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Conversazione con Annarita Briganti

Annarita Briganti è autrice dei romanzi Non chiedermi come sei nata e L’amore è una favola, entrambi editi da Cairo rispettivamente nel 2014 e nel 2015.

 

Ciao, Annarita. La prima cosa che voglio chiederti è di cosa ti occupi quando non scrivi romanzi. Dappertutto si leggono tue recensioni e articoli, ma non azzardo una definizione della tua professione: la contemporaneità è talmente complessa da non poter essere racchiusa in comode parole omnicomprensive, vero?

Ti ringrazio di iniziare con questa domanda. Scrivere è una passione e un mestiere che, appunto, andrebbe fatto con professionalità. Sono una giornalista culturale, quest’anno forse festeggio un ventennio da freelance ovvero precaria di “lusso”. Dico forse perché sono sempre proiettata in avanti ed è presto per fare bilanci. Nelle prime interviste importanti, ad Alessandro Baricco, Carlo Lucarelli, Stefano Benni, avevo l’apparecchio per i denti.

Freelance vuol dire pagarsi tutte le spese, oltre l’ansia che ti viene quando pensi razionalmente alla tua situazione e all’impossibilità di avere una vita non dico agiata, ma tranquilla dal punto di vista materiale.

Non sono figlia di, non ho compagni potenti né protettori. Mi sono fatta da sola, con gli articoli e gli scoop che citavi, bussando a tutte le porte, prendendone fin troppe in faccia. Vengo dalla strada, una strada magari della media borghesia, ma mi mantengo da sempre, facendo i lavori più disparati, subendo un numero infinito di umiliazioni, ed è ancora in salita, come sanno i liberi professionisti di tutti i settori nell’Italia di oggi, perennemente in crisi. Alla favola di Cenerentola, per riprendere il titolo del mio nuovo romanzo, manca ancora il lieto fine.

 

Con la tua tenacia ce la farai. E parliamo adesso delle tematiche con cui ti sei cimentata con le due opere di narrativa di cui sei autrice, Non chiedermi come sei nata e L’amore è una favola. Storie di giovani donne alle prese con un nuovo modo di affrontare la maternità e la costruzione di una famiglia. Non ti chiedo cosa c’è di te nelle tue storie perché è una domanda che detesto e che per me non ha senso. Tutto quello che entra in un’opera di narrativa proviene dal bagaglio di esperienze in senso lato dello scrittore. Perfino da quello che non ha mai fatto e vissuto ma ha sognato e desiderato o che ha temuto ed evitato. Ti chiedo invece di riassumere per i lettori di Libreriamo la tua visione del mondo, come la descrivi nei tuoi romanzi: la difficile collocazione nel mondo del lavoro, l’amicizia, la solitudine, la violenza sulle donne, le famiglie complesse, con figli che vivono lontano con l’altro genitore.

Non chiedermi come sei nata (Cairo, 2014) è un romanzo/memoir. Ci tengo a sottolineare l’autobiografia perché la sua forza, oltre la trama, è la denuncia che contiene. “In Italia se sei single e vuoi un figlio, sparati”, dice a un certo punto la protagonista, Gioia Lieve. Nel mio debutto ho raccontato il calvario della fecondazione assistita in un paese che fa di tutto per impedirti di costruire una famiglia. Pensiamo anche all’impossibilità di adottare da single o al mancato riconoscimento delle unioni civili, mentre il mondo va avanti e meno male. La società cambia. La famiglia si rinnova. Per me non esiste il “genere” né nella letteratura – definire rosa un romanzo non significa niente. L’amore, che è il mio tema principale, è l’argomento più trasversale e più noir che ci sia, se proprio volessimo usare i colori. Il mio è un romanticismo crudo – né nella sessualità. Questo libro è diventato anche uno spettacolo teatrale prodotto da Torino Spettacoli, a cui va tutta la mia gratitudine, con il mio adattamento drammaturgico. Dopo le recite al Teatro Alfieri, nel cuore della metropoli torinese, potrebbe girare i teatri italiani.

L’amore è una favola (Cairo, fine 2015) è il mio secondo figlio, con la stessa protagonista, Gioia, che è un po’ il mio alter ego, ma lei è molto più forte di me, si rialza sempre con più grinta di prima, mi sta insegnando a essere la donna che vorrei.

La vicenda, piena di colpi di scena con ben due finali, ruota attorno a un mio sogno: l’incontro inaspettato, inatteso, imprevedibile che ti cambia la vita. Un partner, a prescindere dal sesso della coppia, che nel bene e nel male ci sia sempre, costruisca qualcosa con te, non scada come lo yogurt.

Guido Giacometti, l’Artista napoletano che irrompe e sconvolge l’esistenza della protagonista in un romanzo corale – dalle amiche del “cerchietto magico” di Gioia alla filiera dell’Arte del suo nuovo amore – è tutt’altro che perfetto, ma ha una dote rara: qualsiasi cosa accada cerca soluzioni, fino all’inatteso epilogo, che ha a che fare con i segreti, i tradimenti e la capacità di perdonare.

