Maria Paola Colombo è già stata ospite di questa rubrica. Stavolta la nostra conversazione riguarda il suo romanzo di recente pubblicato da Mondadori, Il bambino magico.
Ciao, Maria Paola. Eccoci di nuovo qui a parlare di scrittura. Il bambino magico racconta una storia complessa, che si svolge in parte in un villaggio africano e in parte a Milano. È la storia di tre bambini, di Gora, di suo fratello Moussa – albino e quindi magico, protetto dalla famiglia e dal villaggio e soprattutto da Gora – e di Miriam. È stata lunga la gestazione di questo romanzo?
Il bambino magico è nato un giorno di febbraio dello scorso anno: ero sulla A26, diretta al mare. Alla radio hanno trasmesso un’intervista dalla baraccopoli di Rosarno, dove, ogni anno, nel periodo della raccolta delle arance si ammassano centinaia di africani. Il mio cuore ha tremato: possibile che nell’Italia di oggi, tanti uomini possano vivere in condizioni simili a quelle dei campi di concentramento? Mi è venuto un groppo alla gola. Ho cominciato a scrivere di quel campo senza gabinetti e senza acqua, del freddo e del fumo nella vecchia fabbrica abbandonata e occupata dai
braccianti africani. Ma la storia non andava avanti, non funzionava: stavo inanellando stereotipi, positivi, ma stereotipi. Allora, per conoscere un poco l’anima dei miei protagonisti, ho deciso di scrivere qualche pagina della loro infanzia, a mio uso e consumo. E mi sono accorta di un difetto
strutturale nel mio pensiero (e dibattito collettivo che, ahimè, in quel periodo ha cominciato a infiammarsi): anche tra chi è favorevole all’accoglienza prevale l’idea del migrante come un povero disgraziato, da aiutare in forza della sua difficoltà. È sicuramente vero: la nostra umanità è chiamata in causa in maniera ineludibile. Ma c’è di più: l’altro non è solo un “povero” (di lavoro, di cibo, di casa), non è solo il destinatario di un gesto non paritario, ma è, anche, un “ricco”, un portatore di cultura, di storie e possibilità. E così l’Africa non è solo una terra martoriata dalle guerre, dagli autoritarismi, dalla fame e dal colera, ma anche un continente che ospita molte culture affascinanti, millenarie, che hanno molto da dire e da insegnare all’Occidente. In un certo senso l’ho scoperto proprio in quel lunghissimo passo indietro nell’infanzia nell’Africa, che è poi diventato il cuore del libro. Dal momento in cui ho toccato questo cuore, la scrittura è sgorgata fortissima. In due mesi il romanzo era finito.
Per l’ambientazione africana hai dovuto studiare, prendere contatto con persone provenienti dall’Africa?
Ho svuotato lo scaffale della mia libreria di fiducia, sezione “geografia”. Ho incontrato persone che lavorano tutti i giorni nelle organizzazioni di aiuto. Ho ascoltato alcune storie di migranti dalla loro bocca. Poi ho fatto silenzio e ho chiuso gli occhi. Infondo al cuore di ciascuno di noi, c’è un uomo in cammino: con il suo bisogno di conservare le proprie radici, il suo desiderio di futuro e la paura di essere escluso e straniero.
Una scrittura intensa, a volte l’andamento è quasi da fiaba: sono i giorni e gli anni del villaggio, dell’infanzia, della crescita. Poi arrivano gli anni dell’emigrazione, dell’impatto con una civiltà diversa, con le brutture del mondo, dell’Italia, e anche la narrazione ha voce e ritmo differenti. Le emozioni che racconti sono sempre forti, è una caratteristica delle tue storie. L’ispirazione nasce tutta dalla tua immaginazione o l’osservazione del reale ti fornisce spunti che poi rielabori?
La vita, la propria e quella degli altri, se ti metti in ascolto, è un fitto intreccio di storie, di battaglie quotidiane in equilibrio tra paura e desiderio. Dentro a ciascuno di noi c’è tutta la bellezza e tutta la nefandezza dell’umanità. L’istinto a creare e quello a distruggere. La voglia di abbracciare ed essere abbracciati, e quella di respingere l’altro come nemico. Io sento che ogni storia che ascolto, che leggo nei libri o sul volto di una persona, mi riguarda.
Sei mai stata in Africa (o desideri andarci)? Il villaggio di Marindo-Ta ha le caratteristiche di un villaggio immaginario ma situato in un particolare Stato o zona dell’Africa?
Non sono mai stata in Africa, ma mi piacerebbe moltissimo andarci. Ho deciso per un’Africa che non definisco mai con precisione geografica, per conservare la dimensione mitica e la metafora dell’infanzia come luogo epico. In realtà la mia Africa è ispirata al Senegal.
Adesso ti riposi un po’ o già un’altra storia è in cantiere?
Mi riposo un po’. Questo è il tempo in cui la scrittrice si sdraia come un bambino nell’ora della buonanotte e si lascia cullare dalle fiabe che il mondo racconta. E un po’ ascolta, un po’ sogna.
Grazie, Maria Paola, per il tuo tempo e le tue risposte.
Rosalia Messina