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Conversazione con Angiolo Pellegrini

Angiolo Pellegrini è un generale dell’Arma dei Carabinieri in pensione. Ha collaborato con i magistrati palermitani del pool antimafia, dirigendo la sezione Anticrimine dal 1981. Erano anni cruciali delle stragi, degli uomini delle istituzioni uccisi uno dopo l’altro. Di quegli anni, con Francesco Condoluci, Angiolo Pellegrini ha scritto la cronaca: Noi, gli uomini di Falcone (Sperling & Kupfer, 2015).

Generale, sono passati alcuni anni dai fatti che lei racconta nel suo libro Noi, gli uomini di Falcone. È venuto il momento, evidentemente, in cui per qualche ragione ha sentito l’esigenza di raccontare i fatti di un periodo davvero sanguinoso. Vuol parlare di queste ragioni?

Il desiderio di raccontare quanto si verificò negli anni tra il 1981 ed il 1985 è scaturito soprattutto da due ragioni e da una situazione contingente: la possibilità di avere tempo a disposizione per sistemare e riordinare tutta la documentazione in mio possesso relativa proprio a quegli anni. Nel ritrovare tra le mani tutto questo materiale, mi ha spinto a rileggere, in maniera unitaria ed organica, gran parte degli accadimenti di quegli anni terribili. A questo punto ho ritenuto che sarebbe stato interessante raccontare i fatti relativi a quegli anni come effettivamente si erano svolti e così tramandare un “pezzo” di storia d’Italia, spesso dimenticata e talvolta narrata in maniera non sempre corretta o superficiale, soprattutto in occasione degli anniversari di stragi o di omicidi di fedeli servitori delle Istituzioni. E ancora, perché non fornire ai giovani, anche attraverso la scuola, un documento attraverso il quale possano comprendere il vero significato delle parole “mafia” e “cosa nostra” e di quali scellerati delitti ebbero a macchiarsi gli appartenenti alle organizzazioni criminali e possa restare loro impresso il sacrificio di tanti uomini e donne, che per un ideale di “dovere e di “giustizia”, sacrificarono le loro vite. Il libro infatti è proprio dedicato “alle vittime ed ai sopravvissuti del fronte siciliano. E a tutti quelli che hanno combattuto la mafia in silenzio e nel silenzio sono caduti, sprofondando nell’oblio”.

 

Indubbiamente lei, come tanti altri uomini delle istituzioni, ha attraversato anni duri, pagando un prezzo sul piano personale. Alla luce dello smantellamento del pool antimafia e di tutto quello che è accaduto, che nel sottotitolo del libro viene riassunto con le parole “La guerra che ci impedirono di vincere”, ne valeva la pena?

 

Certo che ne è valsa la pena! Pur se ho dovuto “amaramente” riconoscere che “avremmo potuto arrestarli tutti, mafiosi e pezzi infedeli dello Stato. Ma qualcuno, in alto, si è tirato indietro sul più bello”; i nostri sacrifici personali sono valsi a dare un volto a “cosa nostra” della quale, nonostante il ripersi di omicidi c.d. “eccellenti” verificatisi negli anni precedenti al 1981, molti negavano l’esistenza. Inoltre aver reso possibile, attraverso la celebrazione del maxi-processo, di pervenire alla individuazione ed alla condanna dei capi dell’organizzazione criminale, è stato un successo straordinario, impensabile fino a pochi anni prima. In definitiva, siamo stati i vincitori di tante battaglie importantissime ma, come ho dovuto alla fine ammettere abbiamo perso la “nostra” guerra, e mi sento di dover dire “nostra” perché in definitiva, ad un certo punto, la “guerra” alla mafia era divenuta più un fatto personale di “pochi” che un problema per lo Stato.

 

Lei crede che, come diceva Giovanni Falcone, la mafia sia destinata, come tutti i fenomeni umani, a scomparire? O piuttosto a trasformarsi, quindi a sopravvivere con una diversa fisionomia? Insomma, secondo lei quella guerra che allora fu impedito di vincere potrà essere vinta, in un mutato contesto.

Personalmente trovo nelle parole di Falcone un convinto messaggio di speranza. E’ pur vero che la mafia, dopo gli anni ’90 , durante i quali ritenne di poter portare un vero e proprio attacco allo Stato, ha perso buona parte di quegli appoggi politici, culturali ed imprenditoriali che l’avevano resa così forte da considerarsi invincibile. Ma ancora oggi ed è nelle cronache di ogni giorno, continua a godere di connivenze ad ogni livello, che rendono spesso difficoltose le indagini delle Forze di Polizia. Non sarei portato a escludere, inoltre, che alcuni mafiosi abbiano messo in atto un processo di trasformazione, mimetizzandosi in vari Paesi della Comunità europea e d’oltre oceano. Proprio tale possibilità renderà ancor più difficoltose le indagini, non esistendo ancora a livello internazionale la possibilità di applicare le leggi vigenti in Italia sull’associazione mafiosa e sulla confisca dei beni. E’ sempre più urgente proseguire nel cammino tracciato proprio da Falcone nel settore della collaborazione internazionale.

 

Nel dialogare con i potenziali lettori, durante le presentazioni del libro e le altre manifestazioni alle quali lei partecipa, come persona che fu protagonista di quella stagione dell’antimafia, avverte un interesse autentico del pubblico, in particolare dei giovani, per queste tematiche, un bisogno di comprendere il passato per decifrare e affrontare il presente e il futuro?

         Durante le numerose presentazioni del libro alle quali ho avuto il piacere di partecipare, specialmente se organizzate da chi “antimafia” la fa sul serio e non solo a parole o per interessi personali – occorre essere molto selettivi nell’accettare gli inviti – ho sempre rilevato un notevole interesse dei presenti nei confronti dei temi trattati nel libro. Tale interesse mi è stato possibile coglierlo soprattutto tra i giovani e questo mi ha portato a sollecitare, per quanto mi è stato consentito, la possibilità di presentare il libro presso gli istituti scolastici. A tal proposito sto valutando la possibilità di donare un adeguato numero di copie del libro alle biblioteche degli Istituti di istruzione superiore e di organizzare incontri con magistrati e rappresentanti delle Forze di Polizia, che hanno vissuto le fasi più intense di lotta alla mafia, per illustrare ai giovani cosa siano significati per il Paese quegli anni, durante i quali cosa nostra tentò di portare “una guerra” alle stesse Istituzioni.

 

 Grazie, generale, per il suo tempo e le sue risposte.

 

Rosalia Messina

18 settembre 2015

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