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Annalisa Chirico, ”Non avrei mai scritto ‘Siamo tutte puttane’ se non avessi seguito le udienze del processo Ruby’

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MILANO –  Stasera al Festival Capalbio Libri 2014 Annalisa Chirico presenta il suo ultimo libro “Siamo tutti puttane. Contro la dittatura del politicamente corretto”. Un titolo indubbiamente esplicito e volutamente d’impatto ma che assume tutt’altro significato se viene letto alla luce di certi accadimenti politico-sociali che per mesi hanno monopolizzato l’informazione italiana. Edito da Marsilio, il libro ha già scatenato parecchio dibattito, soprattutto tra gli esponenti “bacchettoni” della sinistra italiana. Annalisa Chirico, giornalista e blogger, ha lavorato anche al Parlamento europeo conducendo campagne a favore della libertà di scelta, contro gli eccessi del sistema giudiziario e carcerario, per un femminismo libertario e moderno. Noi l’abbiamo intervistata e le abbiamo chiesto di parlarci del suo libro.

Di cosa parla “Siamo tutti puttane”?
Il mio libro è un grido di rivolta contro la dittatura in Italia del politicamente corretto, è un pamphlet anti-moralista che da una parte rivendica il sacrosanto diritto di ciascuno di farsi strada nella vita come meglio può, nel rispetto ovviamente della legge ma usando tutte le risorse a disposizione e dall’altra parte propone un femminismo pluralista che rifiuta il modello di donna “angelo del focolare”, madre e moglie perfetta. Il vero femminismo deve lottare affinché sia riconosciuta la libertà di ciascuna donna di essere quello che vuole e parte dall’idea che tutti quanti siamo appunto Angeli e Demoni, non esiste la purezza angelicata; non c’è solo la donna apollinea ma anche quella dionisiaca, che usa abilmente e spregiudicatamente il proprio corpo, il proprio desiderio sessuale e rivendica il fatto naturale di essere donna e di avere un ventre.

Tu ti definisci una “femminista pro sesso, pro porno e pro prostituzione”. Cosa rispondi alle femministe che invece sono contro la mercificazione della donna?
Non esiste nessuna mercificazione della donna né del suo corpo perché se uno vendesse il proprio corpo saremmo nell’ambito della schiavitù, cosa che è vietata nel nostro Paese. Al massimo esiste la vendita di servizi (sessuali, nell’ambito della prostituzione) o nell’ambito della pubblicità, dell’arte, del cinema (vendita della propria immagine). La donna non è mercificata ma anzi ha la libera facoltà di usare il proprio corpo. Io ribalto il paradigma di queste femministe che io chiamo “Taleban-femministe”. Non c’è nessuno che mercifica le donne o fa di loro degli oggetti, le donne sono dei soggetti attivi, artefici assolute del proprio Destino; anzi ci troviamo all’interno di un paradosso poiché sono proprio i discorsi di certe femministe che hanno trasformato le donne in oggetti. Giunti a questo punto devo fare una precisazione importante: c’è da distinguere tra la prostituzione libera e volontaria, che esiste, e il racket della prostituzione, un fenomeno criminale da combattere, che in Italia è reato. La prostituzione pro libera e pro volontaria invece esiste e a questo devono arrendersi tutte le varie santone del comune senso del pudore, del Sacro Canone Femminile.

Ho letto che hai seguito il processo Ruby da cronista. Questa vicenda ha influito nella stesura del tuo libro?
All’Università mi occupo di studi di genere ma non avrei mai scritto questo libro se non avessi seguito le udienze del processo Ruby dove sostanzialmente si è tenuto un processo alla Morale, al comune senso del pudore. Per certi versi non sembrava di essere a Milano ma a Kabul ai tempi dei Talebani. Un processo in cui delle donne, una trentina di ragazze, chiamate lì in qualità di testimoni, sono state interrogate, vivisezionate nella loro vita privata e privatissima, nella loro vita sessuale, nelle loro passioni private. I trenini e i merletti di una festa sono diventati oggetto di dibattimento e di istruttoria. A tal proposito devo dire due cose: la prima è che i tribunali devono occuparsi di reati, non di peccati, poiché dei peccati ciascuno risponde alla propria coscienza; e la seconda è che l’assoluzione di Berlusconi in secondo grado senza una nuova istruttoria, al di là delle motivazioni che leggeremo, ci dice una cosa chiara, cioè che le prove per cui Berlusconi era stato condannato a 7 anni in primo grado sono state completamente falcidiate in secondo grado, ritenute cioè non attendibili, non sussistenti. Che poi è quello che io scrivo nel libro: in quel processo non c’erano le prove, Berlusconi non è un santo, quelle ragazze non sono morigerate di Dio e non credo che vadano tutte le domeniche a Messa.

Ultima domanda. Progetti per il futuro? Cosa ti aspetti dopo Capalbio?
Veramente andrò in vacanza. Anzi ti direi che dopo Cabalbio spero di gustare una buona cena con le persone che verranno a presentare il libro con me.

4 agosto 2014


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