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Caterina Soffici, ”Nel mio libro racconto i difetti che rendono l’Italia un Paese anormale”

Ormai non si puรฒ piรน nemmeno parlare di fuga di cervelli: quello dall'Italia รจ un nuovo esodo. Per questo Caterina Soffici ha deciso di raccontare la sua esperienza di italiana all'estero in un libro, ''Italia yes Italia no''...

La giornalista e scrittrice ci parla del suo nuovo libro ”Italia yes Italia no”

MILANO – Ormai non si può più nemmeno parlare di fuga di cervelli: quello dall’Italia è un nuovo esodo. Per questo Caterina Soffici ha deciso di raccontare la sua esperienza di italiana all’estero in un libro, ”Italia yes Italia no” (Feltrinelli). La giornalista – collabora con Il Fatto Quotidiano, Il Sole 24 Ore e Vanity Fair – si è trasferita a Londra con la sua famiglia nel 2010 e lì ha scoperto cosa significa veramente vivere in un Paese che sembra possedere tutto quello che a noi manca: serietà, organizzazione, buona educazione, apertura verso il mondo. Mescolando antropologia metropolitana, fatti di cronaca e storie di vita, Caterina Soffici racconta con ironia e autoironia la sua esperienza londinese, arrivando alla conclusione che “Londra non è meglio dell’Italia. Ma a Londra io ho trovato la banalità della normalità. Qui si può finalmente uscire dall’emergenza continua, qui si può vivere normalmente. Ecco perché a Londra si vive peggio ma si sta meglio. Perché è un posto normale. È l’Italia a non esserlo più”.

Come mai ha deciso di condividere in un libro la sua esperienza di italiana “trapiantata” all’estero e la sua visione del nostro Paese dall’esterno?
Perché siamo ormai mezzo milione di italiani a Londra. È un fenomeno macroscopico: negli ultimi due anni sono arrivate, registrate ufficialmente dal consolato, 90 mila persone. Non si tratta dunque di un mio diario personale, ma di un’esperienza condivisa da molti. Ho pensato che potesse essere interessante leggerlo sia per gli italiani che sono venuti a vivere a Londra, sia per chi in Italia è rimasto – sono sempre di più infatti quelli che dicono di volersi trasferire all’estero, o che all’estero hanno un figlio o un parente. Una cosa che mi ha stupito è proprio che, ultimamente, quando dico che vivo a Londra sento rispondere: “Beata te che te ne sei potuta andare”. Non mi era mai capitato prima nella vita.
Non è la fuga di cervelli di cui si parlava prima, ma un nuovo esodo di dimensioni generalizzate. A spostarsi non sono solo giovani appena laureati o ricercatori che cercano opportunità altrove, ma intere famiglie e professionisti – conosco avvocati, medici, parrucchieri. La gente non vede la possibilità di costruirsi un futuro in Italia.

Perché l’Italia non è più un Paese normale, come lei afferma? Quali sono i fattori che creano questo stato di emergenza in cui continuamente viviamo?
Tutto quanto. Quando si apre un qualsiasi giornale italiano, si percepisce che ogni argomento è un argomento critico. Ci sono arresti per tangenti tutti i giorni – l’Italia è uno dei Paesi più corrotti d’Europa –, bisognerebbe fare tagli e non si riesce, la situazione politica è drammatica. Le cronache dell’ultimo periodo, dal caso di Fiorito e delle note spese dei partiti, sono state allucinanti. I giornali sembrano sempre una lista delle cose che non vanno, c’è sempre una ricetta di ciò che si dovrebbe fare ma mai la notizia di qualcosa che si fa.
Finché si resta in Italia tutto questo sembra una cosa normale, quando però si guarda a questa situazione da un certa distanza se ne ha una cognizione molto più lucida. Confrontando l’Italia con l’estero, confrontando i giornali italiani con quelli esteri, ci si rende conto dell’anormalità del nostro Paese.

