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Paola Mastrocola, “C’è spazio per la cultura nella scuola di domani?”

In questa intervista, Paola Mastrocola si interroga sull'evoluzione dei concetti di cultura e scuola in relazione con l'evoluzione del mondo di oggi

MILANO – “La cultura ci rende umani. Movimenti, diversità e scambi” è stato il tema dell’ottava edizione di “Pistoia – Dialoghi sull’uomo“, il festival che si terrà nella città toscana tenutosi la scorsa settimana. Tra i relatori del festival Paola Mastrocola, protagonista di un incontro dal titolo “Cultura e scuola: sinonimi o contrari?”, durante il quale ci si è interrogati sulle parole della “nuova scuola” – percorsi formativi, piano per la scuola digitale, certificazione delle competenze, alternanza scuola-lavoro… – chiedendosi se esse hanno ancora a che fare con l’idea classica di “cultura”. Ecco l’intervista all’autrice.

Cultura e scuola sono sinonimi o contrari?

Noi siamo in un momento molto particolare della storia, perché stiamo abbandonando un mondo e stiamo entrando in un altro a una velocità folle. Per quel che riguarda la scuola secondo me stiamo facendo ancora una scuola di ieri ma stiamo approntando la scuola di domani. Quindi non abbiamo una scuola dell’oggi. Ci sono posizioni tanto diverse, anche opposte, proprio a causa del momento pazzesco che viviamo. Nella scuola di ieri che ancora permane la cultura c’è, facciamo ancora latino e greco, per esempio, c’è storia, geografia, sempre meno ma ci sono ancora. Però, tutto questo non ci piace più per niente, ci sentiamo molto vecchi e quindi stiamo facendo tutt’altro. La scuola del futuro è la scuola delle competenze, del saper fare, dell’imparare a imparare, dell’insegnare a insegnare. In più è una scuola che ha una sfida davanti molto grossa che riguarda gli stranieri, l’immissione di nuove culture. Nella scuola del domani la cultura non c’è. Certo, io intendo cultura nel senso ristretto, nel senso di persona colta. Quando noi pensiamo a una persona colta ci viene in mente una persona che sa qualcosa di suo, che non deve andare su Wikipedia, che magari ha letto tanti libri, quelle cose un po’ desuete di una volta.

Il problema è con tutto ciò che non crea competenze?

Sì, esatto. Per esempio, leggere Dante non crea competenze, forma una persona. A Pistoia vorrei fare uno squarcio sul mondo del lavoro futuro, perché prepariamo una scuola per un lavoro che forse non ci sarà più. A me colpisce molto tutto il discorso sulla robotizzazione incipiente. Moltissime professioni spariranno. Quindi il rischio di un futuro prossimo è che pochissimi lavoreranno. Noi stiamo preparando una scuola per il lavoro in un mondo in cui non ci sarà lavoro. Ed è così che forse si riapre uno spazio per la scuola di cultura, perché a questo punto noi dovremo pensare alla persona, alla vita della persona senza un lavoro. Quindi potrebbe tornare l’idea di un otium creativo.

Ha già scritto di queste sue idee?

No, Pistoia mi ha molto stimolata a pensare veramente a questo tema scuola-cultura, una questione che non stiamo ancora affrontando. Non voglio fare il solito discorso retrogrado, ma vorrei veramente vedere che cosa succederà nel futuro a breve, perché si parla di pochi anni. Siamo tutti d’accordo che la parola cultura ci piace molto e non vogliamo perderla. Sentiamo sempre dire che la cultura è bella, ci rende umani. Il problema è che oggi la cultura si è completamente modificata. Non sta più nei libri, nelle biblioteche, non sta più nelle nostre stanze chiuse, non sta più nelle nostre solitudini. Ci piace la cultura quando diventa esterna, spettacolo, ma nel senso buono del termine. Penso al successo enorme dei festival oggi, che è una cosa buona, ma che è proprio il segno di uno spostamento: invece che stare in casa a leggere amiamo molto andare a sentire l’autore. Questo è il segno di uno spostamento fisico della cultura, dal libro alla voce, al gesto, al corpo.

Una cultura che diventa comunità.

Esatto, una cultura che diventa comunità, che è condivisa nel senso proprio fisico delle giornate insieme, del passare insieme un’ora a sentire un evento.

Un’idea che in qualche modo riprendiamo dall’antichità.

Assolutamente, infatti quello che sto cercando di dire è che paradossalmente, proprio quando facciamo il massimo sforzo per diventare moderni, forse ci stiamo avvicinando massimamente all’antico. Finirò il mio intervento con una domanda molto semplice: ci stiamo perdendo qualcosa, in questo mutamento grande e incontrastabile? Meditiamo su quello che ci sta scappando di mano.

Ha un messaggio da mandare ai maturandi 2017?

Certo, consiglio di studiare, ma consiglio loro anche di leggere un libro che li attira. Un libro, anche se non c’entra niente, arricchisce. Certamente faranno meglio l’esame se leggeranno un libro che li appassiona. Consiglio loro di lasciarsi andare al piacere, in un momento della vita che pretende da loro soltanto il dovere.

 

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