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Docenti fuori sede, le difficoltà tra caro vita e un esilio forzato

Ogni anno, alla riapertura delle scuole, molti insegnanti del sud sono costretti a lasciare le proprie case per trasferirsi al nord, costretti da un sistema vetusto a lavorare fuori regione.

Docenti fuori sede: dietro a ognuno di loro si nasconde una storia, un esilio forzato, un vuoto incolmabile e anche un po’ di rabbia per una professione che dovrebbe essere tra le più belle, ma che diventa sempre più difficile.

L’identikit dei docenti fuori sede

Raccogliendo dati, sondaggi e graduatorie, è stato possibile stilare un ritratto del docente tipo costretto a lavorare fuori sede: si tratta principalmente di donne con un’età compresa tra i 40 e i 60 anni. Le regioni di provenienza sono principalmente Sicilia, Campania e Calabria. E sono moltissime le testimonianze di alcuni protagonisti che hanno raccontato le loro tristi storie, fatte di vuoti, di assenze, di una quotidianità negata.

Una famiglia divisa

Pensate a quanto sia bello, la sera, sedersi a tavola tutti insieme e raccontarsi ciò che si è fatto durante il giorno. Ascoltare i ragazzi che, alla classica domanda dei genitori: “Cosa hai fatto oggi a scuola?” rispondono: “Niente”. Storie di vita quotidiana, che spesso ci fanno addirittura arrabbiare, certo. Ma c’è anche chi non può fare questa domanda e non può ricevere questa risposta.

Le tristi testimonianze

In questi giorni abbiamo letto su moltissime testate varie testimonianze di docenti fuori sede. Abbiamo scelto quelle che ci hanno più commosso e le vogliamo condividere qui. Come quella di Cinzia Bellanca, insegnante alle scuole elementari, riportata su La Stampa:

“I miei figli ormai sono grandi: hanno 16 e 20 anni. Vanno, vengono, si cucinano da soli e si organizzano da soli. Metterci a tavola tutti insieme diventa un’utopia. Li ho costretti a diventare autonomi molto prima degli altri, a fare tutto senza la mia costante presenza. Erano sempre affidati a qualcuno. Mi assale una profonda tristezza, mi rendo conto di aver perso tanto, troppo. Ma non si può ritornare indietro”.

Un disordine che manca

O ancora, il sogno di una mamma, Rosa Amorelli, che desidera poter tornare a casa stanca e rimettere in ordine tutto ciò che sua figlia ha lasciato sparso sul pavimento di casa dopo i suoi giochi: “Mi sento disorientata, mia figlia si sente da anni abbandonata. Lei è la mia vita. Ed io a inseguire il sogno di insegnare vicino casa per poter la sera sistemare tutto, un grande disordine” (La Stampa).

Molti nomi e molte storie

E ne potremmo raccontare a migliaia di testimonianze simili di docenti fuori sede, tutte diverse, ma tutte accomunate da un senso di impotenza, di vuoto e di solitudine. La Voce della scuola ha lanciato un sondaggio a cui hanno risposto 820 docenti. Di questi, il numero più alto è rappresentato da donne (ben 740), con una età compresa tra i 40 e i 60 anni, madri costrette a lasciare la famiglia per non perdere il lavoro. Ma cosa resta di quello stipendio?

Uno stipendio insufficiente

È vero che oggi avere un lavoro che piace è un lusso. E sappiamo bene che fare l’insegnante è una missione, non un lavoro comune. Ma i nostri insegnanti fuori sede sono costretti a fare i conti anche con uno stile di vita non proprio invidiabile. Spesso sono costretti a condividere una casa con altri insegnanti per riuscire a sostenere le spese di un affitto. E i conti sono presto fatti.

1300 euro è lo stipendio iniziale

Un insegnante alle prime esperienze di lavoro guadagna circa 1300 euro al mese. Le spese di affitto in una città variano dai 500 ai 900 euro. Poi ci sono le spese per le bollette, per i trasporti, per mangiare ogni giorno. Resta pochissimo per poter pensare a una pizza con gli amici o per comprare un biglietto d’aereo e tornare a casa nel weekend a riabbracciare la propria famiglia. Ma vale la pena vivere una vita così?