Cos’avrebbe da insegnarci un Paese come l’Inghilterra?
Intendiamoci, non è che all’estero vada tutto bene. A Londra è successo di tutto da quando sono stata trasferita. C’è stato lo scandalo dei pidocchi alla BBC, c’è stato uno scandalo relativo alle note spese – anche se di tutt’altra entità rispetto a quello italiano –, c’è stato lo scandalo, ancora in corso, dei giornali di Murdoch, con pezzi della polizia corrotti che vendevano informazioni ai giornalisti. Non stiamo parlando di un posto di santi!
La grossa differenza è che lì, quando i giornali ne scrivono e le persone vengono beccate, si dimettono, vengono condannate in tempi brevi e vanno in carcere. Quando hanno beccato i giornali di Murdoch fare intercettazioni illegali, il News of the World, che è uno dei giornali di gossip più letti di tutto il mondo anglosassone ed esiste dall’Ottocento, ha chiuso nell’arco di una settimana. I vertici delle testate di Murdoch sono stati decapitati e Murdoch stesso, che è uno degli uomini più ricchi, a capo di uno dei gruppi mediatici più importanti a livello planetario, si è dovuto presentare in Parlamento a scusarsi e giustificarsi. C’è una grossa differenza rispetto a quanto accade in Italia. Lo si percepisce molto meglio quando lo si vede da fuori.  
Da noi in Parlamento si urla, ci si insulta, succedono cose degne più di una Repubblica delle banane che di una democrazie moderna occidentale, cosa che non accadono in Paesi civili come l’Inghilterra. Lì nessuno si sognerebbe di usare termini razziali o sessisti contro altre persone, perché altrimenti sarebbero guai. Nel dopoguerra eravamo un Paese rurale che ha iniziato un processo di civilizzazione, poi è come se fosse intervenuto qualcosa a bloccare questo processo.

Lei vede una possibilità di uscire da questa situazione?
Io non ho una formula, sono solo un’osservatrice, mi sono limitata a fare un lavoro di antropologia metropolitana su Londra, sugli italiani a Londra, su noi come popolo e su come appare l’Italia vista da fuori.
Vorrei sottolineare però che ci sono anche cose che In Italia vanno meglio rispetto all’estero, aspetti per cui siamo fortunati ad avere alle spalle un paese come il nostro. Il mio libro è anche un inno all’Italia, a quello che potrebbe essere ma non è.
Dopo gli anni Ottanta c’è stata una regressione culturale: si legge molto meno, non si va più a teatro, non si va al cinema. Se però si comincia a far vedere che certe situazioni considerate inevitabili in realtà inevitabili non sono, secondo me la gente inizierebbe a capire e le cose potrebbero cambiare.
Prendiamo un esempio banale: le code. In Italia nessuno si sente in dovere di rispettarle, tutti vogliono sentirsi ed essere dei privilegiati. Stando in Inghilterra ho capito che la coda rende l’uomo libero, stare in coda a Londra è addirittura rilassante: tutti stanno al loro posto, nessuno cerca di sorpassarti. Se sei distratto e non ti accorgi che è il tuo turno, sono gli altri a fartelo notare.
Nel mio libro racconto tutte queste piccole cose, non per fare la lezione a qualcuno, non per fare la morale. Il tono anzi è sempre molto ironico e autoironico. Ma vorrei proprio che le persone capissero queste piccole banalità che aiutano a vivere meglio. Rispettare le regole rende liberi, rende cittadini detentori di diritti a pieno titolo.

Lei ha detto che ci sono anche molti aspetti positivi in Italia. Il nostro patrimonio culturale può essere considerato uno dei fattori per cui dire “Italia yes”? E secondo lei, se si investisse di più in questo campo e i cittadini se ne interessassero di più, le cose migliorerebbero?
Certamente sì! Anche in questo caso però, se si pensasse alle potenzialità di questo immenso patrimonio e a quanto poco invece viene sfruttato, verrebbe subito da dire “Italia no”.
L’anno scorso c’è stata una mostra su Pompei al British Museum di Londra, una delle più visitate negli ultimi dieci anni, con reperti storici, pezzi di mosaici, anfore. È stato un evento epocale: hanno guadagnato 6 o 7 milioni di sterline. Viene spontaneo chiedersi: ma perché non l’abbiamo fatta noi? La cosa ancora più assurda è che hanno girato un documentario che è stato proiettato in Italia riscuotendo uno straordinario successo, hanno dovuto addirittura aggiungere altre date di proiezione. È da pazzi!
Ecco perché, tornando alla domanda iniziale, ho voluto scrivere questo libro: ho visto cose che mi hanno fatta ragionare molto.

30 marzo 2014

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