Altre due piccole anticipazioni, senza entrare troppo nella trama, che secondo me va gustata con la lettura: l’ambientazione tra Arte e Editoria. Gioia fa il mio stesso lavoro, è una giornalista culturale freelance e una scrittrice. Mi sono accorta che tutti i miei personaggi, anche quelli dei racconti che pubblico nelle antologie, leggono. E l’aspetto on the road, tra Milano, la città adottiva di Gioia, e un Sud da scoprire, dove si parla di Musei e non di camorra. Il Madre di Napoli, dove sono ambientate alcune scene cruciali, compreso il capitolo di San Valentino, è appena stato nominato miglior Museo d’Italia.

Infine, come ha detto Ezio Greggio, che ne ha parlato a Striscia la notizia, è una lettura utile e divertente, ma contiene anche un duro atto d’accusa contro la violenza sulle donne, in particolare contro lo stalking. Scopriranno i Lettori perché.

 

Ma l’amore è davvero una favola? Gioia Lieve, la protagonista delle tue storie, attraversa momenti di profondo scoramento, per esempio quando si misura con la difficile ricomposizione di un rapporto in cui si è verificata una rottura del patto di lealtà. Ma non si perde mai d’animo, è una combattente.

Senza svelare troppo della trama, lei è una pura ed è questo che, lo sperimento anche nella vita vera, dà fastidio. Spesso gli altri vedono in te i loro difetti e non accettano che ci siano persone che ti sorridono senza volere niente in cambio, che sono corrette, che sono veramente interessate al prossimo. L’amore è una favola se ci credi. Il titolo è anche una provocazione. Ricordi il film Pretty Woman? Quando Richard Gere propone a Julia Roberts di mantenerla e di passare a trovarla ogni tanto, lei, che pure non ha niente, a parte il suo splendore, rifiuta. Gli dice: “Vai pure. Io voglio la favola”. Non dobbiamo mai dimenticarcelo, anche se noi donne in particolare tendiamo a sottovalutarci: noi valiamo e abbiamo diritto al meglio. La felicità non accetta compromessi, piuttosto aspettiamo una relazione che meriti, un lavoro che ci valorizzi, degli amici che non ci parlino alle spalle. Donne vere, senza photoshop, come le foto che ho scelto per questo libro. Chiedo a tutti di non ritoccarle. Dobbiamo amare i segni che portiamo sulla faccia e sul corpo.

La forza di Gioia, e mia, è che stiamo bene anche a letto da sole con un libro. Non abbiamo bisogno di molto per essere felici. Un cappuccino, la mazzetta dei giornali, le storie nostre e degli altri, e se ci scappasse anche un contatto umano, meglio ancora, ma ultimamente non sono stata fortunata.

 

Cosa legge Annarita Briganti? Che libro/libri hai sul comodino al momento? E qual è il libro o l’autore che hai amato di più?

Nei prossimi giorni presenterò L’amore è una favola per la seconda volta a Roma. Mi porterò gli ultimi tre acquisti. Il primo è un graphic novel, Giulia (Utet) di Andrea Ventura. Ho conosciuto anche suo fratello Paolo Ventura. Sono due Artisti eccezionali, che invito a scoprire e certo, a Gioia piacerebbe molto fare qualcosa con loro. L’Arte è il mio rifugio segreto. La bellezza mi fa stare bene. Il secondo titolo mi è stato consigliato direttamente dall’editore: Ultima chiamata (Nottetempo) della francese Céline Curiol. Il terzo è il caso del momento: Tumbas (Iperborea) dell’olandese Cees Nooteboom, sulle tombe di poeti e pensatori. Potrei elencarti tutti i suicidi delle scrittrici, è una delle mie ossessioni. Se potessi scegliere, vorrei morire pazza, vestita di bianco, come Emily Dickinson.

I miei preferiti di sempre, a parte i classici russi e francesi, sono Jonathan Safran Foer e Jonathan Franzen, che meriterebbero il Nobel. Credo di avere o di aver avuto una cotta per entrambi. Nella mia cameretta c’erano i poster degli scrittori e ci sono ancora. La Letteratura americana m’influenza molto più di quel che vorrei ed è uno scandalo che noi italiani siamo così poco tradotti all’estero. Non abbiamo niente di meno rispetto ai numi tutelari dell’empireo letterario e sarebbe uno scambio proficuo per tutti se ci leggessero anche gli stranieri.

 

Stai già scrivendo o almeno progettando qualche altra opera? Ti senti di parlarne un po’, senza fare troppe anticipazioni?

A febbraio esce un mio racconto in un’antologia divertente, colta, curata benissimo, legata a una manifestazione molto importante. Sono al lavoro anche sul fronte romanzesco, ma qualsiasi cosa dicessi sarebbe smentita dai miei stessi personaggi, che sono imprevedibili.

 

Se non facessi quello che fai, se non avessi amato tanto la parola scritta, cosa ti sarebbe piaciuto fare “da grande”?

La tennista e ci ho anche provato. La racchetta era la mia migliore amica, me la portavo sempre dietro e passavo tutto il tempo ad allenarmi, ma sono troppo delicata fisicamente. Negli ultimi due mesi mi sono ammalata quasi ogni giorno, anche per lo stress di un trasloco fatto da sola. Le sorelle Williams mi avrebbero divorato in due bocconi. E mi piace troppo mangiare per reggere la disciplina della sportiva. Preferisco la nutella.

 

Grazie, Annarita, per il tuo tempo e le tue risposte.

 

Lia Messina

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