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Conversazione con Crocifisso Dentello

Crocifisso Dentello, brianzolo, ha pubblicato i romanzi Finché dura la colpa (Gaffi, 2015) e La vita sconosciuta (La nave di Teseo, 2017).

 

Ciao, Crocifisso. Hai esordito nella narrativa soltanto due anni fa, ma da quanto tempo scrivi? Vuoi raccontarci la tua odissea editoriale (sempre che ce ne sia stata una)?

Scrivo solo da qualche anno. La scrittura per me è stata e rimane un travaso naturale delle mie letture. Sebbene sia al secondo libro persisto a ritenermi un lettore che scrive e non un autore. La mia passione più divorante resta leggere. Inventare storie e vederle materializzarsi sul mio pc è sempre un incidente di percorso. Attendo il terzo, semmai ci sarà. Il mio esordio, Finché dura la colpa, dopo aver collezionato decine di rifiuti, è approdato a Gaffi grazie alla dedizione di Fernando Coratelli.

 

La vita sconosciuta è un titolo emblematico. Non faccio anticipazioni perché la maggior parte delle persone non le ama (a me per esempio non importa se mi raccontano un libro, non mi passa la voglia di leggerlo, ma non sono l’unità di misura dei lettori), però vorrei parlare dell’aggettivo del titolo, che secondo me allude a una mancanza di conoscenza in più sensi. I protagonisti del tuo romanzo sono marginali e precari, forse sconosciuti nel senso di invisibili? E poi ci sono le cose (tante, pesanti) che Ernesto tiene per sé e che la moglie perciò ignora: non soltanto aspetti della vita presente del marito, ma anche del loro comune passato di lotta armata.

Ho inteso raccontare le piccole e grandi reticenze che gravano sui rapporti di coppia. Un’illusione pensare di sovrintendere alla vita dei nostri partner. Tutti, in una mutua corrispondenza di bugie e di ombre, nascondiamo all’altro qualcosa che ci riguarda. Amo citare Rilke: nel mondo ci sono milioni di persone ma ancora più volti perché ciascuno ne ha diversi.

 

I segreti, il senso di colpa, la vita che va alla deriva. Il fallimento, insomma. Come mai secondo te una storia così desolata, per molti versi estrema, incontra tanto il favore del pubblico?

Io penso che le nostre vite non siano altro che permanenti infelicità, mitigate di tanto in tanto da effimeri fugaci sprazzi di serenità. Amo raccontare i vinti, i dimessi della vita, coloro che restano inchiodati a un destino inamovibile. Forse è il sentimento che sperimentiamo tutti, quello di non riuscire mai ad afferrare per davvero la gioia di esistere, e allora molti lettori si riconoscono e si abbandonano a una malinconia che per paradosso consola.

 

Si parla tanto della tua presenza sui social, dell’uso che hai fatto e fai di Facebook, in un flusso continuo di commenti, provocazioni, narrazione della tua vita d’autore. Senza Facebook, quanto il tuo percorso di scrittore sarebbe stato diverso?

Penso che i social siano un mezzo democratico per far emergere la propria voce. Mi riferisco alla mia parabola personale. Un ragazzo come me, autodidatta e senza nessun padrino di battesimo editoriale, fuori da ogni spazio e visibilità su stampa radio e tv, ha usato facebook come vetrina alternativa e ha funzionato perché raccontarsi ogni giorno, in piena libertà, mi ha consentito di dipanare quasi un “diario in pubblico” e intercettare post dopo post scrittori, critici, editor.

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Leggenda privata di Michele Mari. Un maestro.

Grazie, Crocifisso, per il tuo tempo e le tue risposte.

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