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“L’arte di essere fragili”, l’insegnamento di Leopardi nel libro di D’Avenia

Oggi Giacomo Leopardi avrebbe festeggiato il compleanno. Lo ricordiamo rispolverando uno dei libri più amati di Alessandro D'Avenia, "L'arte di essere fragili", che trae spunto dalla vita e dall'opera del poeta di Recanati per parlare del nostro tempo.

Oggi, Giacomo Leopardi avrebbe compiuto 225 anni. Come possono una poesia, un canto, un diario di pensieri risultare tanto attuale dopo tanto tempo?

Eppure è così: i versi del poeta di Recanati risuonano nei cuori di tanti di noi, che abbiamo avuto il primo appuntamento con lui negli anni di scuola, e che spesso siamo ritornati alla lettura delle sue opere per imparare a conoscerlo sempre meglio, curiosi ed emozionati dalla natura delle sue riflessioni.

Il libro che scopriamo oggi non è di Giacomo Leopardi, ma è a lui strettamente legato: “L’arte di essere fragili” di Alessandro D’Avenia esplora i problemi del nostro tempo, con particolare attenzione alle tematiche giovanili, attraverso la vita, le opere e l’insegnamento di Giacomo Leopardi.

L’attualità del pensiero di Giacomo Leopardi

Non è un caso che Alessandro D’Avenia abbia concepito un libro per i più giovani imperniando la sua riflessione sull’opera di Giacomo Leopardi.

Un autore che da un lato è relegato ai libri di testo, alle analisi metriche, al concetto semplicistico di “pessimismo”, e che dall’altro è in grado di emozionare, far riflettere, far vibrare corde che non vibrano con facilità.

“L’arte da imparare in questa vita non è quella di essere invincibili e perfetti, ma quella di saper essere come si è, invincibilmente fragili e imperfetti”.

Con il suo libro, D’Avenia ci guida alla scoperta di un Giacomo Leopardi diverso, che non è pessimista, ma semplicemente consapevole di ciò che è e di ciò che desidera. Un Leopardi che sì, come recitato dal sottotitolo, può salvarci la vita.

“L’arte di essere fragili”, la sinossi

“Esiste un metodo per la felicità duratura? Si può imparare il faticoso mestiere di vivere giorno per giorno in modo da farne addirittura un’arte della gioia quotidiana?” Sono domande comuni, ognuno se le sarà poste decine di volte, senza trovare risposte. Eppure la soluzione può raggiungerci, improvvisa, grazie a qualcosa che ci accade, grazie a qualcuno.

In queste pagine Alessandro D’Avenia racconta il suo metodo per la felicità e l’incontro decisivo che glielo ha rivelato: quello con Giacomo Leopardi.

Leopardi è spesso frettolosamente liquidato come pessimista e sfortunato. Fu invece un giovane uomo affamato di vita e di infinito, capace di restare fedele alla propria vocazione poetica e di lottare per affermarla, nonostante l’indifferenza e perfino la derisione dei contemporanei. Nella sua vita e nei suoi versi, D’Avenia trova folgorazioni e provocazioni, nostalgia ed energia vitale.

E ne trae lo spunto per rispondere ai tanti e cruciali interrogativi che da molti anni si sente rivolgere da ragazzi di ogni parte d’Italia, tutti alla ricerca di se stessi e di un senso profondo del vivere. Domande che sono poi le stesse dei personaggi leopardiani: Saffo e il pastore errante, Nerina e Silvia, Cristoforo Colombo e l’Islandese…

Domande che non hanno risposte semplici, ma che, come una bussola, se non le tacitiamo possono orientare la nostra esistenza.

Alessandro D’Avenia

Alessandro D’Avenia nasce il 2 maggio del 1977 a Palermo: non è mai stato un semplice professore. Con  i suoi libri, D’Avenia è infatti arrivato al cuore di giovani e non, lasciando tra le sue pagine profondi insegnamenti. Oggi è importante porci delle domande e fare delle riflessioni su quelli che sono i valori della nostra vita.

Giacomo Leopardi

Giacomo Leopardi nasce il 29 giugno 1798 a Recanati, da una delle più nobili famiglie del paese. Affidato sin dalla giovane età alle cure di un precettore, Giacomo si rivela un bambino prodigio: a dieci anni riesce a tradurre all’impronta testi classici greci e latini.

Il rapporto coi genitori, in particolare con il padre Monaldo, è conflittuale. Giacomo trascorre la sua gioventù chiuso nella biblioteca di famiglia, studiando tutto lo scibile contenuto da quei libri che ben presto diventano i suoi unici amici. Nel giro di pochi anni impara diverse lingue moderne, studia storia e filosofia e si accinge alla composizione di opere erudite.

È nel 1816 che Giacomo si appassiona finalmente alla poesia e invia i suoi primi versi a Pietro Giordani, che subito lo incoraggia a proseguire nell’attività. Da questo momento, Giacomo Leopardi compone moltissime opere, fra le più diverse: lo “Zibaldone di pensieri”, il diario che raccoglie le impressioni e gli appunti dell’autore sin dall’inizio della sua produzione, le “Operette morali”, le trentasei liriche inserite nella raccolta de “I Canti” …

Leopardi si serve della prosa e della poesia per riflettere su temi importanti quali il senso della vita e della morte, la deriva delle coscienze, il ruolo della natura e l’amore.

Nel corso della sua vita, Giacomo Leopardi ha sempre desiderato viaggiare e, più verosimilmente, allontanarsi da quella casa che è per lui nientemeno che una prigione: un tentativo di fuga sventato dal padre risale al 1819, anno in cui il poeta compone il suo capolavoro, “L’infinito”. Nel 1822 riesce ad ottenere il permesso di recarsi per un po’ dagli zii a Roma.

Ritorna dopo qualche mese e nel 1825 ha inizio il pellegrinaggio che lo porta prima a Milano, dove lavora presso l’editore Stella, poi a Bologna, Firenze e Pisa.

Alla fine del 1828 Leopardi ritorna a Recanati, dove cade in depressione ma scrive alcuni fra i suoi componimenti più celebri, fra cui spiccano “Il sabato del villaggio” e “La quiete dopo la tempesta”.

Nel 1830 Leopardi, aiutato da alcuni amici, lascia definitivamente il borgo natio e si trasferisce a Napoli in compagnia dell’amico Antonio Ranieri, dove scrive le liriche che costituiscono il piccolo testamento spirituale del poeta: “La ginestra” e “Il tramonto della luna”. Giacomo Leopardi muore il 14 giugno 1837.

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