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Bianca Chiabrando, “Scrivere mi ha aiutato a socializzare con i miei compagni di classe”

Abbiamo intervistato la giovane autrice per parlare del suo secondo romanzoe le abbiamo chiesto alcuni consigli su come superare la difficoltà di socializzare con i propri compagni di scuola

MILANO “Non c’è da aver paura a provare a fare amicizia a scuola. L’importante è affrontare con leggerezza le situazioni, e provare ad usare un po’ di senso dell’umorismo”.  Parola di Bianca Chiabrando, la sedicenne milanese diventata un caso letterario con il libro “Il caso 3d. Una classe irrecuperabile“, romanzo illustrato che è stato terapeutico per la giovane scrittrice, la quale, attraverso il racconto dei suoi compagni di classe, ha superato la sua timidezza ed acquistato fiducia in se stessa. Abbiamo intervistato la giovane autrice per parlare del suo secondo romanzo “A noi due, prof” e le abbiamo chiesto alcuni consigli su come superare la difficoltà di socializzare con i propri compagni di classe.

 

Riportare la cronaca di ciò che accade durante le ore scolastiche è una prassi comune a quasi tutti gli studenti, realizzare un libro dedicato a questi aneddoti meno. Come nasce l’idea de “Il caso 3a D”?

E’ iniziato tutto per gioco. Alle medie mi sentivo molto insicura, e preferivo di gran lunga osservare gli altri piuttosto che provare a socializzarci. Il fatto che Gabriel, il mio compagno di banco, fosse un ragazzo assonnato e di poche parole di certo non aiutava. Ad ogni mio timido tentativo di contatto, ottenevo in risposta il silenzio o, nelle giornate particolarmente buone, apatici grugniti. Gabriel manteneva sempre una calma impeccabile, e sembrava spendere energie solo per respirare e per i movimenti strettamente necessari.

Così, in un momento di noia durante un’ora di geografia, ho deciso di fare una piccola scommessa con me stessa.  Sarei mai stata in grado di riempire un foglio intero di azioni compiute da Gabriel nell’arco di una giornata? Ho iniziato ad annotare con una certa maniacalità tutto quello che faceva, anche solo il fatto che spostasse di un centimetro un righello sul banco, senza mai risparmiarmi e senza tralasciare frecciatine ironiche.

Il caso vuole che in quel periodo avessi anche iniziato a sfogliare qualche libro di psicologia che trovavo in giro per casa, e, per qualche strano motivo, mi sono messa in testa che avrei potuto analizzare “clinicamente” i miei compagni più stravaganti. Mi divertivo così tanto che ho continuato a scrivere fino alla fine dell’anno. I miei compagni mi avevano dato talmente tanto materiale su cui lavorare che alla fine ho deciso di provare a farne un libro.

 

Come hanno reagito i tuoi compagni alla lettura del libro?

Si sono divertiti molto, e sono rimasta molto ammirata dalla loro grande autoironia. Invece Gabriel, coerentemente con la sua personalità apatica, non si è scomposto più di tanto.

 

E’ stato terapeutico per te scrivere questo libro?

Sono partita con l’intento di analizzare le personalità dei miei compagni per trovare una cura alla loro follia, ma come psicologa non ho fatto poi un gran bel lavoro: alla fine sono stati i miei “pazienti” a guarirmi. Grazie a loro, anche se non sono sicura che ne siano consci, ho superato la mia timidezza. Condividere quello che scrivevo con gli altri, vedere che li divertivo, mi ha fatto acquistare molta fiducia in me stessa, e sono riuscita stringere amicizie che un tempo avrei considerato improbabili.

 

Dopo “Il caso 3a D”, hai scritto “A noi due, prof”. In che modo ti sei rinnovata, e quali sono gli elementi di continuità rispetto al tuo primo libro?

Scrivere un libro in terza liceo è molto diverso. La mia è un’età dove anche solo due o tre anni fanno un’enorme differenza. Mi sento cresciuta, e spero che in qualche modo anche il mio stile si sia evoluto insieme a me. Il caso 3aD è un libro basato su fatti reali che io mi sono limitata a trascrivere per creare una storia, invece A noi due, prof è un romanzo di cui mi sono inventata trama e personaggi partendo completamente dalla mia immaginazione.

Quella che non è cambiata è invece l’ironia con cui cerco di trattare gli argomenti, i personaggi e le storie di cui scrivo.

 

Cosa consigli ai ragazzi timidi, che hanno difficoltà a socializzare con i propri compagni di scuola?

Quando si è timidi si tende a focalizzarsi sulle proprie insicurezze, e si teme il giudizio negativo da parte degli altri. Tutti i ragazzi però hanno punti deboli e fragilità, anche quelli che si mostrano più spavaldi. Nessuno è perfetto, e non c’è da aver paura a provare a fare amicizia. L’importante è affrontare con leggerezza le situazioni, e un metodo che trovo funzionare molto bene è quello di  provare ad usare un po’ di senso dell’umorismo.

 

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