16 settembre 2025, esce Alzarsi all’alba (Mondadori), il nuovo libro di Mario Calabresi. Un volume che si inserisce nel percorso di uno scrittore e giornalista capace di intrecciare memoria personale, storie collettive e riflessioni sul nostro tempo. Questa volta al centro c’è un tema che sembra fuori moda, quasi dimenticato, ma che attraversa silenziosamente la vita di milioni di persone: la fatica.
L’idea nasce il venerdì 8 gennaio 2016, come afferma lo stesso Mario Calabresi, una settimana prima di diventare direttore di la Repubblica. Il giornalista scrive sul suo telefono una nota dal titolo “Alzarsi all’alba”, con sottotitolo: “Perché solo la fatica ci salverà”. Da quella scintilla è cominciata una raccolta di appunti, pensieri e storie che sono diventate un libro.
La fatica, nel racconto dell’autore, non è soltanto stanchezza o sforzo. Per Calabresi è dedizione, pazienza, costanza, responsabilità. È ciò che tiene insieme le giornate di chi si prende cura di altri, di chi lavora in silenzio senza riconoscimento, di chi affronta ostacoli enormi senza arrendersi.
Alzarsi all’alba di Mario Calabresi
Il primo capitolo del libro si apre con un ricordo personale. L’estate in cui, dopo l’esame di quinta elementare, il giovane Mario Calabresi desiderava un canotto gonfiabile. Il nonno Mario, prima di regalarglielo, lo portò per due settimane a lavorare nella sua azienda tessile. Solo dopo aver messo ordine a schedari e fatture, solo dopo aver assaggiato la disciplina di una giornata intera in ufficio, arrivò il regalo tanto atteso.
Quel canotto, pieno di toppe e usato per anni, diventò un simbolo: le cose conquistate con la fatica hanno un sapore diverso, restano impresse perché ci si sente di averle davvero guadagnate.
Accanto al nonno, anche la nonna diventa custode di questa eredità. Per lei la vera rivoluzione del Novecento fu la lavatrice, che liberò le donne da una fatica antica. Eppure non smise mai di alzarsi presto, di darsi compiti e responsabilità. Perché la fatica, nella loro generazione, era sinonimo di cura, dignità, dedizione.
Nel libro, Calabresi ricorda come la parola “fatica” abbia lentamente perso il suo valore positivo, fino a diventare un termine esclusivamente negativo. Oggi, dice, si è affermata l’illusione che tutto possa essere ottenuto senza sforzo, che le scorciatoie siano strade legittime, che la velocità sia l’unico parametro di successo.
La scintilla: Veronica Yoko Plebani
A cambiare la prospettiva, e a far nascere davvero il libro, è stato l’incontro con Veronica Yoko Plebani, atleta paralimpica. Una mattina, mentre si preparava ad allenarsi tra la sabbia e l’acqua gelida, con entrambi i piedi amputati a metà, ha pronunciato una frase destinata a restare:
«La fatica la devi adorare».
Parole semplici e rivoluzionarie, che hanno spinto Calabresi a guardare la fatica non come un peso da sopportare, ma come una compagna necessaria, persino generativa, capace di dare senso all’esistenza.
Un mosaico di storie esemplari
Il libro è popolato da storie vere, di persone note e meno note, tutte accomunate dall’aver fatto della fatica un segno d’amore, di responsabilità o di dedizione:
- un allenatore che insegna ai bambini la bellezza della tenacia;
- un marito che da venticinque anni si prende cura della moglie malata;
- un padre che corre ultramaratone per ritrovare la figlia che ha perduto;
- una donna di 89 anni che ogni mattina porta i fiori al marito al cimitero, pulisce i bagni per accogliere i visitatori, e poi corre a infornare focacce nel suo ristorante;
- un maestro di pianoforte che non vuole sprecare il sacrificio dei genitori;
- una restauratrice che dedica la vita a salvare la bellezza con pazienza millimetrica.
