Sei qui: Home » Libri » 25 Aprile, 5 libri da leggere per conoscere meglio la Resistenza Italiana

25 Aprile, 5 libri da leggere per conoscere meglio la Resistenza Italiana

Antonio, Norberto, Beppe, Carlo, Claudio. Cinque modi di vedere e raccontare la Resistenza in Italia, la guerra, il 25 aprile, i sogni, le cattiverie, gli orrori, le speranze, il passato di una stagione del Paese che si lega al presente dell’Italia di oggi...

MILANO – Antonio, Norberto, Beppe, Carlo, Claudio. Cinque modi di vedere e raccontare la Resistenza in Italia, la guerra, il 25 aprile, i sogni, le cattiverie, gli orrori, le speranze, il passato di una stagione del Paese che si lega al presente dell’Italia di oggi. E’ possibile pensare al 25 aprile – data spartiacque 70 anni fa, data-simbolo oggi -, anche ripercorrendo le pagine scritte da questi cinque uomini: storie diverse unite però da un’attenzione particolare ad aspetti comuni eppure differenti di quegli anni.

 

Antonio (Giolitti) nel suo Diario partigiano 1944-45 (pubblicato adesso da Donzelli con il titolo “Di guerra e di pace”), racconta se’ stesso immobilizzato in un ospedale a Aix-les-Bains in Francia dopo un incidente; fuggito ai rastrellamenti in Italia, Giolitti medita sul suo presente, racconta della guerra partigiana, guarda al futuro, parla alla moglie lontana, immagina il figlio neonato, cerca di non sentirsi troppo solo. Legge e scrive di ciò che legge. Giudica la guerra e il futuro. Fulminante è quando scrive, il 25 febbraio 1945, “non mi sembra che si presti abbastanza attenzione alle conseguenze disastrose della guerra nel campo morale, conseguenze che peseranno per molto tempo. Tutta o quasi tutta una generazione di giovani ha perso ogni coscienza dei valori morali. Questi pervertiti precoci irridono ai sentimenti di umanità e alle manifestazioni di civiltà. Si pagherà cara la colpa di aver gettato nella mischia degli incoscienti sotto i vent’anni. Per costoro l’arma che uccide è ancora un giocattolo, più inebriante di tutti i giocattoli”. Bellissima la premessa di Rosa Giolitti, un po’ ridondante eppure utile la introduzione di Mariuccia Salvati.

 

Se quello di Antonio (Giolitti), è un racconto intimo della guerra, ciò che scrive Norberto (Bobbio), è una serie  di meditazioni ad alta voce (alta in tutti i sensi), sul 25 aprile. “Eravamo ridiventati uomini” (questo il titolo della raccolta appena stampata da Einaudi), mette insieme testimonianze e discorsi sulla Resistenza in Italia scritti dal ‘55 al ‘99. Partendo da una considerazione: “La nostra vita è stata sconvolta. Tutti noi abbiamo conosciuto vicende dolorose: paura, fughe, arresti, prigionia; e la perdita di persone care. Perciò dopo non siamo piú stati come eravamo prima. La nostra vita è stata divisa in due parti (…)”. Norberto (Bobbio), riesce però a dare una senso a quanto è accaduto. E dai titoli degli interventi ospitati nel volume (moltissimi dei quali inediti fino ad oggi), si capisce ancora di più il significato del libro stesso come ricerca del senso della Resistenza e del 25 aprile: si parla infatti di democrazia, oppressione, giustizia, libertà, pace per tutti, diritto di sapere, ricordo e giudizio, giovani, Costituzione e lotta. Certo, Norberto (Bobbio), è davvero studioso di livello ma è anche uomo che si scopre: “Ma quel giorno – scrive ad un certo punto  –, quando i partigiani entrarono in città  e i tedeschi seguiti dai fascisti l’abbandonarono in fuga, l’incubo improvvisamente cessò. Fu come se un vento impetuoso avesse spazzato via d’un colpo tutte le nubi e alzando gli occhi potessimo rivedere il sole di cui avevamo dimenticato lo splendore; o come se il sangue avesse ricominciato a scorrere in un cadavere risuscitandolo”.

