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Arno Saar, sulle tracce del grande scrittore italiano che scrive sotto pseudonimo

Abbiamo intervistato lo scrittore misterioso Arno Saar in merito al suo libro "Il treno per Tallin" per saperne di più sul suo romanzo e per cercare di scoprire la sua vera identità

MILANO – Arno Saar, un grande scrittore italiano celato sotto pseudonimo. A maggio è arrivato in libreria il primo libro scritto sotto la sua nuova identità, “Il treno per Tallin” (edito da Mondadori) un giallo e thriller nordico che sta attirando su di sé sempre più attenzione. Pochi sanno chi sia Arno Saar e da un po’ ci siamo messi sulle tracce dello scrittore. Mondadori ha detto che si tratta di un grande scrittore italiano e abbiamo subito chiesto alla nota casa editrice di poterlo intervistare. La risposta è stata immediata e abbiamo condotto un’intervista via mail che ci ha permesso di scoprire di più sul suo romanzo e che ci ha rivelato alcuni indizi che ci possono aiutare a scoprire la sua vera identità. Le indagini all’interno del suo giallo stanno conquistando sempre più lettori, le nostre per scoprire chi sia sono appena iniziate. Voi avete qualche idea su chi possa essere?

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Aveva già scritto gialli in precedenza o è il suo esordio in questo genere letterario?

Come George Simenon, ho scritto romanzi polizieschi e “romanzi duri”, cioè storie che, pur ruotando intorno a un omicidio o a un dramma, non seguono lo schema omicidio-indagine-verità tipico del giallo. Il poliziesco e il noir rimangono però una grande passione e il commissario Kurismaa mi sembra il personaggio più adatto a portarla avanti.

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Ci spieghi come è nata l’idea del libro e della sua trama. Si è recato a Tallin o ci ha vissuto per un periodo?

Per lavoro trascorro lunghi periodi in Estonia: è un paese affascinante, un crocevia di culture europee; ci sono influenze tedesche, finlandesi, svedesi, e, naturalmente, c’è la questione aperta dell’occupazione sovietica e del rapporto con la minoranza russa. E poi c’è il paesaggio; anche se la prima indagine di Marko Kurismaa si svolge prevalentemente a Tallinn (che è una città meravigliosa), nel romanzo il lettore può trovare qualche squarcio sui paesaggi della piana estone coperta di neve o sui territori di confine con la Russia. L’idea di questo romanzo nasce dalla più grande ferita che l’Estonia ha subito dal giorno della sua indipendenza, l’affondamento del traghetto chiamato appunto Estonia che ha provocato la morte di centinaia di persone. Come nelle più controverse “stragi all’italiana”, anche in quell’episodio ci furono trame nascoste, insabbiamenti internazionali e, ancora oggi, gli estoni non conoscono tutta la verità.

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Perché ha deciso di pubblicare un libro sotto pseudonimo e perché ha scelto proprio “Arno Saar”?

Scrivere un libro non è solo inventare una storia e scegliere delle parole per raccontarla; scrivere un libro è innanzitutto calarsi nella realtà che contiene la vicenda, vivere quella storia, farla propria. Prima di scrivere Il treno per Tallinn io ho fatto tutte le cose che fa il commissario Kurismaa: sono salito su quel treno, ho fatto sci di fondo sulla pista dove lui trova gli indizi, ho frequentato i locali dove lui beve e ascolta la musica, ho ascoltato le chiacchiere degli estoni nei caffè e nelle saune, ho parlato con amici e colleghi. A quel punto, lasciare il mio vero nome e assumerne un altro mi è parso quasi inevitabile. Lo pseudonimo non è una mascheratura, ma una nuova identità che mi entusiasma moltissimo: quando cammino nel quartiere di Kalamaja o quando mi faccio chilometri e chilometri di sci di fondo a Pirita, io mi sento davvero Arno Saar, specie adesso che le inchieste del commissario Kurismaa stanno per essere pubblicate anche in Estonia. Perché ho scelto proprio quel nome? Semplice: l’ho rubato a un amico.

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Non penso che ci voglia svelare chi sia, ma non ci può dare qualche piccolo indizio?

Qualsiasi personaggio di un giallo lo sa: il modo migliore per non farsi scoprire è quello di non lasciare indizi.

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Ogni anno vengono pubblicati migliaia di titoli. Secondo lei quali caratteristiche dovrebbe avere un libro per essere originale e distinguersi dagli altri?

Siamo sicuri che un buon libro sia quello che racconta una storia assolutamente originale? Io credo che nel crimine ci sia poca originalità, ci sia spesso la ripetizione di azioni identiche (pensate a quanto tragicamente si somigliano tra loro tutti i femminicidi!). Quello che distingue un buon poliziesco non è l’invenzione mirabolante, ma la sincerità del racconto: quanto più l’autore è riuscito a calarsi nella mente e nel cuore dei suoi personaggi, tanto più quella storia sarà avvincente, indipendentemente dall’eccezionalità degli eventi. Vivere la vita degli altri: è questa la possibilità che un buon libro ci regala, e le vite degli altri, se raccontate con sincerità, sono sempre originali.

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Se non fosse diventato uno scrittore, quale carriera le sarebbe piaciuta intraprendere?

Più vivo nell’area baltica e scandinava e più mi rammarico di non essere diventato un architetto specializzato in bioedilizia; lassù, nel nord Europa, stanno facendo cose meravigliose in questo senso. Ma quando io ho frequentato l’università, la bioedilizia praticamente non esisteva. In ogni caso, sono felice di essere uno scrittore, anzi, “due” scrittori.

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