Sono volti che appartengono a quella che Mario Calabresi chiama la “pattuglia dell’alba”, persone che reggono il mondo ogni giorno senza clamore, e che spesso si sentono persino dalla parte sbagliata della storia, come se vivere la fatica fosse un limite e non un valore.
Un libro che può apparire all’apparenza fuori moda e controcorrente rispetto all’inno all comodità della nuova narrativa sociale. Alzarsi all’alba interviene invece per affermare che le scorciatoie sono spesso inganni, e che la fatica, lungi dall’essere una condanna, è ciò che lega gli umani alla realtà, che permette di dare un senso al tempo, che insegna ad attendere e a custodire.
È un libro che si legge come un invito a saper reagire alle “favole” che i risultati si possono raggiungere senza sacrifici. Si sottolinea che il saggio di Calabresi non è un elogio nostalgico dei “bei tempi andati”, ma una proposta radicale per il presente. Ritrovare nella fatica non un ostacolo, ma una chiave per vivere con maggiore consapevolezza.
Un libro che apre ad una riflessione filosofica e sociologica sulla fatica
Il tema che attraversa Alzarsi all’alba non è soltanto narrativo o autobiografico, ma apre a una riflessione più ampia che riguarda la filosofia e la sociologia del nostro tempo. La fatica, infatti, non è un concetto neutro. Porta con sé stratificazioni culturali, religiose e politiche che ne hanno definito il senso lungo i secoli.
Max Weber, nei suoi studi sull’etica protestante, mostrava come il lavoro e il sacrificio fossero parte integrante di una visione spirituale che attribuiva dignità alla dedizione quotidiana. La fatica non era un ostacolo, ma il segno tangibile di un percorso di responsabilità individuale e collettiva. Hannah Arendt, distinguendo tra labor e work, aveva a sua volta sottolineato come il primo fosse legato al ciclo vitale, al mantenimento dell’esistenza, mentre il secondo si apriva alla possibilità di creare opere destinate a durare. Entrambe le dimensioni, tuttavia, implicavano una resistenza, un dispendio di energia che non poteva essere cancellato senza eliminare anche il senso stesso del vivere umano.
Al contrario, nel nostro presente, assistiamo a una trasformazione radicale. Byung-Chul Han, filosofo sud coreano trapiantato in Germania, insegna all’Università di Berlino, parla di “società della stanchezza” per descrivere un mondo in cui la fatica non è più riconosciuta come valore, ma come auto-sfruttamento. Non si lavora più solo per necessità, ma per prestazione, per restare competitivi in una logica che consuma le persone dall’interno.
Zygmunt Bauman, a sua volta, ci ha avvertiti che la modernità liquida tende a dissolvere i legami solidi, sostituendo la lentezza e la costanza con la ricerca di scorciatoie e velocità. In questo contesto, la fatica diventa invisibile, marginale, quasi un segno di arretratezza, mentre in realtà è ciò che permette la costruzione di esperienze autentiche e di comunità resistenti.
Non si tratta soltanto di teoria. La storia concreta del Novecento lo ricorda con forza. La fatica dei campi, delle fabbriche, delle donne piegate sul bucato o costrette a camminare per chilometri con secchi d’acqua, è stata progressivamente ridotta grazie alle innovazioni tecnologiche: la lavatrice, il frigorifero, il riscaldamento domestico hanno liberato milioni di persone da pesi insostenibili.
Eppure, accanto a questa liberazione, è rimasto un nucleo di fatica che non può essere cancellato senza eliminare la nostra stessa umanità. È la fatica che nasce dalla dedizione, dalla cura, dal prendersi responsabilità verso gli altri e verso il mondo. È quella che vediamo nei medici durante un’emergenza, nei genitori che si alzano di notte per un figlio, nei lavoratori invisibili che mantengono in vita le città mentre gli altri dormono.