 

Poi c’è Beppe (Fenoglio), con il suo Johnny. Beppe non è uno studioso, lui sa della vita e basta. Ed è una vita complessa e variegata quella che vive e di cui scrive. Per questo, probabilmente, due dei suoi più bei libri – “Primavere di bellezza” e “Il partigiano Johnny” (il titolo non lo diede nemmeno lui però) -, hanno avuto loro stessi una vita travagliata. Ed è per questo che, adesso, è bello poterli leggere riuniti insieme per la prima volta eppure distinti nel loro susseguirsi nel volume “Il libro di Johnny” (stampato da Einaudi con una lunga, complessa e interessante Introduzione di Gabriele Pedullà che ha curato i testi). E’ la storia di quel Johnny che alla fine diventa partigiano ma che attraversa tutte le fasi della giovinezza in uno dei periodi più bui della storia provando e vedendo tutto l’orrore possibile. Storia che inizia con una notte sotto il cielo e termina con un cammino sempre sotto il cielo. Scrive Beppe (Fenoglio), proprio nelle prime righe: “Fuori, la notte premeva concreta e vischiosa, non meno lugubre nelle radure di chiaro di luna; e giusto in quel momento vi si iniettava il rumorio dei bombardieri, flebile e smarrito, interamente patetico”, cielo carico di brutti presagi dunque, diverso da quello sotto il quale, alla fine di tutto, Johnny dopo la battaglia si ritrovò a camminare osservando che non era “ostile”, ma solo “ cupo”.

 

Ma se Antonio, Norberto e Beppe scrissero perché vissero la guerra, Carlo (Gentile), scrive perché guerra e Resistenza, dolore e stragi le ha studiate dopo, cercando di capire. “I crimini di guerra tedeschi in Italia” – pubblicato prima in Germania e, adesso, in Italia sempre da Einaudi -, è un libro doloroso e denso, bello, serio, che si legge bene ma che fa male leggere tanto è chiaro e impietoso sui fatti. Carlo, prima prende in considerazione l’occupazione dell’Italia e la nascita della Resistenza, poi racconta la guerra partigiana, le ondate di violenza successive, gli episodi più crudi e aspri, poi ancora approfondisce le modalità del massacro, i profili delle persone, i meccanismi della violenza.  Alla fine del suo lungo cammino, Carlo rileva la casualità dello scoppio del male: “Va osservato (…) – scrive -, che se da un lato le predisposizioni giocavano un ruolo essenziale nella genesi di un atto di violenza, dall’altro erano in ultima analisi fattori di tipo contingente a decidere se e quando la violenza sarebbe esplosa”. E ancora: “Quando la percezione di un pericolo immediato, reale o immaginario che fosse, produceva un accumulo di aggressività, la legittimazione degli atti di violenza finiva per non avere più alcun bisogno di ragioni concrete”.

 

Infine c’è la purezza di Claudio (Pavone), giovane 95enne che ricorda ne “La mia resistenza” (pubblicato pochi giorni fa da Donzelli), quella che è stata la sua vita di ragazzo nelle peripezie della guerra, della clandestinità, della prigione, della Resistenza appunto. Lui di fatto non imbraccia mai un fucile, ma resiste alla mancanza di libertà. Fresco, bello, da leggere d’un fiato  e poi fermarsi per ricercare i passaggi più belli, il libriccino (cento pagine o poco più), ha in se’ la profondità dello storico ma la leggerezza del ragazzo. Con lampi bellissimi: “Nelle situazioni eccezionali – scrive Claudio (Pavone) ricordando il momento della scelta -, può accadere, e allora accadde a molti, che sia straordinariamente rapido e chiaro il cammino che porta a maturare convinzioni e a prendere decisioni irrevocabili”. Oppure con cenni umanissimi e rari come quelli che ricordano Giuseppe Saragat che chiede in carcere un pezzetto di formaggio “perché proprio non poteva più resistere ai morsi della fame”; e ancora come l’istantanea che fotografa il prelevamento di Leone Ginzburg dal carcere: “Ad alta voce fu pronunciato dal capoguardia il nome Ginzburg e dopo un paio di minuti l’ebreo Leone fu consegnato ai tedeschi. Con il suo strapazzato vestito blu e la sua carnagione scura spiccava fra le pesanti divise verdognole dei suoi nuovi carcerieri. In quel momento qualcuno da una cella cominciò a fischiare l’inno del piave: era un fischio limpido do e sicuro. I tedeschi certo non capirono, gli italiani si commossero, Leone fu portato via”.

 

Dunque, Antonio, Norberto, Beppe, Carlo e Claudio. E poi tanti altri, donne e uomini, ragazzi, ragazze, vecchi e vecchie, operai, impiegati, casalinghe, studenti e professori, contadini e zappaterra. Persone normali che divennero eroiche certamente senza desiderarlo, ma cercando qualcosa che non avevano e che oggi hanno dato a tutti. Qualcosa che ci permette di poter leggere cinque libri favolosi e che si chiama libertà.

.

 

© Riproduzione Riservata