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Bebo de Lo Stato Sociale, “Il malessere dei giovani è dovuto all’attuale classe politica”

Abbiamo intervistato Bebo, uno dei fondatori della band, per parlare delle tematiche molto attuali, contenute all'interno dell'opera

MILANO – Una storia generazionale, un viaggio in un’Italia distopica attraverso lo sguardo di un giovane bolognese che non riconosce più il suo Paese e in cui non si rispecchia. E’ questo “Andrea“, la prima graphic novel firmata da Lo Stato Sociale per i disegni di Luca Genovese. Abbiamo intervistato uno dei componenti della band rivelazione di quest’anno, Bebo, in occasione dell’incontro con l’illustratore del libro, per parlare delle tematiche molto attuali contenute all’interno della graphic novel.

 

Come nasce questa graphic novel in cui si incontrano musica e fumetto?

La nascita è dovuta ad una felice casualità. Circa due anni fa stavo pensando ad un secondo romanzo e mi sono confrontato con Albi, il mio partner-in-crime su queste faccende proponendogli l’idea di Andrea, lui l’ha trovata bella ma non adatta ad un formato lungo. Ho continuato a pensarci per qualche settimana fino a quando non ho incontrato -grazie ad amicizie comuni- Luca. Ad un bar. Ci siamo conosciuti e piaciuti da subito e pochi giorni dopo gli ho proposto quello che all’epoca era poco più di una paginetta per provare a farne una graphic novel e da lì è nato tutto.

 

Quanto c’è dei testi delle vostre canzoni in quest’opera?

Molto poco e moltissimo assieme. Sono due attività molto distanti per genesi, cura ed obiettivi. Ho deciso di scrivere un libro perché il formato-canzone non mi permetteva di approfondire quelle che sono diventate poi le tematiche fondanti di Andrea. Tuttavia sono sempre la stessa persona che da dieci anni collabora come autore ai testi de Lo Stato Sociale, in qualche modo è un costante scambiare stili, idee e parole.

 

In “Andrea” si parla dei giovani delle periferie. Quali sono le difficoltà che incontrano oggi?

Quello che ho imparato in 33 anni di periferia “morbida” come quella bolognese è che spesso ti senti lontano o abbandonato da tutto. I locali sono in centro città, gli amici si ritrovano in centro città, le cose rilevanti per la città sono in centro. È come stare alla periferia dell’impero. Così le periferie delle città come la provincia, sono luoghi che arrivano alle cronache solo per le nefandezze che alle volte le colpiscono. Le difficoltà sono di abbandono culturale, del senso di vuoto che innerva le vite di chi ci abita. E quando c’è il vuoto i modi migliori che troviamo per riempirlo sono quelli di sempre, deleteri.

 

Di chi sono le maggiori responsabilità di questo malessere all’interno della società di oggi, di cui soprattutto i giovani fanno le spese?

Dei cinquantenni. Della generazione che ora è classe dirigente senza mai avuto una formazione sana e robusta nel curare l’interesse di tutti, nel difendere la cosa pubblica. Hanno lasciato che si smantellasse ogni idea di welfare mentre le loro carriere decollavano, non hanno partecipato all’attività pubblica mentre curavano i loro interessi e pensavano che “massì, se ne occuperà qualcun altro”. Ora non c’è quasi più nulla e la cosa che resta come sentimento è rabbia, frustrazione, fallimento. L’unico modo per nascondere tutto questo è cavalcare ancora di più il risentimento e alimentare ancora di più le paure: infatti hanno vinto i due partiti che maggiormente annientano il discorso pubblico.

 

In che modo le espressioni artistiche e le attività culturali possono essere un’opportunità per i giovani?

Nell’evadere e cercare di realizzare le proprie ambizioni aldilà dei percorsi segnati.

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