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Riforma della scuola, a che punto siamo? I contrasti tra Governo, Sindacati ed Insegnanti

Lo scontro tra il governo, gli insegnanti e i sindacati nasconde in sé un significato molto preciso: la qualità della futura scuola italiana. Infatti, la conflittualità in atto deriva dalla divergenza di opinione tra chi vorrebbe che restasse...

Lo scontro tra il governo, gli insegnanti e i sindacati nasconde in sé un significato molto preciso: la qualità della futura scuola italiana. Infatti, la conflittualità in atto deriva dalla divergenza di opinione tra chi vorrebbe che restasse com’è adesso e i principi ispiratori della Buona Scuola, la riforma del governo che mira a introdurre dei principi meritocratici nella scuola: in primis la valutazione degli insegnati – come  avviene pacificamente negli altri paesi: Inghilterra, Finlandia, Germania – e la conseguente progressività della loro carriera non per anzianità, come avviene oggi, ma per merito. E’ un’esigenza ormai improcrastinabile: un maggior raccordo tra il sapere scolastico e le richieste dal mondo del lavoro.

 

L’Italia è  “un Paese – ha affermato il Presidente del Consiglio –  in cui i ragazzi che non trovano lavoro sono il 40%: l’alternanza scuola lavoro funziona in Germania, in Svizzera, in Alto Adige. L’obiettivo? Ridurre quel 40%”. Di fronte a tale necessità, i sindacati e gli insegnanti con motivazioni varie (modello di organizzazione autoritario, violazione dei diritti costituzionali, mancato coinvolgimento in una riforma così importante, ecc. ) contestano le finalità della Buona Scuola e minacciano di impedire gli scrutini finali. In un Paese normale ognuno fa il suo mestiere, cioè i politici legiferano e i sindacati portano avanti le istanze dei  lavoratori. In Italia non è stato così per lungo tempo. Il metodo della concertazione ha finora distorto  le norme costituzionali, le quali prescrivono che nella pubblica amministrazione si accede tramite concorso – cioè l’accertamento delle competenze professionali – e non per mezzo di leggi speciali (i corsi abilitanti) in vigore sin dagli anni ’70 del secolo scorso,  legittimando così l’immissione in ruolo tramite il doppio binario: i concorsi pubblici e i corsi abilitanti.

 

Dunque, logicamente chi boicotta la riforma governativa perpetua il vecchio sistema, svuotando di contenuto la scuola. Più fondata, invece, è la contestazione dell’eccessiva concentrazione del potere discrezionale attribuito dalla riforma ai dirigenti scolastici sulla valutazione degli insegnanti. Su questo punto, però, c’è da precisare che in seguito alle numerose proteste degli interessati, il governo ha introdotto una maggiore collegialità, estesa al consiglio d’istituto, per cui i capi d’istituto saranno affiancati da una squadra di tre professori, scelti dal collegio dei docenti. In effetti, la valutazione degli insegnanti , se verrà attuata secondo parametri di competenza professionale – come avviene regolarmente nelle rilevazioni degli altri paesi dell’Ocse – potrebbe segnare una svolta epocale rispetto all’attuale sistema secondo il quale la loro carriera progredisce solo in base all’anzianità e, di conseguenza, un’elevazione della qualità dell’insegnamento.

 

In realtà, in seguito allo sciopero dei docenti  del 5 maggio scorso e alle istanze emerse durante gli incontri con le parti sociali, il governo ha mostrato una maggiore flessibilità, che potrebbe essere suscettibile di ulteriori evoluzioni. A tutt’oggi  le modifiche apportate al testo del ddl Scuola durante l’esame in Commissione alla Camera sono interessanti e riguardano diversi punti:  riconfermano il ruolo dell’autonomia scolastica(art. 1) e del piano dell’Offerta Formativa, precisando che il dirigente(art.2) formula gli indirizzi, ma il Collegio dei docenti elabora il Pof(piano Offerta formativa) e il Consiglio di Istituto(composto dai rappresentanti degli studenti, famiglie, dei docenti e del personale Ata) dà la sua approvazione. Altri aspetti qualificanti sono: l’alternanza scuola-lavoro(art. 4) che negli istituti tecnici e professionali sarà di 400 ore e di 200 negli altri indirizzi. Anche i musei e altri enti del comparto artistico-musicale potranno offrirla. L’art. 6 prevede che gli insegnanti saranno assegnati ad ambiti territoriali sub provinciali mentre il personale già in ruolo conserva la propria titolarità. Inoltre è prevista la costituzione di reti di scuole, promosse dagli uffici scolastici regionali. Anche i dirigenti scolastici (art. 7) saranno valutati dagli ispettori.

 

Infine, la Commissione governativa prevede (art. 11) un Comitato di Valutazione per individuare i criteri per la valorizzazione dei docenti e per la verifica (art. 17) dei requisiti delle scuole paritarie, in particolare le Superiori (per evitare diplomifici). Sarà la volta buona per superare i contrasti attualmente in corso fra le varie componenti interessate – governo, sindacati, insegnanti – e per un rinnovamento reale della scuola italiana? Dipenderà da come la riforma sarà realizzata concretamente.

 

Giuseppe Sangregorio

 

16 maggio 2015

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