“Scusa se non ci sarò, ma non è colpa mia”

Tra le testimonianze più toccanti di docenti fuori sede non passa inosservata quella di Denise Romano che, sul suo profilo Facebook, ha scritto una lettera per tutte le bambine e i bambini che non rivedranno la propria maestra di sostegno. Anche se la continuità dovrebbe essere la base per poter garantire un miglioramento ai bimbi in maggior difficoltà, sembra proprio che le cose stiano diversamente e lo Stato, purtroppo, sembra essere il grande assente per trovare soluzioni:

“Ti chiedo scusa se non ci sarò, anche se la colpa non è mia.
Ti chiedo scusa se sarai arrabbiata e non lo saprai dire. Se mi cercherai e non tornerò.
Ti chiedo scusa se proverai a capire con lo sguardo corrucciato e l’aria interrogativa il perché della mia assenza. Dovresti vedermi adesso.

Ho la stessa espressione anche io. L’ho presa da te. Faccio tante cose come te adesso, osservo in modo particolare gli oggetti, cerco di capirli, sento il rumore che fanno e mi chiedo se ti può piacere oppure no.
Ti chiedo scusa se al tuo rientro non posso garantirti di sentire la stessa voce, di sentire lo stesso profumo. So che per te è importante stringere la stessa mano, avere un punto fermo, trovare sicurezza sempre negli stessi occhi.

La vita è fatta di alti e bassi, come quando un giorno sapevi scrivere e il giorno dopo non ti andava più. Come quando volevo farti annusare un profumo e tu ti rifiutavi perché per te era una cosa nuova.
Poi ti ho convinta e non hai più voluto smettere di dire “annusa profumo”. Ti ricordi?
Ecco. Adesso che inizia la scuola andrà così.

Forse i primi giorni non ti andrà. Forse ti mancherò. Forse ti passerà la voglia di afferrare la matita, fare merenda, girarti dalla parte di chi ti chiama perché per te non sarà più una voce familiare.
Forse ti sentirai da sola, insicura, arrabbiata. Forse penserai che la scuola non è più il posto dove pensavi di voler tornare e la rifiuterai.

Accanto a te avrai una persona nuova che vorrà conoscerti, che aspetta di entrare nella tua vita così come ho fatto quando ci siamo conosciute il primo giorno.
Non è stato semplice. Ti ricordi? Mi mordevi, piangevi, provavi a scappare. Eppure l’hai fatto, col tempo mi hai lasciata entrare. Lascia che la vita sia piena di imprevisti e insegna ai grandi come affrontarli, tesoro mio.

Prenditi il tempo che ti serve. C’è bisogno che tu faccia questa cosa per non buttare via tutti i sacrifici che hai fatto per imparare a chiedermi le cose parlando. Le lettere se le vuoi dimenticare, dimenticale. Le rifarai. Non è importante. È importante stare in classe insieme agli altri, stare bene insieme ai grandi, comunicare cosa vuoi e di cosa hai bisogno come abbiamo scoperto di saper fare anche se i volti a cui chiedere non saranno gli stessi.

Ce la farai perché il mio pensiero arriverà fin dove sei.
Continuerò a preoccuparmi per te.
Continuerò a pensarti.
Continuerò a sperare che la tua vita sia colorata e piena di bolle di sapone.
Il mondo delle persone grandi ha un grosso problema di incongruenze e ipocrisie. Lo so, sono parole difficili ma non è necessario impararle oggi.

Mi basta che tu faccia quello che ti chiede la vita tra un paio di giorni: fare un salto anche se hai paura, salire su un gradino più alto, superare un ostacolo.
Non sarà facile nemmeno per me. È per questo che ti sto scrivendo una lettera che non puoi leggere. Ho bisogno di dirti le cose per impararle e accettarle io.

E quindi c’ è da fare un grande salto. Io ho paura, tu hai paura ma lo faremo insieme anche se distanti.
I miei giorni e i tuoi saranno separati ma andranno sempre verso la stessa direzione. Il bene funziona così. E lo sentirai. Te lo prometto.
Buon anno scolastico, tesoro mio
La tua maestra per sempre

Ph: Shutterstock-440997205

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