E’ un libro folgorante. “Bambine“, pubblicato nel 1990 per Einaudi quando Alice Ceresa era ancora in vita, ritorna ora disponibile nelle edizioni Casagrande, grazie alle attente cure di Tatiana Crivelli che, oltre alla postfazione, aggiunge in appendice al testo una intervista che Francesco Guardiani ha fatto alla scrittrice (Basilea 1923 – Roma 2001) per la «Review of Contemporary Fiction» nell’autunno del 1991. Fu Maria Corti la prima a indicare Bambine come uno dei pochi libri nuovi destinati a durare, cioè a entrare nella letteratura. Scopriamo perché.
Perché leggerlo: un libro spiazzante ed originale
Non è un romanzo, non è un saggio, non è autofiction. Con un approccio del tutto originale e straniante, una voce esterna, ma onnisciente e implacabile racconta il percorso di crescita di due sorelle all’interno di un nucleo familiare tradizionale. Le due protagoniste, come anche i genitori e il luogo in cui si svolge la storia, sono raccontate in modo asettico e denotativo a rendere universale la narrazione.
L’inizio è spiazzante: il libro si apre con la descrizione di una piccola città quasi un non luogo in bianco e nero provvisto di case, infrastrutture, vie e strade. Poi l’attenzione si sposta all’interno di una di queste case e con una tecnica quasi cinematografica Ceresa va ad indagare le dinamiche di crescita delle due sorelle protagoniste, quasi coetanee, all’interno di un nucleo familiare tradizionale: madre, padre e due figlie. La scrittrice non commenta ma evidenzia direttamente i fatti che fanno emergere un quadro disfunzionale con padre più che autoritario, madre soggiogata e figlie ovviamente ubbidienti.
Lo smantellamento del modello familiare classico
Sono i fatti che parlano o meglio i disegni delle due bambine che quasi si divertono a raffigurare, come è tipico dell’età infantile, i difetti fisici del padre. Si accaniscono sul dettaglio grottesco, il naso del padre in particolare e in questo modo scompongono ovvero fanno letteralmente a pezzi l’auctoritas paterna. Ma solo sulla carta, perché nella vita vera il padre domina su tutto e su tutte. Anche sulla madre che reagisce come può: con troppo rossetto o colori eccessivi insomma con segni di una femminilità non convenzionale.
Le due sorelle, di cui continuiamo ad ignorare i nomi, crescendo si distanziano, la più grande assomiglia al padre e la minore alla madre; con l’adolescenza le loro vite si differenziano sempre più e anche la narrazione, fino a questo punto impersonale ed esterna, diventa la voce diretta delle due protagoniste a raccontare, ciascuna dal proprio punto di vista, le intromissioni sempre più pesanti del padre nelle loro vite. Questi diventa vero e proprio padre padrone, controllore, responsabile dell’onore della famiglia.
Fino a quel momento il padre risultava spesso assente ora la sua presenza è più fitta e non si esplica più attraverso il non detto, ma con divieti ed imposizioni. Per uscire di casa all’epoca- ma è un tempo universale quello della Ceresa – l’unica via di fuga era il matrimonio ed entrambe ovviamente finiscono con l’uomo sbagliato, replicando, pur volendosene allontanare, il modello con il quale erano cresciute. La conclusione rimanda in qualche modo all’inizio: in entrambi i casi la presentazione grafica è punteggiata da a capo, aspetto fortissimamente voluto dall’autrice e finalmente possibile in quest’ultima edizione.
Tra avanguardia e femminismo: la sua critica ancora attuale
Sono molti gli aspetti originali e sperimentali di quest’opera ancora molto attuale. Proprio perché la scrittrice sceglie di non contestualizzare la vicenda e di non dare un nome ai protagonisti, la storia è valida tutt’oggi e ci insegna l’inadeguatezza di un certo tipo di educazione morale e sessuale. Ne erano coscienti i personaggi femminili della storia ma non potevano reagire e si limitavano , come fa la scrittrice, a registrare i soprusi.
Oggi fortunatamente è possibile il passo successivo cioè la denuncia, segno di una coscienza civile al femminile complessa e maturata grazie anche ad opere come Bambine e alla scelta narrativa controcorrente della scrittrice nata a Basilea. Lo stile del libro è il risultato di una distillazione accuratissima che porta a una prosa originale, rarefatta, impeccabile. I suoi maestri, dice nell’intervista riportata nell’ edizione Casagrande, sono stati Kafka, Joyce e Gadda con i quali condivide l’ironia radicata che sottrae ogni sentimentalismo alle sue osservazioni e un orizzonte metafisico nel quale l’ovvietà del mondo è completamente svanita.