessi errori. Ci potrà essere una buona pacifica coesistenza. In Italia siamo ancora indietro con le tecnologie e poi abbiamo un problema di lingua limitata ai nostri confini,diverso è per il mondo anglosassone dove l’inglese copre una bella fetta del pianeta. Personalmente sono 90% cartaceo 10% digitale.

 

I premi letterari, quelli importanti: a chi servono? Alle grandi case editrici, agli autori, ai lettori, a nessuno? E a cosa servono, se riesce a riconoscervi un’utilità?

I premi letterari in questo periodo di piattume intellettuale, in cui le persone per comprare i libri si affidano alle classifiche del Corriere della Sera o del Sole 24 ore piuttosto che alle proprie sensibilità, sono tornati in auge dopo anni di contestazione, perché si sa che chi vince non è sempre il più bravo. Sono tornati a essere vetrina importante per gli autori e ovviamente per le case editrici. Naturalmente i gruppi editoriali forti, come mai nessuna casa editrice piccola vince un premio? Gli scrittori bravi ed i romanzi eccellenti li fanno solo loro? Non credo proprio. Questo è il sistema. Negli anni ho imparato che non è importante per chi fa Cultura cercare per forza la vetrina nazionale e internazionale. Il provincialismo te lo scrolli di dosso con la qualità, non con i riflettori puntati. Abbiamo poche risorse ma la possibilità di rimanere liberi pensatori e di formare scrittori liberi.  Vi sembra poco?

 

Grazie, dottor Lissandrello, per il suo tempo e le sue risposte.

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