Sai perché i comodini degli umani sono così pieni di romanzi che rimangono lì sepolti per sempre? Perché scrivere la parola fine è forse il momento più complesso per uno scrittore. Non mi riferisco alla conclusione della trama (lieto fine, finale aperto, finale circolare, finale a sorpresa, et cetera), quanto all’istante in cui ci si dice “basta: il mio romanzo è pronto per essere scelto da un editore”.
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Dei molti ostacoli che ho incontrato durante la stesura del mio romanzo, questo è certamente quello più inaspettato. Da un lato avevo dato il manoscritto in lettura a troppe persone che mi stavano invadendo di consigli (l’articolo precedente su editor e altri lettori può essere d’aiuto), dall’altro io stesso facevo molte correzioni ad ogni lettura. Ti dirò di più: anche oggi, quando riprendo in mano L’Influenza del Blu, se potessi avere una bacchetta magica cambierei gran parte del testo.
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Il mio consiglio a chi ha il comodino zeppo di idee o di bozze, è di scrivere la parola fine quando si verificano tre condizioni. La prima: quando i pareri che ricevi cominciano a ripetersi, è segno di finirla. La quinta volta che qualcuno ti dice che gli dispiace che un certo personaggio muore puoi fare due cose: decidere di salvarlo o farlo morire ugualmente. Un sesto parere non ti sarà di aiuto e non ti porterà più vicino alla conclusione, neppure se di segno opposto dagli altri cinque. La seconda condizione è l’impressione di aver raggiunto l’obiettivo che ti eri preposto. Se volevi dipingere un affresco della Corte di Versaille del 1700 e finita l’ennesima rilettura quel mondo si palesa davanti a te, allora va bene così. Se ambivi ad emozionare con una storia dal romanticismo struggente e ti commuovi quando rileggi il manoscritto, allora va bene così. Se vuoi mandare un messaggio fra le righe e senti che questo serpeggia bene lungo la trama, allora va bene così. L’ultima condizione è la più complessa: il romanzo deve piacere a te che l’hai scritto. Chi scrive è un po’ come un orologiaio: si inventa un sistema complesso di meccanismi e ingranaggi che battono il tempo del suo cuore e scandiscono i pensieri originali della sua mente. Quando, dopo l’ultima lettura senti il tic-tac delle lancette allora fidati: hai finito.
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Se queste tre condizioni si verificano allora fermati, fa’ un respiro e comincia la tua prima metamorfosi: uccidi lo scrittore che è in te e da’ vita al mestiere stravagante di trovare un editore (ne parleremo più avanti).
Vorrei concludere con un pensiero che credo sia fondamentale per gli scrittori emergenti. La scrittura è un po’ come il calcio: si sentono tutti allenatori perché da ragazzi hanno fatto un gol al liceo. Sono tutti pronti a darti preziosi suggerimenti, ma il romanzo è il tuo e alla fine avrà il tuo nome sulla copertina. Deve piacere a te, deve convincere te, deve essere geniale secondo il tuo genio. Per me è stato fondamentale chiedere molti consigli ma è stato ancora più importante arrogarmi il pieno diritto di decidere quali consigli accettare e quali respingere. Il timone lo devi tenere tu con una presa salda, convinta, sensibile e assolutamente indifferente verso i suggerimenti che non ti convincono al mille per cento. Il tuo romanzo deve far rima con la tua anima e non con quella collettiva di un mal precisato gruppo di persone.
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In ballo c’è il rischio di mischiare cuori e menti diverse in un’insalata romanzesca che alla fine avrà l’aspetto delle tue idee diluite e stinte della loro bellezza primordiale. Per dirla con le parole del grande Arturo Toscanini:
“Se vuoi piacere ai critici, non suonare troppo forte, troppo piano, troppo veloce, troppo lento.”
FINE.