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Conversazione con Lorenzo Marone

Lorenzo Marone ha esordito nel 2015 con il romanzo La tentazione di essere felici (Longanesi) e ha pubblicato quest’anno, sempre con la medesima casa editrice, La tristezza ha il sonno leggero.

 

 

Lorenzo, questo nuovo romanzo racconta le vicissitudini di una famiglia molto articolata. Dal punto di vista del protagonista, Erri Gargiulo, che narra in prima persona, è una famiglia con due padri, due madri e un nutrito drappello di fratelli. Ancora un antieroe, come avemmo modo di dire quando la intervistai poco dopo la pubblicazione del suo primo romanzo?

Sì, una persona comune con problemi comuni, uno che “sente” troppo e che affronta la vita in punta di piedi. Ma non un debole, anzi un uomo che, nonostante l’infanzia difficile, riesce comunque a farsi una vita e a ricominciare daccapo dopo un fallimento. Il romanzo parla della famiglia allargata attraverso lo sguardo di questo quarantenne irrisolto.

 

Erri Gargiulo, grande consumatore di Gaviscon, sembra incapace di grandi decisioni, di ribellioni e di scelte coraggiose. Non è facile snidarlo, eppure viene un momento in cui la sua situazione si sblocca (faticosamente, ma si sblocca). Sapeva fin dall’inizio dove sarebbe andata a parare la storia di Erri o il personaggio ha finito per andare un po’ dove voleva?

Quando inizio una storia, non so mai che strada prenderà. Credo, comunque, che Erri sia un ribelle silente. C’è chi arriva a cambiare le cose con la forza, con la rabbia che a un certo punto esplode e gli permette di affrontare la vita di petto, e chi, non avendo la stessa forza o rabbia sufficienti a far scoccare la reazione, ci arriva grazie al carico di speranza accumulato negli anni, grazie ai tanti desideri coltivati, al proprio ricco mondo interiore, credendoci fino in fondo e fino all’ultimo. Erri è uno che non smette mai di pensare di poter essere davvero ciò che è.

 

 

C’è un grande interesse della letteratura per la famiglia, da sempre, ma in questo periodo i romanzi che ne indagano fasti e nefasti sono davvero tanti. È un caso o ci sono ragioni profonde di questo interesse, secondo lei?

È che la famiglia è il nucleo centrale dal quale tutto si dipana. Parlando di famiglia si può parlare di società, di rapporti in bilico, di grandi amori, di delusioni, di speranze, di perdono, di parole non dette, di vita reale insomma. Tutto nasce all’interno del contesto familiare, e quello che saremo poi, come ricorda Erri, dipende dall’input che riceviamo nei nostri primi anni di vita. Da sempre la letteratura e l’arte in generale parlano di famiglia, perché è il palcoscenico ideale dove far muovere i propri personaggi. La famiglia, come la vita, è una commedia, all’interno della quale si ride e si piange, ci si abbraccia e si coltivano rancori; se vuoi parlare di persone, di rapporti umani, non puoi prescindere dalla famiglia, dalle dinamiche familiari più che altro.

 

La maternità e la paternità, nel suo romanzo, sono sempre travagliate. Sterilità inspiegabili, ricerca ossessiva della procreazione. Da questo punto di vista sembra che la generazione di Renata e Raffaele, genitori biologici di Erri, vivesse con più leggerezza – troppa? – la dimensione genitoriale, mentre per la generazione successiva essere padre e madre sembra un’impresa più complessa. Qualche riflessione su questo aspetto?

Era vissuta con più leggerezza semplicemente perché i figli si facevano prima, a venticinque anni in media. Oggi, che tutto si è spostato avanti di dieci anni, è molto più difficile. È più difficile procreare, perché l’età conta, ed è più difficile accettare che un figlio non arrivi subito. È una specie di lotta contro il tempo e la natura; passano i mesi e si fa strada la paura che prima o poi suoni il gong e il tempo scada. E più questo timore diventa concreto, più è impossibile restare sereni. È un circolo dal quale è complesso uscire. È un problema di tutta la mia generazione, di noi quarantenni che, per svariati motivi, abbiamo spostato i limiti temporali della vita e adesso, per certi versi, ne paghiamo le conseguenze.

 

Grazie, Lorenzo, per il suo tempo e le sue risposte.

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