Il rischio contemporaneo è confondere la “liberazione dalla fatica” con la sua eliminazione totale. La prima è conquista sociale, la seconda è illusione. La promessa di un futuro in cui ogni sforzo sarà sostituito da algoritmi e intelligenze artificiali nasconde un terribile inganno. Una vita senza fatica sarebbe anche una vita senza profondità, senza senso, senza tempo. Perché è proprio la fatica a scandire i giorni, il tempo che passa, a dare la misura del valore delle cose, a trasformare i desideri in conquiste reali.
Alzarsi all’alba, in questo senso, non è soltanto un libro di testimonianze. È un invito a recuperare la dimensione più autentica dell’esistenza. Il libro aiuta a riconoscere che la fatica non è un nemico da combattere, ma una compagna da onorare, una forma di resistenza che ci ancora alla realtà in un’epoca che preferisce le illusioni della facilità e della velocità. Come nella frase di Veronica Yoko Plebani, che diventa manifesto dell’intero volume, la fatica va non solo accettata, ma addirittura “adorata”, perché è attraverso di essa si può tornare a sentirsi vivi.
Chi è Mario Calabresi
Mario Calabresi (Milano, 17 febbraio 1970) è oggi una delle figure più autorevoli del giornalismo e della cultura italiana. Giornalista, scrittore e manager editoriale, la sua carriera è stata segnata da un costante impegno civile e da una capacità rara di intrecciare vicende personali e collettive, memoria e attualità, tradizione giornalistica e innovazione narrativa.
Dopo gli studi in legge e storia, Calabresi muove i primi passi nel giornalismo all’ANSA come cronista parlamentare, per poi approdare a la Repubblica e successivamente a La Stampa, quotidiano per il quale diventa inviato speciale. Da New York racconta in presa diretta uno degli eventi che hanno cambiato il mondo: gli attentati dell’11 settembre 2001.
La sua carriera tocca l’apice con la direzione di due delle più importanti testate italiane: La Stampa, che guida dal 2009 al 2015, e la Repubblica, dal 2016 al 2019. Dopo questa esperienza sceglie di aprire nuovi orizzonti. Fonda Chora Media, una delle principali podcast company italiane, che esplora linguaggi innovativi e forme ibride di racconto, capaci di unire audio, cultura e giornalismo. Parallelamente, cura la newsletter Altre/storie, che raccoglie una comunità di lettori attenti e appassionati.
Una vicenda familiare che segna un destino
La biografia di Mario Calabresi non può essere separata dalla tragedia familiare che ha vissuto da bambino. Nel 1972, quando aveva appena due anni, suo padre, il commissario Luigi Calabresi, venne assassinato a Milano durante gli Anni di Piombo, al culmine di una campagna di odio politico e mediatico seguita alla morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli.
Questo trauma, vissuto nel silenzio e nel peso della memoria, diventerà decenni dopo il cuore di uno dei suoi libri più noti: Spingendo la notte più in là (2007), in cui racconta non solo la storia della sua famiglia, ma anche quella di altre vittime dimenticate del terrorismo. È un libro che ha segnato una svolta nel dibattito pubblico italiano, restituendo dignità a chi ha sofferto senza mai avere piena voce.
Sul piano personale, Calabresi ha condiviso parte del suo percorso con Caterina Ginzburg, nipote della scrittrice Natalia Ginzburg, con cui ha avuto due figlie. La coppia è oggi separata. Pur essendo una figura pubblica, ha sempre mantenuto un profilo discreto sulla vita privata, scegliendo di raccontarsi soprattutto attraverso il lavoro, le storie e i libri.
I libri di Mario Calabresi
I libri di Mario Calabresi si distinguono per la capacità di saper raccontare storie che non ti aspetti. L’attenzione al particolare dello scrittore emerge, dettato dalla sua esperienza come giornalista e dalla sensibilità dell’osservatore del sociale e del reale.
Di seguito la sua bibliografia.
