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8 marzo, la voce di Simonetta Agnello Hornby contro la violenza sulle donne

SPECIALE 8 MARZO โ€“ Sento dire, a destra e manca: ''Dobbiamo insegnare ai bambini che non devono essere violenti sul corpo delle femmine, mai.''...

SPECIALE 8 MARZO – Sento dire, a destra e manca: “Dobbiamo insegnare ai  bambini che non devono essere violenti sul corpo delle femmine, mai.”

Ma non sento dire altrettanto spesso: “Dobbiamo insegnare alle bambine che il loro corpo appartiene a loro soltanto, e che nessuno ha il diritto di essere violento nei loro confronti, mai.”

Bisogna ribadire ai giovani che la violenza è la negazione dell’amore. Sempre.

Simonetta Agnello Hornby

Scrittrice italiana naturalizzata britannica e avvocato specializzato in diritto minorile. Si distingue per l’impegno nella lotta contro la violenza domestica e lo scorso anno, con la professoressa di filosofia sociale e politica all’Università di Milano-Bicocca Marina Calloni, ha pubblicato sul tema il libro “Il male che si deve raccontare”. I proventi sono stati destinati alla filiale italiana dell’associazione Eliminate Domestic Violence Global Foundation, creata in Inghilterra da Patricia Scotland, prima donna nera membro della Corte di Cassazione e della Camera dei Lord e primo ministro della Giustizia donna.
In occasione dell’8 marzo, pubblichiamo un estratto del libro per gentile concessione della casa editrice Feltrinelli e dell’autrice, che ha voluto condividere con noi il racconto dell’esperienza che nel Regno Unito ha consentito di ridurre sensibilmente gli omicidi e la violenza domestica contro donne e bambini.

“Da guardasigilli, Patricia Scotland ha razionalizzato il coinvolgimento di diversi settori della società nei casi di violenza domestica e introdotto due innovazioni fondamentali.
Al ministero degli Interni, ha creato un sistema che ha ridotto molto sensibilmente la violenza domestica e il numero degli omicidi. Ha formulato un piano d’azione nazionale per raggiungere cinque obiettivi: 1) ridurre il numero degli omicidi legati alla violenza domestica; 2) ridurre la violenza domestica, soprattutto nelle zone e nelle comunità con la più alta incidenza; 3) aumentare le denunce dei casi di violenza domestica; 4) aumentare il numero dei casi di violenza domestica portati in giudizio; 5) assicurare alle vittime di violenza domestica protezione adeguata e sostegno su tutto il territorio nazionale. Protezione e sostegno da offrire attraverso tre punti chiave: innanzitutto le Multi-Agency Risk Assessment Conference (MARAC), consultazioni che afferiscono a un nuovo ente statale con un presidente proprio, da cui dipendono i Consulenti indipendenti specializzati in violenza domestica  (Independent Domestic Violence Advisor, IDVA), il secondo punto chiave; infine, l’offerta di servizi di sostegno per le vittime e i loro figli.
Grazie a queste innovazioni, nella sola Londra le donne uccise in casi di violenza domestica sono passate da 49 a 5 all’anno. E le procedure, più snelle, sono divenute anche più efficaci e mirate.
Alle MARAC partecipano varie organizzazioni (servizi sociali, welfare, polizia, sanità, istruzione, Istituto per le case popolari, case di accoglienza per donne maltrattate); fanno ormai parte delle pratiche efficaci delle municipalità inglesi e sono fonte di ispirazione in tutto il mondo. Quando si riceve la segnalazione da parte della vittima (anche attraverso il suo avvocato), ciascun partecipante della MARAC esamina la situazione e le esigenze più impellenti della famiglia, assegnando un punteggio; in base al punteggio raggiunto viene definito il livello di rischio: altissimo, alto, medio. Nei casi di altissimo e alto rischio, gli enti coinvolti formano un sottogruppo per decidere la priorità degli interventi. Entrano in azione immediatamente e forniscono i loro servizi entro i brevi termini concordati. Le altre vittime aspettano il turno, a meno che non diventino a loro volta ad alto rischio. Nel frattempo, gli altri enti continuano il lavoro con la famiglia.
La seconda innovazione fondamentale è l’IDVA (Independent Domestic Violence Advisor), la nuova figura introdotta per sostenere la vittima e far funzionare bene le MARAC. Patricia Scotland aveva subito individuato il punto debole del sistema: la mancanza di una persona che lavorasse con la vittima e le facesse da tramite con i diversi enti, membri della MARAC e altri (chiese, moschee ecc.). Il funzionamento delle MARAC si basa infatti sulla conoscenza della vittima e delle sue esigenze. Soprattutto quando i servizi sociali non conoscono la vittima, è fondamentale che ci sia qualcuno che la sostenga, le dia consigli, la rappresenti alle riunioni e nei nuclei di azione per i casi ad alto rischio. L’IDVA ha in genere la qualifica di assistente sociale (o il suo equivalente) e deve aver superato un corso di formazione specifica: il suo compito è coordinare il primo nucleo di intervento ad alto rischio. Risolti i problemi impellenti – casa, denaro, protezione fisica –, suggerisce l’intervento successivo e coordina gli altri gruppi, diventa il portavoce della vittima, la sostiene durante le udienze e coordina anche i diritti di visita per i figli. È in contatto costante con la vittima almeno per i primi tre mesi.
L’offerta di servizi di sostegno per le vittime e i loro figli è un’altra innovazione fondamentale, perché i servizi devono essere dati entro limiti di tempo ben precisi dettati dal livello di rischio: per una donna in pericolo di vita, per esempio, il rischio è altissimo e l’Istituto delle case popolari, che a priori ha dichiarato di poter fornire un’abitazione alla vittima potenziale entro uno specifico lasso di tempo, è tenuto a rispettare i tempi stabiliti. Se il lasso di tempo era ventiquattr’ore, entro ventiquattr’ore la donna deve avere un alloggio alternativo e protetto, a costo di trovarlo sul mercato privato.
Questo semplice sistema ha portato a una diminuzione dei costi non soltanto per la società, ma anche per i datori di lavoro: perché la vittima è stata messa nelle condizioni di continuare a lavorare. Inoltre, ha diminuito sensibilmente la recidività: sono poche le donne ritornate dal loro persecutore. Secondo me è proprio questo il risultato più significativo delle innovazioni introdotte da Patricia Scotland, e il ruolo dell’IDVA è stato essenziale. Al momento l’incarico ha una durata limitata, ma la vittima sa di poter contare sull’IDVA anche in seguito. È un lavoro difficile, e un compito importantissimo.”

Simonetta Agnello Hornby,
da “Il male che si deve raccontare”, scritto con Marina Calloni
© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
Prima edizione in “Varia” maggio 2013

8 marzo 2014

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