Spingendo la notte più in là. Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo (2007)
È il suo libro più celebre e personale. A 35 anni dalla morte del padre, il commissario Luigi Calabresi, l’autore rompe il silenzio e racconta la storia della sua famiglia, intrecciandola a quelle di altre vittime degli Anni di Piombo. Un’opera fondamentale sulla memoria, sul dolore privato che diventa pubblico e sulla necessità di superare l’odio senza dimenticare.
La fortuna non esiste. Storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio di rialzarsi (2009)
Una raccolta di storie di persone che hanno saputo trasformare una caduta, un fallimento o una tragedia in un’opportunità di rinascita. Calabresi indaga la resilienza umana, mostrando come la “fortuna” sia spesso il risultato di tenacia, coraggio e della capacità di non arrendersi.
Cosa tiene accese le stelle. Storie di italiani che non hanno mai smesso di credere nel futuro (2011)
Un viaggio attraverso l’Italia per raccontare le storie di chi, con passione e impegno, contribuisce a rendere migliore il Paese. Imprenditori, scienziati, artigiani e innovatori che, lontani dai riflettori, rappresentano un’Italia che crede nel futuro e lavora per costruirlo.
A occhi aperti (2013)
In questo libro, edito originariamente da Contrasto e poi ripubblicato da Mondadori, Calabresi dialoga con dieci grandi fotoreporter internazionali (da Steve McCurry a Don McCullin). Ogni capitolo è dedicato a una fotografia iconica, svelandone il retroscena e il momento in cui “la Storia si è fermata in una foto”.
Non temete per noi, la nostra vita sarà meravigliosa. Storie di ragazzi che non hanno avuto paura di diventare grandi (2015)
Dedicato alle giovani generazioni, questo libro raccoglie le storie di ragazzi e ragazze che hanno affrontato prove difficili – la malattia, la guerra, la criminalità – con una forza e una maturità sorprendenti. Un inno al coraggio e alla speranza visto attraverso gli occhi dei più giovani.
La mattina dopo (2019)
Partendo dalla sua esperienza personale – la “mattina dopo” aver lasciato la direzione di la Repubblica – Calabresi riflette sul tema universale della caduta e della ripartenza. Un libro che esplora il senso di vuoto e la vertigine che seguono una frattura nella propria vita (un lutto, la perdita del lavoro, una separazione) e la forza necessaria per ricostruirsi.
Quello che non ti dicono (2020)
Una riflessione profonda e personale sul mestiere di genitore oggi. Attraverso episodi di vita quotidiana e il dialogo con i propri figli, Calabresi affronta le sfide, le paure e le gioie dell’essere padre in un mondo complesso e in rapido cambiamento.
Una volta sola. Storie di chi ha avuto il coraggio di scegliere (2022)
Il filo conduttore è l’attimo della scelta, quel momento decisivo in cui si cambia il corso della propria esistenza. Quattordici storie di persone che, di fronte a un bivio, hanno avuto il coraggio di prendere una decisione difficile, spesso controcorrente, per inseguire un sogno o rimanere fedeli a un principio.
Sarò la tua memoria (2023)
Il suo primo libro rivolto ai ragazzi. Racconta la storia vera di Andra e Tatiana Bucci, sopravvissute ad Auschwitz, e del loro nipote Joshua, che si fa carico di tramandarne la memoria. Un delicato e potente racconto su come il testimone della Storia possa e debba passare alle nuove generazioni.
Il tempo del bosco (2024)
Una riflessione sulla necessità di rallentare, di riscoprire il ritmo della natura e di trovare un equilibrio in un’epoca dominata dalla fretta e dalla connessione digitale costante. Il bosco diventa metafora di uno spazio fisico e mentale in cui ritrovare sé stessi e l’essenziale.
Alzarsi all’alba (In uscita il 16 settembre 2025)
L’ultimo libro annunciato è un elogio della fatica, della dedizione e della pazienza. In un mondo che cerca la via più facile e veloce, Calabresi racconterà storie di persone che trovano un senso e una realizzazione nell’impegno quotidiano, nel lavoro meticoloso e nel valore del tempo.